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La Statale 185, che con l’audacia disinvolta delle sue arditissime curve s’inerpica sugli aspri rilievi peloritani collegando il Tirreno e lo Ionio, si imbatte a metà percorso in un borgo antico e suggestivo, tra i più belli della Sicilia e d’Italia, Novara di Sicilia.

In posizione di pendio, ad ovest della piana di Milazzo. Già fiorente in età normanna e angioina, ha destinato nei secoli alcuni lembi del suo territorio montano all’attività silvo-pastorale e alla pregiata cultura intensiva del noccioleto. L’origine del nome, non ancora definita, oscilla tra l’antica “Noa” (che rinvia alla maggese, alla produzione di frumento), e l’araba ”Nouah” , che rimanda al “Castello”, in posizione dominante sulla valle e sulla impagabile linea d’orizzonte delle Eolie. Il suo patrimonio artistico, vastissimo e ancora poco conosciuto, i suoi palazzi ottocenteschi e le sue Chiese parlano un linguaggio monumentale antico e prezioso, di cui gli abitanti vanno naturalmente fieri.

Tra queste ricchezze si colloca il Teatro Comunale “Riccardo Casalaina”, che risale al Settecento. Questo autentico gioiello strutturale ospita convegni, concerti, spettacoli di prosa teatrale e momenti ludici di tradizionale euforia collettiva, come il noto carnevale novarese.

In questo avvolgente perimetro culturale si muove ogni tanto, con indefinibile grazia e surreale leggerezza, Antonella Maria Sofia Suraci, che dell’arte ha fatto la sua compagna di vita fin dall’infanzia, e dell’amore e del canto della sua terra un motivo esistenziale. Nata nella città di Vincenzo Bellini, la giovane artista novarese ha coltivato lo studio della danza e della storia della musica, il canto e la pittura. Le sue interpretazioni inseguono i temi della mitologia, della storia e della grande letteratura ottocentesca, ponendosi all’interno di una cornice in cui la poesia è elemento sempre dominante, mai disgiunto dalla danza. Perché, come lei stessa ricorda, “la poesia si fa corpo scultoreo, mobile e dinamico. E poi c’è la musica, voce divina del vento che diventa spartito visibile a tutti”. Motivo insistito e perenne della originalissima interpretazione scenica della Suraci sono i suoi amati luoghi d’origine: Catania, Reggio Calabria e Novara di Sicilia. Sostenuta dall’Associazione Culturale “L’Egida di Minerva”, la nostra interprete ha presentato nel Teatro “Casalaina”, il 21 agosto scorso, il suo testo“ NovarAmore”, con la partecipazione di Emanuela e Debora Bruno e il supporto scenografico di Silvestro e Giusy Ruggeri.

Nel presentarla al pubblico il Vice Sindaco, Salvatore Buemi, la definisce ”artista figlia di Novara, partorita dalla terra di Novara di Sicilia”. Il velo da cui sempre si fa avvolgere durante le sue performances, simbolo delle nebbie novaresi, rinvia ad un mondo fiabesco, quasi onirico, proteso alla ricostruzione narrativa dei luoghi e dei personaggi: i figli della sua Novara, la cui storia diventa la sua storia. Luigi, Antonio Sabato, Riccardo, Michele, Teresa, Giovanni, Giuseppe, Giulia, sua madre. La narrazione scenica è resa più suggestiva e trascinante dalle movenze danzate di un’attrice che si curva, si adagia sul testo, ostinatamente scritto a mano, quasi lo abbraccia. Testo che è parte integrante del racconto, singolare coprotagonista di un personaggio maturo e infantile al tempo stesso, che si identifica con i luoghi e i personaggi narrati, in un’atmosfera di continua personificazione e di debordante panismo dannunziano. Il dialogo disincantato tra Antonella e i suoi monti, i suoi boschi e il sussurrare delle loro fronde, le sue rocce e i suoi affetti vicini e lontani nel tempo, è simile ad un gioco di specchi in cui gli elementi esterni offrono alla voce narrante una continua occasione di ripiegamento su sé stessa. Un gioco in cui la conoscenza di sé della protagonista passa attraverso l’evocazione appassionata dell’altro e l’esternazione dell’amore profondo che prova per l’altro. Altro inteso come adorata terra dei suoi avi, dei suoi contemporanei, dei suoi miti, delle sue frequentazioni infantili, e come poesia d’amore e di viaggio.

Un viaggio, quello di Antonella, di sentimenti che si rincorrono e si moltiplicano nell’intreccio esistenziale di un personalissimo palcoscenico in cui le parole generano un ritratto semantico che dà calore e colore ad ogni cosa, con una genuinità di sentimenti non sfiorata dal tempo. Scrive Edmond Jabés della parola: ”Una parola qualunque e l’universo subito esiste”. Nelle parole di Antonella, che sono narrazione e ricordo, senti l’alito della natura, il sospiro del vento, l’indole sognatrice e vagabonda, l’esigenza quasi delirante di un ritorno e di una ricongiunzione affettiva con la sua Novara, le sue vie, i suoi abitanti, le sue feste, il suo albero di noce. Senti, a momenti, effetti di dissolvenza e una voce sofferta e suadente, con esito finale di trascinamento emotivo che impedisce ogni dimenticanza. Sono parole poetiche che misurano l’eternità del tempo e di ogni stagione, e riescono a recuperare con delicatezza ogni assenza e lontananza.

Floriana Giannetti