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Grande affluenza di pubblico e unanimi consensi per la Mostra “Diversità è Identità” svoltasi stasera, sabato 12 ottobre, alla GALLERIA PROgetto CITTÀ di Piazza Seme d’Arancia a Barcellona Pozzo di Gotto.

In occasione della XV Giornata del Contemporaneo la Collettiva ideata e curata dall’architetto Rosario Andrea Cristelli ha riunito 15 diverse identità ovvero gli artisti Antonello Alagna, Fabrizio Ciappina, Gabriella Donato, Patrizia Donato, Matt Dragà, Giovanni Gargano, Daniela Genovese, Viviana Genovese, Tina Maio, Paola Pensabene, Silvia Ripoll, Marco Rizzo, Luigi Ghersi, Giuseppe Santacroce e Ines Suigo. Grande è stato il successo dell’evento aperto dall’intervento dell’Assessore alla Cultura Angelita Pino che si è trattenuta per lungo tempo in Galleria evidentemente curiosa di scoprire le peculiarità dei singoli artisti. Presente anche la Prof.ssa Tanina Calitri, Rettore dell’Università della Terza Età e la Dott.ssa Maria Rosa Maselli, curatrice della Biblioteca Comunale “Nannino Di Giovanni”. Molto bello il fatto che il visitatore sia stato coinvolto nella mostra divenendo esso stesso parte attiva nel lasciare un segno autografo all’interno di essa, che si potrà storicizzare, a futura memoria. Fra gli artisti Silvia Ripoll, artista della fotografia, dice: “Sono contenta di aver ritrovato tutti i miei colleghi e visto che oggi siamo nella Giornata del Contemporaneo l’augurio che voglio fare a noi artisti è la speranza che si riesca a trovare qualche strada per portare l’arte a tutti.” Patrizia Donato, davanti alla propria opera nella quale sono le Parole le protagoniste, afferma: “Nel social si eccede in parole, il mio non è un richiamo alla segretezza ma a ponderare e valutare ciò che si dice ed improntarlo alla buona volontà che salverà il mondo.”

Molto particolare poi la performance “Frammenti” di Matt Dragà, un altro artista presente in GALLERIA, che ci viene raccontata dallo stesso: “Il progetto nasce da una mia personale ricerca stilistica tra le avanguardie artistiche del Novecento,  con la convinzione di una costante sperimentazione sento,  nel momento storico in cui viviamo,  l’urgenza di condivisione diretta con il visitatore, perché credo nella contaminazione ma soprattutto nel coinvolgimento emotivo del fruitore, quella che definiamo empatia.

“Pensare esige immagini, e le immagini contengono pensiero.”( R. Arnheim )  Da questa citazione si sviluppa il progetto performance “FRAMMENTI”, e la tecnica utilizzata è quella  del collage, già sperimentata con i bambini della  scuola primaria Capuana, oggi viene proposta ad un pubblico più adulto.

La parola “collage” viene dal francese e significa letteralmente “incollare”. Oggi si definisce con questo termine qualsiasi lavoro realizzato incollando su una superficie piana un  insieme elementi, anche diversi, come carta di giornale, carta da parati, illustrazioni o stoffa. Come tecnica artistica vera e propria il collage nasce all’inizio del novecento e fin dagli anni ’30 aveva interessato parecchi artisti, per la libertà espressiva che offriva attraverso l’uso di materiali insoliti e inusuali. Il collage rappresenta un significativo momento dell’arte, poiché, dopo l’esasperato sperimentalismo dell’Espressionismo, denuncia il desiderio di un recupero della materialità, l’aspirazione a restituire all’arte una sua connotazione anche fisica; si pensa insomma di recuperare un vero e proprio corpo a corpo con la materia dell’arte nei suoi aspetti più disparati, con un richiamo ed un aggancio alla realtà oggettuale, alla sua concretezza, ai suoi materiali. In arte terapia il lavoro con il collage si inserisce nell’area più ampia che utilizza i mediatori visivi (il disegno e la fotografia) come strumenti per la conoscenza di sé, l’espressione e la consapevolezza delle proprie emozioni. I motivi che spinsero gli artisti del novecento ad interessarsi al collage, possono dirsi in parte gli stessi che fanno della tecnica del collage una risorsa in arte terapia: infatti, l’uso di materiale concreto da modificare manualmente e la relativa facilità delle operazioni di realizzazione (scelta, taglio, composizione e incollaggio), rende questa tecnica adatta trasversalmente a più tipologie di persone e di contesti. La composizione di un’opera di collage è da una parte abbastanza facile da essere realizzabile da tutti, dall’altra il suo contenuto si rivela così ricco e suggestivo che permette di lavorare a fondo sui processi emotivi e percettivi dell’autore. D’altro canto l’Arte in sé non è un processo necessariamente terapeutico, ma è semplicemente una modalità di esistere dell’uomo che risponde a tre regole fondamentali: comunica, risponde a regole estetiche, ripresenta temi universalmente condivisi. Attraverso frammenti di immagini e frammenti di scrittura si ricostruiscono i luoghi della memoria personale, dando loro nuova forma e nuova esistenza, permettendo di materializzare zone di sé in ombra.”

FRAMMENTI

“Nella nostra epoca il mondo intorno a noi è tagliuzzato in frammenti scarsamente coordinati, mentre le nostre vite individuali sono frammentate in una successione di episodi mal collegati fra loro.“ (Zygmunt Bauman, libro Intervista sull’identità).

