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Si è svolta sabato 8 luglio 2017 al Paladiana di Milazzo la Giornata del Volontariato 2017: tavola rotonda, musica dal vivo, animazione per bambini e vari banchetti informativi delle associazioni che operano sul territorio. Tutte da attenzionare le realtà che fanno volontariato nel messinese, ci soffermiamo sull’ Associazione Onlus “Fabrizio Ripa”, nata per volere dei genitori e della sorella di Fabrizio, ragazzo di Villafranca Tirrena, ammalatosi e purtroppo scomparso a soli 16 anni a causa del Sarcoma di Ewing, un tumore osseo che colpisce prevalentemente i ragazzi in età adolescenziale e pur essendo stato scoperto nel 1920, a tutt’oggi le probabilità di guarigione sono poche o forse nulle.

Dalla loro dolorosa esperienza, i genitori e la sorella di Fabrizio, hanno sentito il desiderio di fondare questa Associazione, principalmente per aiutare la ricerca sul Sarcoma di Ewing, il Day Hospital Pediatrico di Oncoematologia del Policlinico di Messina e le famiglie che si trovano ad affrontare problemi di  questa natura.

Fabrizio Ripa, nato a Messina il 17 Dicembre 1993, era un ragazzo solare, gioioso, affettuoso, intelligente, amico di tutti e disponibile con tutti ed è sempre stato l’orgoglio della sua famiglia, frequentava il Liceo Scientifico di Spadafora ed era un bravo studente, un ragazzo religioso che la domenica, oltre a partecipare alla Messa,  si dedicava alla catechesi dei bambini.

La sua  passione era la matematica, infatti al 1° anno di Liceo aveva partecipato alle gare di Matematica presso l’Universita “Bocconi” di Milano. Fabrizio era bravissimo al computer ed il suo sogno era quello di diventare ingegnere informatico, ma purtroppo un brutto giorno tutto è crollato. Nella sua breve vita, Fabrizio aveva praticato vari sport: la pallavolo, il calcio, il tennis e per ultimo si era appassionato al ciclismo, spesso con gli amici faceva lunghe uscite in bicicletta ed è stato proprio un giorno che è tornato a casa con un dolore al gluteo sinistro.

Inizialmente si pensava ad uno strappo muscolare, ma andando avanti e facendo i dovuti controlli è emersa la terribile verità… Sapere che Fabrizio aveva un tumore osseo ha fatto cadere parenti ed amici in un’angoscia tremenda, ma lui, nonostante tutto, ha dimostrato un coraggio ed una forza che nemmeno una persona adulta avrebbe avuto.

Ha seguito la malattia in tutto il suo corso parlando ed informandosi in prima persona con i medici di tutto ciò che doveva affrontare perchè non voleva che gli si nascondesse niente. Fabrizio ha sostenuto al Meyer di Firenze 10 cicli di chemioterapia, 36 applicazioni di radioterapia al bacino e 10 ai polmoni, in camera sterile chemio ad alte dosi e trapianto di cellule staminali ed ha sopportato tutto con serenità e fede senza mai lamentarsi. Per la sua famiglia ha sempre avuto parole di conforto e sembra incredibile, era lui che dava coraggio. Purtroppo invece la notte del 26 giugno 2010, dopo un anno di sofferenze, Fabrizio è morto lasciando in chi l’ha conosciuto ed amato un vuoto ed un dolore indescrivibili.

Al banchetto allestito dall’Associazione Onlus “Fabrizio Ripa” nello spiazzale antistante il PalaDiana, abbiamo incontrato e conosciuto  Giovanni Ripa, papà di Fabrizio, Fondatore e Presidente dell’Associazione dedicata alla memoria del figlio, insieme ai soci Angelica Milicia, Marco Di Brisco, Valeria Di Brisco, Maria Travaglio, Giovanni Aloisi, Maria Mazzi e Maria Teresa Masuzzo. Tutte persone cordiali e ricche di umanità che s’impegnano nel quotidiano per rendere meno pesante la sofferenza dei ragazzi con i quali la vita è stata meno generosa.

Quindi facciamo l’intervista che segue e che altro non è che una chiacchierata con Giovanni Ripa volta a conoscerlo meglio, a comprendere cosa alberghi nella sua mente e nel suo cuore. Dietro il viso di una persona serena ed equilibrata scorgiamo il dolore sempre presente per la gravissima perdita di Fabrizio. Prima di registrare le sei domande preparate per lui ci parla dell’Associazione molto legata alla città di Firenze, luogo in cui Fabrizio si curò al reparto di Oncoematologia del Meyer, ma che oggi opera nel nostro territorio fornendo una base alle famiglie che purtroppo si ritrovano da un giorno all’altro a dover affrontare malattie improvvise dei loro ragazzi. Ci illustra con amarezza alcune problematiche legate alla sanità nel nostro Sud, sempre un passo indietro rispetto alle realtà del resto del Paese (assurdo che venga chiuso un intero reparto perché un medico si assenta in quanto aspetta un bambino, ma a Messina accade anche questo).

