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Non si ferma, Carmelo Aliberti, non sa fermarsi. La Letteratura è una sirena che emana un canto irresistibile per quelli come lui, gli “ulissidi”, così rari, troppo rari, sempre più rari in questi nostri giorni di opulento consumismo, imbellettati con l’inconsistente cerone dell’edonismo.Una sirena, dicevo, che attira con magnetico vigore, offrendo, oltre alla sua bellezza esteriore, anche, e soprattutto, le straordinarie rivelazioni che cela dentro il suo mitico cuore, ricamato di inesauribili magie e mosso da incessanti oceani d’emozioni. Accostarsi al suo suadente abbraccio è un rischio immenso, esiste la possibilità concreta di perdere il senno, dimenticare se stessi, affondare per sempre in abissi sconfinati. Così, tanti, i più, fuggono quel canto divino, anzi, nemmeno ne percepiscono le più remote vibrazioni, volti come sono verso la rassicurante certezza di momenti da consumare in fretta, bruciando sul rogo dell’effimero l’opportunità di scoprire mondi sempre nuovi, diversi, conoscendo così, in definitiva, anche se stessi.

Aliberti però non fa calcoli, e si
abbandona con tutto il cuore e con ogni frammento dell’anima a
quell’incontro che è per lui ragione di vita, certezza insostituibile, amplesso dolce e violento, doloroso talvolta, appagante in ogni caso. Il vero letterato, poeta o narratore che sia, è tale quando riesce, oltre a scrivere, anche, o forse in maniera preponderante, a leggere.
Aliberti non si accontenta delle soddisfazioni innumerevoli che gli
concede ogni giorno la sua innata propensione alla scrittura creativa,
segnatamente alla Poesia, consolidata da riconoscimenti ed ammirazione
praticamente ubiquitari, da critiche favorevolissime, da schiere di lettori che s’infoltiscono giorno dopo giorno; Egli desidera fortemente accostarsi alle opere di altri Autori, per capire il loro pensiero, camminare al loro fianco sui viali dell’esistenza,
raccogliere le loro intime confessioni, provare ciò che essi hanno provato, essere in perfetta simbiosi con il loro animo, in sincronia assoluta di palpiti. La tentazione di tenere per sé i tesori
preziosissimi così conquistati è notevole, ma Aliberti, generoso per
vocazione genetica, vuole concedere agli altri il frutto raro delle sensazioni raccolte con fatica e segreto piacere, ed allora, in modo estremamente naturale, quasi ovvio, nascono le sue splendide opere di saggistica.

Dopo il successo strepitoso ottenuto da “Fulvio Tomizza e la frontiera dell’anima”, testimoniato dalle numerose ristampe, seguendo un percorso che comprende Autori del calibro di Bartolo Cattafi, Melo Freni, Ignazio Silone, Lucio Mastronardi, Michele Prisco, Aliberti propone all’attenzione dei critici e dei lettori “La Narrativa di Carlo Sgorlon” (Bastogi 2003). Carlo Sgorlon è uno scrittore che, malgrado una certa indifferenza della critica alla moda, è annoverato, grazie al giudizio dei suoi tantissimi lettori (e non esiste parere più autorevole), tra i grandi del novecento.
Seguendo la sua tecnica, consolidata ed assai produttiva, il siciliano
Aliberti si muta abilmente nel friulano (Sgorlon nacque a Cassacco, paesino agreste vicino ad Udine), rivestendone la personalità, rivivendone le esperienze, bevendone le amarezze, condividendone i sogni, per fissare sulla carta, con le sue parole intrise di
personalità e lucida sensibilità, quanto appreso ed elaborato con processi interiori mai facili, anzi, sovente incredibilmente sofferti. Certamente, il compito del nostro Saggista è stato, in qualche modo, facilitato dall’indubbio fascino di Sgorlon e da inconfutabili
somiglianze che, per chi lo ha letto e, quindi, lo conosce bene, sono
abbastanza nette, legate al medesimo fertile humus della civiltà contadina, con la sua rilevante storia, le sue tradizioni, i suoi valori morali e mitici. Aliberti espone la vita dello scrittore in
modo minuzioso e garbato, soffermandosi, giustamente, su particolari fondamentali per la comprensione della sua essenza
poetico-esistenziale. Sgorlon nasce e cresce nel contesto di un mondo
apparentemente semplice, quello della campagna friulana, pregno di
suggestioni, paesaggi, leggende, che si sono impresse profondamente nel tessuto in evoluzione di ragazzo, condizionandone successivamente,
in modo sostanziale, i contenuti della sua scrittura.

