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“Se si perdono i ragazzi difficili, la scuola non è una scuola: è un ospedale che cura i sani e respinge i malati.” È questa visione di don Lorenzo Milani, ormai forte, salda e condivisa all’Istituto Tecnico “Enrico Fermi”, sotto la guida della Preside Antonietta Amoroso, che spinge gli insegnanti della Sezione Carceraria, ad entrare ogni giorno con nuovo entusiasmo e con nuovi progetti, nella Casa Circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto.

“Siamo convinti che la scuola abbia non solo un alto valore educativo e formativo – scrivono le Docenti e i Docenti della Sezione Carceraria
ITET “Fermi” – ma possa e debba essere anche occasione di riscatto sociale per chi, per varie cause, non ha potuto o voluto studiare, intraprendendo una strada resa disagevole da errori ma anche da solitudine e dolore. Ogni giorno, alle 8.30, ci ritroviamo nel cortile della Casa Circondariale, e anche se i nostri volti sono coperti dalle mascherine, i nostri occhi sorridono e rivelano il desiderio di cominciare una nuova giornata lavorativa. Raggiungiamo il piccolo prefabbricato adibito a scuola e lì aspettiamo i nostri alunni che in maniera non sempre ordinata arrivano in piccoli gruppi: in tanti hanno la sigaretta accesa, quasi tutti senza mascherina, ma nel momento in cui mettono piede nell’ambiente che sanno che è la loro scuola, via le sigarette e su le mascherine.
E’ bellissimo ogni mattina accoglierli e poter trasmettere affetto con il nostro sorriso ma anche percepire d’esserne ricambiati. Diventa difficile per chi vive questa esperienza pensare ad una scuola diversa da questa e con altri alunni.
Le lezioni iniziano e trascorrono velocemente, qualcuno a volte si distrae ma molto spesso gli studenti ti riempiono di domande, anche apparentemente banali, che hanno tutte un filo rosso che le unisce: cosa succede al di là di queste mura? Allora le lezioni prendono sempre una strada diversa e improvvisa e tutto ciò che avevi preparato salta e si inizia assieme a parlare dei loro stati d’animo, della loro voglia di riscatto, dei loro progetti futuri pieni di speranze, ma anche di te e della tua vita che viene messa a confronto con la loro.
Così le lezioni iniziano e non senza difficoltà, alle volte è difficile far concentrare gli alunni, distratti da notizie personali che arrivano dall’esterno o in ansia per il verdetto di un processo, ma noi andiamo avanti con ancor più determinazione e forza. Qualcuno, fra un lavoro ed un altro, si apre e ci racconta la causa della sua detenzione. Da parte nostra nessuna condanna, nessun giudizio, siamo tutti imperfetti e non perfetti, siamo insegnanti non giudici, e più di un pensiero d’affetto va a loro e a chi ha subito i loro sbagli e questo ci spinge a dare di più nella speranza che siano chiari per loro gli errori commessi. Insegnare in carcere non è solo trasmettere saperi ma è soprattutto ricevere e dare spunti di riflessione personale.
Ci piacerebbe farvi vedere come questi alunni, con la specificità di essere adulti e detenuti, si piegano sul banco e a testa bassa lavorano o come, guidati dalla professoressa d’inglese, ripetono i nomi dei mesi indicando il mese della propria nascita. Sarebbe bello farvi vedere i loro volti stupiti ed affascinati di fronte alla magia dei miti loro raccontati, o farvi assistere alle richieste di esercizi di matematica, che gli studenti rivolgono ai professori, e la gioia nei nostri volti quando il giorno dopo li consegnano spesso senza aver fatto errori, o come stanno imparando ad utilizzare le squadrette per il disegno tecnico e come guardano le immagini di architetture con curiosità ed attenzione. Sarebbe bello, ma non si può.
Allora queste nostre riflessioni si pongono come umile scopo: quello di coinvolgere, nel nome dei valori dell’umanità, anche te, caro lettore. Immagina. Immagina d’esser privo di tutto ciò che consideri importante, di non poter uscire, di non poter parlare con i tuoi familiari, prendere un gelato, fare una telefonata. Immagina che ogni giornata sia uguale all’altra per anni e anni e ora chiediti: cosa farei? Come potrei trascorrere giornate di festa in un luogo così, gravato inoltre da una colpa? Ecco noi non vogliamo santificare o redimere nessuno, noi vogliamo solo donarvi un’immagine natalizia diversa. Questa immagine ha la forma di due ali non omogenee e queste ali sono proprio composte dagli alunni della Casa Circondariale, davanti al portone di scuola, alla fine delle lezioni, che si aprono al nostro passaggio per permetterci di uscire, di andare verso la libertà, con i loro sguardi addosso a noi, i loro professori del “Fermi”, che sembrano dirci: tornate domani, vero? Tornate!
È così che la fiducia nella cultura diventa per loro una speranza di libertà”.