Ma nelle sue parole anche il positivo: una persona molto importante per l’Associazione è  Zia Caterina, conosciuta a Firenze. Ha uno specialissimo Taxi, Milano25, sul quale uno dei tanti disegni creati da Karin rappresenta proprio Fabrizio con le sue passioni (un koala su una bicicletta con la maglietta della Juventus ed una racchetta da tennis in mano). Una donna di grande spessore umano Zia Caterina, che ha perso il proprio compagno 13 anni addietro e del quale ha conservato il taxi modificandolo… in modo molto originale: a Firenze, ove risiede, accompagna i ragazzi malati verso il reparto di Oncoematologia, ascoltando i loro sogni e chiedendo  quale sia il loro animale preferito… E da queste informazioni l’amica artista Karin incomincia a creare il disegno! Zia Caterina è attualmente in tour in Sicilia.

1) Nei volti dei giovani che aiuta le sembra di rivedere più il sorriso e le speranze di Fabrizio, o più il dolore e la sofferenza del suo amato figlio?

“Sicuramente la gioia, i momenti di sofferenza di Fabrizio li tengo nel cuore, sono miei perché so quanto ha sofferto mio figlio, però ci dev’essere sempre la speranza, la voglia e l’impegno volto a salvare un bimbo, questo secondo me è importante.”

2) Tutte le mattine sorge il Sole: c’è in lei un pensiero costante al risveglio? 

“Il mio primo pensiero è sempre: ‘anche stamattina si riparte, con la speranza di fare qualcosa di buono!’ La vita ci riserva continuamente sorprese, positive e negative, noi dobbiamo godere di quegli attimi di gioia che ci sono concessi.”

3) Di che colore  lei vede la sua vita da quando aiuta i giovani sofferenti?  

“Non c’è un solo colore ma la molteplicità dei colori, come la varietà della vita.”

4) In percentuali mi dica, nell’arco delle sue 24 ore, vince più l’entusiasmo di portare gioia e serenità o ha la meglio il puro senso di condivisione della sofferenza?

“Sicuramente vince l’entusiasmo del condividere gioia e serenità con i ragazzi e anche con le rispettive famiglie, cosa importante alla quale in pochi pensano. Nonostante il nero guardiamo sempre il positivo.”

5) Fra 100 anni come immagina la sua associazione: come un prolungamento della sua missione? O come una bella realtà sempre pregna della viva presenza di suo figlio?

“L’Associazione nasce perché volevo dare un seguito alla storia di mio figlio, che non finisce col suo andar via. Per me non è mai morto, si trova solo in un’altra dimensione. Fabrizio è vivo nei nostri cuori e nel nostro vivere quotidiano. L’Associazione la vedo in eterno, ma non so chi la porterà avanti. C’è solidarietà ma anche tanto male, tanto buio. Una piccola speranza: se ciascuno di noi facesse uno la società sarebbe certamente migliore.”

6) Vi è una frase (o un gesto) di suo Figlio che, in questo momento, le torna alla mente? 

“Con Fabrizio condividevamo tante piccole cose, ricordo quando andavamo in vacanza nei villaggi e lui, che adorava la piscina, faceva parecchie vasche facendo infine emergere il suo faccino soddisfatto; quando aveva 4/5 anni un altro episodio che mi torna in mente: eravamo in un ristorante di Acicastello e mentre noi adulti eravamo incerti su cosa ordinare davanti al cameriere, Fabrizio esclamò perentorio ‘spaghetti e vongole, per cortesia!’. Nell’ultimo periodo della sua vita, un professore di Fisica mi disse che Fabrizio, con la logica, non veniva mai colto in fallo, anche se non aveva studiato, se la cavava sempre”.

L’intervista con Giovanni Ripa si chiude qui, siamo ai saluti ed alle foto di rito per tutto un gruppo di soci che si spende per una nobile causa, ci diamo appuntamento agli eventi futuri con la speranza che sempre maggior gente acquisisca una mentalità “aperta” verso una tematica così importante, non girandosi dall’altra parte ma avendo consapevolezza che in qualsiasi momento della vita potrebbe toccare a ciascuno di noi trovarsi a combattere per un proprio caro.