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Dell’Armenia ancora oggi poco si sa: non si sa dove sia, della guerra in atto e poco si dice dello sterminio della sua popolazione.

Ha esordito con queste parole Laura Ephrikian, ieri sera, nell’aula consiliare della delegazione di Rometta Marea, durante il suo dialogo con la giornalista Maria Caterina Calogero, per la presentazione del suo ultimo romanzo “Una famiglia armena”, davanti a tanti che, ricevendo la sua dedica sul libro, hanno avuto il piacere di conoscerla di persona, dopo averla seguita per tanti anni come attrice e scrittrice.

L’argomento si fa subito serio. Non si parla della guerra in atto che, a più riprese, si protrae da 30 anni con l’Azerbaijan, perché quest’ultimo stato, grande quanto l’Italia, sostenuto dalla Turchia, non vuole riconoscere l’indipendenza di una regione popolata da armeni.

Ancora una volta la Turchia protagonista delle sorti del popolo armeno, dopo il genocidio durante la Grande Guerra, che vide il suo sterminio ad opera degli ottomani, alleati della Germania.

In quella terribile occasione fu annientata anche l’intera famiglia Ephrikian; tranne Akop, che riesce a fuggire, in Italia, a Venezia, dove diventa sacerdote.

Akop, il taciturno nonno con cui l’autrice, bambina, trascorreva i momenti in cui i partigiani genitori erano impegnati nella guerriglia, e dal quale si si è sempre sentita, e si sente ancora, attratta e protetta, senza però conoscere nulla del suo passato.

Sino al Natale del 1958, tornata a casa da Milano, dove frequentava l’accademia del Piccolo Teatro di Giorgio Strehler, quando decide di aprire, contro le ultime volontà del nonno, il baule nel sottoscala.

E da quel momento viene a conoscere della dolorosissima storia della sua famiglia, che tuttavia le permetterà di non mentire più per giustificare l’esoticità del suo cognome, come ha sempre fatto sino ad allora, con i compagni delle elementari, delle medie e del ginnasio.

E delle atrocità subite dagli armeni, tra il 1915 e 1916, da parte dei turchi, dai quali desidererebbe il riconoscimento del loro crimine ed una richiesta di perdono, che però non arrivano.

Ma dal vecchio baule viene fuori anche una tenerissima storia d’amore.

Il sacerdote Akop, a Venezia, incontra e si innamora della bellissima Laura, un amore corrisposto, contro il volere della nobile famiglia della giovane, raccontato nelle 66 lettere del baule.

Dalla loro unione nasce Angelo, il papà dell’autrice, che diventa violinista, contro la mamma che avrebbe voluto per lui una professione più sicura con la sua laurea in lettere.

Atteggiamento della nonna per nulla condiviso dall’autrice, che fa del motto “la via della libertà è la via del coraggio” il faro della sua vita.

E anche dal papà Angelo, che l’ha incoraggiata a seguire la sua strada, quando già ad 8 anni gli aveva espresso il desiderio di diventare attrice e a 18 quello di frequentare l’accademia del Piccolo Teatro di Milano, coronando già nel 1961 il sogno di entrare nel mondo dello spettacolo con una scritturazione della RAI. Ritenendosi per questo fortunata, ma di una fortuna accompagnata di un grande lavoro.

Strepitosa carriera che viene sospesa durante il matrimonio con Gianni Morandi, dal quale nascono tre figli e che per lei diventa una gabbia dorata dalla quale ne esce, a 40 anni, aiutata dalla sua filosofia di vita “la via della libertà è la via del coraggio”.

Da lì, la sua seconda vita; grazie all’incoraggiamento di Alberto Bevilacqua diviene scrittrice, seguendo un percorso di maturità letteraria che la porta ad acquisire consapevolezza dell’importanza della “umiltà”, fino ad arrivare al suo ultimo lavoro, il libro dei suoi 80 anni.

“Una famiglia armena”, dove la scrittrice quasi scompare per lasciare la “scena” ai protagonisti, la sua famiglia, è il romanzo della “maturità” nel quale è riversato tutto l’amore dell’autrice “per la sua famiglia e per tutti”, perché ritiene non mai abbastanza l’amore da donare, col quale ha potuto far riflettere sul genocidio e, da nonna, “far conoscere ai suoi cinque nipoti la loro provenienza”.

Poi il suo impegno per il Kenya, della cui povertà si è accorta quando da turista ha istintivamente preso in braccio un bambino che era caduto inciampando: la sua sporcizia, le croste sulla pelle e le mosche agli occhi “le hanno rapito il cuore”.

Da quel momento nella sua vita ci sono due “A” a quella dell’Armenia si è aggiunta quella dell’Africa: quindi, la costruzione a sue spese di pozzi in quel Paese e la ricerca di finanziamenti per realizzarne sempre di più, anche attraverso il ricavato delle vendite di questo suo ultimo romanzo.

La presentazione del libro, organizzata dalla romettese associazione “Circolo Italia” di Fortunato Marcianò e dal professore Domenico Santangelo, è stata introdotta dal vicesindaco Nino Cirino; presente, con i suoi quadri, Daniela Gazzara.

Prossimi incontri: 18 settembre, 18,30, Milazzo, Palazzo D’Amico; 19 settembre, 18,30, Venetico Superiore.

Luigi Politi