Fondamentalmente indipendente, dotato di una viva intelligenza, amava trascorrere le giornate in giro per i campi (favorito in questo dagli studi
elementari fatti in casa), annotando ed archiviando le immagini che il suo occhio attento e curioso sapeva cogliere fulmineamente, recependo
le favole, le superstizioni, le atmosfere particolari di quel microcosmo apparentemente ingenuo ma colmo di saggezza e di significati. Gli studi alle medie di Udine affinarono l’innato senso artistico e la passione per la letteratura. La seconda guerra
mondiale, con la caduta del Fascismo (cui, come tanti aveva, con giovanile entusiasmo, aderito) e il successivo caos civile, caratterizzato da tanti repentini salti di barricata cui assistette sgomento, segnò a fondo le sue certezze, provocando in lui la caduta di interesse e di passione per qualsiasi ideologia, con la conseguente decisione di mantenersi, da allora, in una posizione di neutralità,
nell’ottica di una visione pessimistica nei riguardi della storia e dei suoi instabili protagonisti. Laureatosi in Lettere alla Normale di Pisa (con una tesi su Kafka), invece di una promettente carriera universitaria, scelse di insegnare alla Scuole Medie, per formare adeguatamente i discenti, e in modo da potersi dedicare alla scrittura creativa, che lo attirava con sempre maggiore insistenza.
Indipendente, non soggiogato da correnti politiche o letterarie (In
Italia dominava il neorealismo, siamo negli anni Cinquanta), esordisce
con alcuni racconti brevi (“la casa di Coross”, il primo, seguito da
“Il vento nel vigneto”). Nel 1965, passato ai romanzi, dopo essere
stato a lungo ignorato dai grandi editori, Mondadori gli pubblica “La
poltrona”. Successivamente viene edito “La luna color ametista” e “Il
trono di legno”, vincitore con schiacciante superiorità del Super
Campiello. “L’armata dei fiumi perduti”, nel 1985 conquisterà il
prestigioso Premio Strega. Nel 1997, “La malga di Sir” otterrà sia il
Premio Flaiano sia il Super Flaiano. Sgorlon, letteralmente osannato
dai lettori (tradotto in molti paesi, compresa la Cina), ed “accettato” dalla critica, scelse di vivere definitivamente nei luoghi di quella stessa amata campagna che l’aveva visto bambino (risiede, infatti, a Raspano di Cassacco), appena tollerato dai conterranei (nemo propheta in patria!), ma colmo di una straordinaria serenità
interiore, dote che appartiene solamente a chi sa che solo dentro la
propria anima si possono trovare le certezze più salde.

Analizzando una per una le opere di Sgorlon, trovandone precise chiavi di lettura, assorbendone gli echi più segreti, Aliberti sviluppa, poi, un’ampia
visione della poetica e della filosofia sgorloniane, esposte con puntuale chiarezza. Sgorlon è uno scrittore che della coerenza, dell’anticonformismo, e della spinta innovatrice ha fatto un punto di forza. Egli tenta di superare, riuscendovi, l’imperante Decadentismo
(che solo in “La poltrona” e “La notte del ragno mannaro” si può riscontrare), caratterizzato dall’angoscia esistenziale per il “male di vivere”, colmo d’incertezze, precarietà, lacerante senso di vuoto, terrore della morte. Carlo Sgorlon imbastisce una poetica tesa ad emergere dalle paludi della cultura contemporanea per raggiungere rassicuranti certezze d’armonie, tese a fornire ali di speranza e rasserenante futuro che permettano all’uomo di elevarsi oltre i
tormenti esistenziali quotidiani; tale processo di purificazione catartica parte dall’indispensabile presupposto che, lungi dal perpetrare una separazione dagli effetti devastanti, bisogna entrare in perfetta sintonia con l’Essere, armonizzandosi pienamente con Lui, divenendo parte integrante di un progetto cosmico dai mistici riverberi. In questo modo soltanto sarà possibile accettare il nostro destino, con tutte le sue naturali implicazioni, ivi compresa la
morte. Sacralità e religiosità, dunque, sono i veri sentimenti assoluti che possono rinnovare l’uomo e fornirgli i mezzi per la salvezza sua e della natura che lo circonda. Nell’inevitabile mistero che ammanta questa “poetica dell’armonia”, trovano posto strani
personaggi come maghi ed alchimisti che, contrariamente alle convinzioni popolari, sono visti da Sgorlon quasi come degli eroici avventurieri, impegnati strenuamente in una perenne, esoterica ricerca delle soluzioni agli inquietanti arcani che nascondono la conoscenza.

