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Riceviamo e pubblichiamo, uno splendido articolo di una giornalista del Lazio in vacanza a Tonnarella, Furnari.

Da bambina costruivo castelli di sabbia sulle spiagge che dal promontorio di Gianola, attraverso l’incantevole golfo che tocca Formia e Gaeta, si susseguono sulla costa tirrenica che vide Ulisse sostare sulla terra di Circe. Da grande mi sono spostata spesso sulla più lineare ma non meno suggestiva costa adriatica, da Ancona a Pescara. E ancora più spesso, anche per motivi di lavoro, ho visto e goduto le bellezze del meraviglioso mare di Sardegna, dal Poetto di Cagliari, alla irripetibile Villasimius, da S.Margherita di Pula alle sconfinate dune di Chia. E dappertutto l’azzurro delle onde e il profumo della salsedine hanno lasciato tracce profonde nel mio immaginario emozionale. Non sapevo che più tardi, nella vita, i miei orizzonti estivi e il mio paesaggio elettivo si sarebbero delineati tra la sacra altura della mite Tindari, il verde promontorio di Milazzo e non lontano, tra le onde e un velo bruno di foschia, la linea delicata dell’ isole dolci del dio. Osservate dai seicento metri d’altezza di Novara di Sicilia, uno dei borghi più belli d’Italia, le Eolie offrono uno spettacolo d’incanto non secondo a quello che Nisida offre agli abitanti di Napoli. Non so se si tratti di una scoperta o di un ritrovamento, di certo la fascia tirrenica della Sicilia mi si presenta ogni volta come un succedersi di scenari costieri esteticamente impagabili. Dall’area della più pura grecità che emana dall’antica Tyndaris (IV sec. a.C.), allo splendido Golfo di Milazzo, passando per Oliveri, dove sorgeva una delle più antiche e grandi tonnare, tipica espressione della cultura marinara dell’isola. Proseguendo per l’incantevole Golfo di Patti, che strapiomba a mare con le sue coste rocciose e articolate, fino alla stupefacente solarità cromatica delle ceramiche di S. Stefano di Camastra e ai delicati orizzonti marini che si profilano dai suoi ampi balconi di Porta Messina e Porta Palermo. Subito dopo la preellenica Cefalù, dove l’originale emergenza architettonica del Duomo di Ruggero II non ha ancora smesso di annunciare il disegno grandioso di un regno normanno in Sicilia. L’ atmosfera paesaggistica di questo luogo è semplicemente magica e le sue incidenze neuroestetiche sul mio animo sono difficili da raccontare. Non ho mai visto un affaccio sul mare così totale, così ravvicinato e generoso. I fortunati abitanti di questa cittadina, magnificamente segnata dalla sua storia e dalla presenza incombente della tipica rocca, aprono le loro finestre direttamente sulle onde, hanno la spiaggia ai loro piedi. Convivono con l’azzurro. Scrive Baudelaire che lo spettacolo del mare è così infinitamente ed eternamente piacevole perché offre ad un tempo l’idea dell’immensità e del suo movimento. Di fronte a questo mare è sempre l’ora dantesca che volge il disio … e intenerisce il core. Alle mie spalle il versante tirrenico dei Peloritani, attraversati da profondi squarci vallivi che digradano sui pendii, è punteggiato da borghi di antica rara bellezza. E’ una affascinante triangolazione paesaggistica, che si nutre da un lato degli audaci colori delle siepi di oleandri dell’autostrada, dall’altro del profumo delle correnti marine che dallo splendido porto naturale di Messina si spingono verso la superba Palermo. Bellezze ambientali, ricchezza di colture, pittoreschi piccoli bacini e il mare di Quasimodo ….lieve, su e giù, lungo le sabbie lisce di Oliveri, Marinello e Tonnarella. Luoghi incantevoli, ove bellezza impera, come suona il titolo del delicato romanzo di un giovane scrittore nativo di quest’angolo di Trinacria. Un impasto miracoloso di storia, arte e natura nel quale ogni estate mi ritrovo ad ammirare l’edonismo buongustaio con cui gli abitanti di quest’isola straordinaria consumano le loro invitanti brioches con granita o i loro famosi arancini, la cui elegante linea conica pretende di imitare la sontuosa verticalità etnea. O mi ritrovo a riflettere sulle complesse testimonianze delle civiltà umane succedutesi nei secoli in questa terra che ha visto i Fenici, i Greci, i Romani, gli Arabi, i Normanni, gli Angioini e gli Aragonesi. E che ne conserva orgogliosamente le tracce dappertutto. Dappertutto è impareggiabile il valore evocativo dei luoghi e dei nomi, che trasudano storia. E la bellezza del paesaggio finisce ogni volta per alimentare la mia immaginazione e trasformarsi in risorsa emotiva. Una sensazione strana e delicata di approdo finale, un punto di non ritorno che mi fa comprendere meglio il senso delle parole di J. B. Pontalis : Ci vogliono parecchi luoghi dentro di sé per avere qualche speranza di essere sé stessi. Si vive una volta soltanto e sono i luoghi che abbiamo frequentato e vissuto a costruire la nostra geografia mentale e a delineare i contorni del nostro animo. Vi rimangono tratteggiati e diventano il metro di lettura dei panorami da cui ci facciamo incantare ogni giorno. Così il nomadismo identitario presente in ognuno di noi finisce con il trovare nel paesaggio, nella bellezza e nella poesia delle sue immagini, un sostegno vitale, una risorsa emotiva che spinge il nostro sguardo oltre la siepe, allargando felicemente le latitudini della nostra psiche e rendendoci più dolce la vita.

Floriana Giannetti