Il pontificato di Leone XIV, eletto l’8 maggio al quarto scrutinio, inizierà alle 10 di domenica 18 maggio con la messa in Piazza San Pietro, alla quale parteciperanno le delegazioni di tutti gli stati, il Patriarca di Costantinopoli, Bartolomeo, e, si prevede, 250 mila fedeli.
Dopo l’attesa per l’elezione del nuovo Papa, ora il mondo intero si chiede come sarà il pontificato di Leone XIV, dato che l’azione della Chiesa ha sempre avuto importanti ripercussioni sulla vita sociale dei popoli.
Ma forse, in questo caso, è sbagliato parlare di “popoli”, dal momento che per Prevost esiste un solo popolo, come emerge dal motto scelto: “in Illo uno unum”, cioè “in Colui che è uno siamo uno solo”.
Unità alla quale, peraltro, aveva già fatto cenno, il giorno dell’elezione, dalla “Loggia delle Benedizioni” della basilica di San Pietro, dopo aver pronunciato la prima parola pubblica del suo pontificato: “pace”, che deve essere “disarmata e disarmante”, poi ripetuta più volte, seguita da quelle di “giustizia”, ponti”, “dialogo” e “carità”.
Tanti, quindi, sono gli elementi manifesti, indicativi delle linee programmatiche del suo pontificato, per le quali si attende però la conferma, che potrebbe già arrivare durante la messa di insediamento del 18 maggio.
Ma l’indizio più significativo, per immaginare le intenzioni del Santo Padre, potrebbe essere il “qui sibi nomen imposuit Leonem Decimum Quartum”, dal momento che, con il nome che si è “imposto”, Leone XIV, vuole continuare sulla strada del suo predecessore Leone XIII, Papa dal 1878 al 1903; cammino, tra l’altro, coerente con la dottrina sociale della Chiesa di Francesco, per ciò che attiene la vicinanza ai “più sofferenti”.
Questo porta a ipotizzare un interesse particolare del Pontefice per la questione -“pericolosa perché uomini turbolenti ed astuti si sforzano ovunque di falsare i giudizi e volgere la questione stessa a perturbamento dei popoli” – della “essersi accumulata la ricchezza in poche mani e largamente estesa la povertà”; situazione che deve essere risolta “secondo giustizia ed equità” e “senza indugio”, con “opportuni provvedimenti ai proletari, che per la maggior parte si trovano in assai misere condizioni, indegne dell’uomo”.
Causa questa anche degli esodi dei popoli e di quello sempre più attuale dell’emigrazione per lavoro, in quanto “non si cambierebbe la patria con un paese straniero, se quella desse di che vivere agiatamente ai suoi figli”; e perché ciò avvenga è anche necessario che non ci siano “imposte eccessive”, dal momento che “è ingiustizia ed inumanità esigere dai privati più del dovere sotto pretesto di imposte”.
Tali attualissime considerazioni, sarebbero potute essere parole di Leone XIV, invece sono state scritte, 134 anni fa, dal Papa dal quale ha preso il nome pontificale, nella enciclica “Rerum Novarum”, promulgata il 15 maggio 1891, nella quale per ben 41 volte viene richiamato il concetto di giustizia e che si conclude con l’invito alla “carità, signora e regina di tutte le virtù….che compendia in sé tutto il Vangelo e che…. è il più sicuro antidoto contro l’orgoglio e l’egoismo del secolo”.
Parole forti, dettate dalla necessità del tempo, rimaste però inascoltate, con il dominio dell’egoismo sul bene sociale e le conseguenti catastrofi storiche del secolo scorso, giunte anacronisticamente sino a noi, che forse hanno condotto il Papa neo eletto a farle proprie, a causa, questa volta, della necessità del nostro di tempo, purtroppo ancora lontanissimo dai suoi, già appassionatamente, invocati aneliti di giustizia sociale e “pace disarmata e disarmante”.