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Le porte dello spazio Discontinuo si aprono al pubblico venerdì 27 e sabato 28 agosto dalle ore 19:00 alle 23:00 in Vicolo I Placido Mandanici, 2 Barcellona Pozzo di Gotto.

In mostra le opere degli artisti in residenza dal 23 luglio per la quarta edizione di DISCONTINUO an open studio: Martina Biolo, Roberta Gennaro e il duo Orecchie D’Asino. Con loro Alessandro Costanzo artista siciliano inviato a partecipare per l’attenzione che il Collettivo Flock riserva alla ricerca contemporanea nel contesto territoriale, e Alessio Barchitta membro del collettivo e artista permanete.

Di•scon•tì•nuo/ è un aggettivo dai molteplici significati: è qualcosa o qualcuno incapace di seguire un ritmo costante, specialmente quello conveniente o prestabilito, mentre in matematica indica una funzione discontinua, la funzione di una variabile quando il suo limite, se la variabile tende a certi valori, risulti non definito.

DISCONTINUO è un palazzo liberty, sito in pieno centro storico, che è stato sia la casa che lo studio degli stessi. Ad ogni artista è stata assegnata una stanza vuota, che nel corso della residenza è diventata un vero e proprio studio, mostrando già dai primi giorni le caratteristiche progettuali dei singoli artisti. Questi hanno potuto lavorare a contatto con il territorio, aspetto che ha influenzato inevitabilmente la loro produzione, dando così origine a risultati inaspettati. Le opere in mostra saranno il risultato del mese di residenza. Nella logica dell’open studio, caratterizzante l’evento, attrezzi, residui, errori, prototipi e riferimenti saranno visibili, a metà tra una mostra ed un cantiere in pausa, esaltando non solo il prodotto finale ma l’intero processo evolutivo dell’opera d’arte.

DISCONTINUO an open studio esalta la parte processuale di ogni progetto, dove ogni cosa presentata sarà lo spunto iniziale per un divenire incognito. Anche la cura dello spazio rimarca tale concetto, si è scelto difatti di non cancellare le tracce del passato: testimonianza di un vissuto e potenziamento per il futuro.

I testi sono a cura di Silvia Maiuri, che parallelamente allo sviluppo dei progetti ha osservato, scritto e discusso del lavoro con gli artisti, di seguito alcune sue osservazioni:

Sei artisti che condividono uno spazio destinato alla creazione, progettando giornalmente un percorso di fruizione coinvolgente, vivendo la casa come atelier e viceversa.

Wunderkammer delle memorie. L’installazione site specific di Martina Biolo è uno sforzo di “alfabetizzare” oggetti della tradizione locale – formine per la mostarda, centrini ricamati, piccole anfore di terracotta – usati come matrici per raccontare la storia personale dell’artista in residenza che si arricchisce delle percezioni dei fruitori e delle loro memorie. La comunicazione passa, infatti, attraverso la forma riconoscibile dei segni che riempiono le pareti e il lattice usato per realizzarne il calco che li rende antropomorfi.

Per l’intera durata della residenza Alessandro Costanzo esegue un rituale autocelebrativo: a giorni alterni lavora e riposa contrastando l’esigenza contemporanea di inseguire il tempo. Le sezioni di luminarie in ceramica che produce hanno il peso specifico dell’acqua ingerita dall’artista nei giorni di riposo e dichiarano quindi il suo stare in un luogo e in un tempo che si determina nello scorrere paradossale tra pianificazione e imprevisto.

Lavoro da cani è un’operazione che gioca sull’allegoria artista/cane e s’interroga sul senso del vivere in maniera ironica. Orecchie D’Asino, duo formato da Ornella De Caro e Federica Porro, usa un linguaggio eclettico, mescolanza di parole d’altri e proprie. Il monologo che ne risulta è il sonoro di un video in cui protagonista è un cane abbandonato. La sua voce canina, il fiuto e i guaiti suscitano una riflessione sull’uomo/artista e sul morboso attaccamento a un sistema che lo servilizza.

Il lavoro di Roberta Gennaro è una ricerca sulla molteplicità del concetto di sacro, in particolare sulla volubilità, tutta umana, che caratterizza gli oggetti sacri. Il feticcio, la reliquia sono soggetti pretestuosi che l’artista rende protagonisti del suo discorso per parlare di un mondo che non è più in connessione con la sua energia. Le pale di cemento esposte nel suo studio celebrano entità sconosciute, immagini manipolate, dei e dee che non conosciamo e in cui non riponiamo fede.