L’autoritratto è l’espressione del bisogno di rappresentare se stesso nelle proprie molteplici versioni, maschere che risponderebbero al desiderio delineato da Freud di “vivere una molteplicità di vite”. Attraverso l’autoritratto l’artista può offrire all’osservatore diverse versioni di sé, travestendosi e moltiplicando la propria identità, o può mettere in scena il conflitto, il dubbio e l’angoscia della propria esistenza; tipica degli artisti contemporanei, ( come fece Van Gogh ). Negli autoritratti di quest’ultimo, ad esempio, possiamo forse osservare lo sforzo di oggettivare e di fissare sulla tela il combattuto tentativo, ( mai del tutto compiuto), di dare una forma stabile del proprio sé, un continuo mutamento di percezioni ed emozioni, la ricerca di una definizione  della propria identità. Infatti, per realizzare un autoritratto l’artista deve mettere in atto un meccanismo di difesa basato sullo sdoppiamento tra l’io soggetto e l’io oggetto. L’autoritratto era un mezzo per esteriorizzare emozioni e sentimenti intimi di autoanalisi ed auto-contemplazione. Ogni posa era studiata e mai casuale poiché la riproduzione di quella singola immagine avrebbe conferito immortalità all’artista stesso. Se l’autoritratto appare come una sorta di ammirazione del sé, lo stesso non si può dire per il più moderno selfie, il cui obiettivo non è quello di “restare” ma di essere condiviso al momento e fortunatamente destinato a sparire tra milioni di utenti virtuali. La digitalizzazione e la massiccia esposizione mediatica su alcuni social-network, hanno alterato ed in parte spostato il campo di interesse di gallerie e collezionisti di arte contemporanea, un maggior numero di giovani artisti si è confrontato su temi quali la globalizzazione, su questioni relative alla costruzione dell’identità e all’appartenenza sociale, costringendo il resto della comunità dell’arte visiva a meditare sul ruolo politico e sulla critica costruttiva riguardo a quello che in generale accade nel mondo; l’opportunità giusta per offrire un messaggio rilevante nella società con strategie diverse come l’astrazione, la performance e le installazioni digitali. Per Zygmunt Bauman il sentimento principale che affligge l’uomo postmoderno è il disagio. Ma da cosa ha origine questo disagio? Da diversi fattori, in primis dal problema dell’identità. Nel postmoderno, infatti, a differenza dell’epoca moderna – in cui la questione principale era quella di costruire un’identità e stabilizzarla – si rende necessario evitare qualsiasi tipo di fissazione: non a caso, la parola d’ordine postmoderna circa la questione dell’identità è “riciclare”. Nello specifico, Bauman utilizza figure come quella del pellegrino, del turista e del vagabondo per aiutarci a comprendere la questione. Il pellegrino, figura simbolo dell’età moderna, è il ritratto dell’uomo che sta costruendo la sua vita, il suo futuro, la sua identità, conscio del fatto che domani ci sarà un futuro. Tuttavia ora non c’è più posto per il pellegrino: troppo flessibile è divenuta la realtà perché si possa costruire un qualcosa di stabile e duraturo nel tempo. Ecco allora apparire altre figure di rimpiazzo come quella del “flaneur” (il gentiluomo che vaga per le vie cittadine, provando emozioni nell’osservare il paesaggio) ma, soprattutto, quella del vagabondo. Autentico flagello dell’età moderna, nel postmoderno la figura del vagabondo è rivalutata proprio grazie alla sua mancanza di radici e di stabilità, esattamente come si presenta il mondo in cui ora si trova a vivere. Infine abbiamo il turista, che a differenza del vagabondo ha una casa ma si sposta temporaneamente, alla continua e febbrile ricerca di sensazioni e piaceri. Il rapporto con l’altro è fondamentale per la formazione della nostra identità. L’identità non è statica, ma dinamica, in costante divenire, non è monolitica, ma plurale: è un tessuto costituito di molti fili e molti colori che si sono intrecciati, spezzati, riannodati a più riprese nel corso della storia. L’identità personale, legata al corpo, alla storia, alla memoria, alle relazioni e alle esperienze, pur nella sua unicità, è in continua trasformazione, vive di condivisione. Essa è amalgama di lingue, di culture, di esperienze sia di benessere che traumatiche, di conflitti, di scambi di idee e visioni di sé e del mondo. È questa una dimensione a cui si accede intuitivamente, attraverso la sensibilità estetica, un lavoro di attento ascolto di sé, della propria storia, della realtà che ci circonda. Spesso sono presenti disturbi della identità: identità “liquide”, mal definite, identità alienate, frutto della definizione di altri, identità rigide, difensive, che imprigionano la vita. La differenza è la base su cui si fonda l’identità. La storia di tutta la creazione è scritta, in modo originale, in ognuno di noi. Per differenziarsi e individuarsi è stato ed è necessario  a ciascuno di noi potersi rispecchiare negli occhi di altri uomini e donne, vedere nell’occhio dell’altro sé stessi, il proprio sentire, le proprie emozioni, le proprie visioni di mondo, e non il desiderio o le paure dell’altro. Curiosità, ascolto, condivisione sono impossibili senza l’apertura alla differenza.