Miti, favole, saghe, leggende, sogni, fantasie sono costantemente presenti nella narrativa di Sgorlon, e il Mito (favola in greco) è particolarmente tenuto in considerazione, poiché costituisce il mezzo per entrare nelle dimensioni eteree del sogno, cioè della fantasia, quindi dell’evasione dalla realtà con la sua squallida oppressione. L’uomo ha bisogno di miti, insostituibili catalizzatori di processi trascendentali che oltrepassino le barriere della realtà con la sua triste sensazione di resa quasi incondizionata agli eventi. E’ bene chiarire che non si tratta di un rifiuto “in toto” della modernità, ma
dei suoi nevrotici eccessi che instillano germi di potente veleno
nell’animo, rendendolo insensibile e vacuo al di fuori di ogni etica.
E, indubbiamente, egli è uno scrittore moderno quando riesce a
realizzare il connubio equilibrato tra cultura arcaica e sentimento
moderno, sutura accurata fra tradizione ed attualità.
L’individualismo, secondo una prospettiva jungiana, è rifiutato,
giacché l’unicità dell’individuo è pura illusione; ogni uomo è un
archetipo, cioè la ripetizione di qualcosa d’antico, mai completamente
cambiato, sebbene apparentemente diverso in ogni sua nuova
rappresentazione, secondo un progetto che sembra disegnato da una
mente superiore. Così pure l’epica, assai infrequente nel
decadentismo, è presenza costante in Sgorlon, perché ne è protagonista
il gruppo, l’intero popolo, non il singolo individuo, ed i valori che
essa esprime sono da molti accettati e condivisi. Il rifiuto del male,
e delle sue vane, allettanti promesse (secondo un’etica di tipo
cristiano) costituisce l’ulteriore caposaldo della poetica di Sgorlon,
con l’elogio del Bene e dei suoi paladini, impavidi cavalieri che
cavalcano purissimi, fieri e fiduciosi, sui sentieri avvincenti di
saghe senza fine. La componente stilistico-strutturale di Sgorlon è,
essa pure, sviscerata e manifestata da Aliberti con sicurezza, e qui
l’esperienza di apprezzato Docente corrobora le intuizioni del Poeta.
In Sgorlon, originale per eccellenza, la figura narrante si erge a
simbolo, portavoce di chi voce non ha, tramite la rievocazione di miti
e leggende, passaporto per il mondo della fantasia e
dell’immaginazione, diritto di tutti che la realtà spesso nega. Il
linguaggio è adeguato, in ogni circostanza, al personaggio
protagonista, scevro da artifici strutturali e sofisticazioni,
musicale nella giusta dose, realista quanto basta. Assistiamo ad un
narrare lucido e visionario, intrecciato di suggestioni. Consistente
l’articolazione degli elementi linguistici e sintattici. La
rievocazione delle proprie origini, assume il significato di un
viaggio introspettivo volto a ritrovare nei labirinti oscuri del
sub-conscio la parte migliore di se stesso, riportandola alla luce, in
modo da ritrovare verità sepolte eppure vive. Nei romanzi epocali,
trame avvincenti si accostano sapientemente alle forme della
narrazione classica. La sua è una letteratura del Sì, una parola che
elimina gli incubi, che attribuisce alla vita valori che è
indispensabile tenere accesi, perché l’uomo trascorra i suoi giorni in
una serena accettazione dell’esistenza, aiutato dal sogno e dai miti,
finalmente emancipato dalle corrosive angosce della realtà. In
conclusione, con questo magnifico volume, di avvincente e mai greve
lettura, utilissimo agli addetti ai lavori, ma destinato praticamente
ad ogni tipo di lettore, Carmelo Aliberti ha realizzato un’opera
fondamentale per la comprensione di Sgorlon, scrittore e uomo,
confermando, nello stesso tempo, la stima di cui gode, e tutto il bene
che si dice di lui e che, senza alcun dubbio, pienamente merita.