Tra serti di gloria e sentimenti sacrificati, piramidi dell’anima e strazianti lamenti sulle rive del Nilo, le note di Aida continuano a raccontare l’eterno conflitto tra amore e potere, tra libertà e dovere. Una tragedia solenne e dolorosa quella messa in musica da Giuseppe Verdi, che accomuna oppressi e oppressori. Un dramma antico e universale, che nell’abbraccio delle cavee greco-romane si è fatto canto eterno.
È stata un’autentica celebrazione della grande musica e del genio scenico la nuova produzione proposta dal Festival Lirico dei Teatri di Pietra, che – in linea con la visione del direttore artistico Francesco Costa – ha toccato tre luoghi simbolo della cultura classica: Siracusa, Tindari e Taormina. Un progetto dal respiro internazionale, denso di significato artistico, culturale e umano, che ha coinvolto complessivamente oltre 10.000 spettatori complessivi raccogliendo un consenso unanime di pubblico e critica.
Tutte le serate hanno registrato il sold out e si sono concluse con lunghe standing ovation di oltre dieci minuti.
Ogni rappresentazione è stata un rito collettivo sospeso tra bellezza visiva, pathos musicale e impatto scenico, restituendo alla Sicilia e al pubblico internazionale un’opera memorabile, all’altezza dei suoi luoghi e del suo retaggio. Un vero “trionfo”, come la celeberrima marcia dell’opera, che costituisce una delle pagine più amate dell’intero repertorio lirico.
Al centro di questa straordinaria operazione, un allestimento che ha saputo coniugare rigore filologico, visione registica e accessibilità, restituendo al capolavoro verdiano una veste nuova e profondamente coerente con lo spirito della composizione. Non una semplice rappresentazione, ma un’esperienza immersiva che ha fuso lirica e paesaggio, mito e memoria, risonanza emotiva e perfezione esecutiva.
La storica novità dell’edizione critica di Aida curata da Anselm Gerhard ha conferito un valore aggiunto inestimabile: per la prima volta il pubblico ha potuto assistere ad una messinscena che adottava la partitura così come originariamente concepita da Verdi, con l’inserimento dell’inedito corale “palestriniano” nell’Atto III. Una scelta di straordinario coraggio artistico e competenza musicologica, che ha dato nuova luce alla creazione.
Alla guida musicale il maestro Filippo Arlia, figura carismatica e raffinata, ha diretto con precisione e ardore l’Orchestra Filarmonica della Calabria e il Coro Lirico Siciliano, offrendo una lettura viva, pulsante, densa di colori e sfumature. Sotto la sua bacchetta l’orchestra ha saputo restituire l’intero spettro emotivo dell’opera, alternando grandiosità e lirismo con naturalezza e profondità. Il Coro, impeccabile e potente, ha dimostrato ancora una volta la propria eccellenza, animando le scene collettive con una forza teatrale davvero trascinante.
Il cast vocale si è imposto con un livello altissimo in tutte e tre le serate, incarnando i personaggi con pathos, forza interpretativa e vocalità luminosa. Su tutti, Pumeza Matshikiza, nel ruolo del titolo, ha conquistato il pubblico con una Aida intensa, struggente, mai scontata: il suo debutto operistico in Italia resterà impresso come un momento d’arte di rara bellezza. Il timbro caldo, l’eleganza del fraseggio, la commozione autentica con cui ha scolpito ogni parola e nota hanno restituito una protagonista indimenticabile.
Dal canto suo, il tenore Walter Fraccaro ha offerto un Radamès solido e passionale, dalla linea nobile e squillante, perfetto nel difficile equilibrio tra eroismo e tormento interiore. E Veronica Simeoni, magnetica Amneris, ha saputo restituire tutta la complessità del personaggio: gelosia, dignità, fragilità e regalità si sono fusi in un’interpretazione memorabile, esaltata da un controllo vocale sempre impeccabile.
Badral Chuluunbaatar, nel ruolo di Amonasro, ha incarnato con forza scenica e autorevolezza la figura del re d’Etiopia, restituendone il carattere fiero, tragico e profondamente umano. La sua voce possente e il fraseggio incisivo hanno aggiunto ulteriore spessore drammatico all’intera vicenda.
Completavano il cast con grande professionalità e presenza scenica il basso Sultonbek Abdurakhimov (Ramfis), il basso Deyan Vatchkov (Re d’Egitto), il tenore Federico Parisi (messaggero) e il soprano Leonora Ilieva (sacerdotessa).
La regia di Salvo Dolce ha saputo trasformare i millenari teatri di pietra in veri e propri specchi dei contrastanti stati d’animo, individuali e collettivi. Il linguaggio visivo si è fuso con le architetture naturali e storiche, in una sintesi scenica profondamente rispettosa del contesto ma al contempo innovativa. Gli spazi sono stati valorizzati con intelligenza e poesia, mentre i meravigliosi costumi firmati da Domenico Franchi per Opera Krakowska hanno evocato un Oriente immaginifico, solenne e senza tempo.
Fondamentale anche la creatività di Sarah Lanza che ha curato le coreografie con eleganza plastica, Gabriele Circo che ha scolpito le luci con mano pittorica, mentre Andrea Santini e Gabriele Moreschi hanno ideato scene capaci di fondere antico e contemporaneo, e Michele Falasconi ha integrato suggestivi contributi digitali. La presenza della Compagnia Joculares ha arricchito ulteriormente l’immaginario scenico.
Straordinario, infine, l’impegno sul fronte dell’inclusione sociale: la rappresentazione di Taormina è stata tradotta in Lingua dei Segni Italiana (LIS) grazie alla collaborazione tra il Coro Lirico Siciliano e l’associazione “Sicilia, Turismo per
Tutti”, affermando il principio che la cultura – e in particolare l’opera – debba essere davvero un patrimonio accessibile a tutti.
Nel cuore pulsante della Sicilia classica, Aida si è elevata a rito collettivo, vertice estetico ed emozione pura. Una tensione epica, degna dei luoghi che lo hanno ospitato. Il Festival Lirico dei Teatri di Pietra conferma così la propria vocazione di laboratorio di eccellenza, capace di fare della bellezza un ponte tra passato e futuro, tra arte e società.