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Un ulteriore, autorevole riconoscimento per Antonio Catalfamo, poeta, critico letterario, docente universitario barcellonese, attualmente impegnato presso la Sichuan International Studies University, avente sede nella più grande città metropolitana cinese, ChongQing (33 milioni di abitanti).

Il suo recente volume su Pier Paolo Pasolini, uscito in occasione del centenario della nascita dello scrittore d’origini friulane (in linea materna), è stato recensito da Franco Ferrarotti, padre rifondatore della Sociologia italiana nell’immediato secondo dopoguerra (dopo che il fascismo, se non aveva abolito, aveva ridotto quasi a nulla questa disciplina) e titolare della prima cattedra della materia sorta presso l’Università “La Sapienza” di Roma.

La nota, riguardante il volume di Antonio Catalfamo, recentemente pubblicato ed intitolato “Pasolini ‘eretico solitario’ e la lezione inascoltata di Gramsci” (Edizioni Solfanelli, Chieti), è apparsa su “La Critica Sociologica”, rivista fondata dallo stesso Ferrarotti nel 1967, succeduta ai “Quaderni di Sociologia”, anch’essi fondati, nel 1951, e diretti dal grande sociologo, che aveva come vice-direttore nientemeno che il filosofo Nicola Abbagnano, che aveva deciso generosamente di appoggiare l’ex studente che aveva sostenuto con lui la sua tesi su Veblen, rifiutata da altri colleghi, che non avevano voluto avventurarsi sulla strada accidentata ed allora inesplorata, in Italia, della ricerca sociologica.
Una collocazione, dunque, su una rivista di grande prestigio, a firma di uno degli intellettuali più autorevoli a livello internazionale. Ferrarotti, infatti, oltre che all’Università “La Sapienza” di Roma, ha insegnato in diversi atenei stranieri, fra cui la New York University e La Sorbona di Parigi.

L’illustre accademico, nella sua nota, esordisce esprimendo un giudizio lusinghiero su Antonio Catalfamo, così formulato: “Noto e apprezzato studioso dei classici della letteratura italiana, da Dante a Boccaccio, da anni responsabile dell’ ‘Osservatorio internazionale di Studi su Cesare Pavese’, l’Autore non disdegna di occuparsi, con la consueta acribia, sia filologica che sostanziale, di scrittori contemporanei, immersi, come Pier Paolo Pasolini, nell’attualità che li porta, talvolta in modi così spicci da riuscire sconcertanti, dalla poesia al giornalismo, al cinema e alla televisione”.
Ferrarotti condivide l’approccio critico di Catalfamo all’opera di Pasolini, che non è assolutamente agiografico, ma volto ad individuarne il reale contenuto ideologico, evidenziandone anche le contraddizioni.

Così dettaglia Ferrarotti: “Lo scrittore friulano viene da Catalfamo esplorato meticolosamente in quasi tutti gli aspetti del suo frenetico attivismo. Le sue contraddizioni e ‘fughe in avanti’ vengono chiaramente dichiarate e commentate. In particolare, come in altra sede ho potuto rilevare, viene chiarito quel modo di pensare che, riassunto un problema sociale con una suggestiva metafora, da questa poi viene logicamente derivato un ragionamento che solo difficilmente illumina la situazione reale dei problemi sociali cui si riferisce. Ciò consente a Pasolini di risolvere questioni duramente di fatto con formule letterarie, problemi etici con atteggiamenti estetici, sermoneggiare da eretico rivoluzionario, ma dalle colonne del perbenistico ‘Corriere della Sera’. Se si pensa, per esempio, a un Gioacchino Belli, che la notte scrive sonetti sulfurei contro i poteri clericali e di giorno si guadagna il pane lavorando nell’ufficio-censura del papa, è difficile negare che Pasolini sia profondamente radicato ed essenzialmente rappresentativo, non per farne un semplice Arlecchino servo di due padroni, delle tradizionali italiche  ‘muse appigionate’ ”.

Ferrarotti conclude la sua nota con un ricordo, richiamando una polemica con Pasolini, ch’egli conosceva personalmente. Leggiamo: “Ho avuto la fortuna di incontrare e polemizzare con il poeta di Le ceneri di Gramsci più di una volta, tentando di dimostrargli che confondeva lo sviluppo, relativamente ordinato e omogeneo, con la caotica espansione, determinata dalla massimizzazione del profitto privato; che ‘l’omologazione’ altro non era che il segno di una incipiente eguaglianza sociale; che il potere non era il ‘Palazzo’, bensì il potere che non Intende essa esercitarsi come potere per non venire giudicato e quindi eternizzare lo status quo, e così via. In questo senso e in questa prospettiva storica ha ragione Stefania Rossini quando scrive (‘L’Espresso’, 7 novembre 2021) che senza Pasolini tutti si sono sentiti ‘un po’ orfani’ ”.

Tutto ciò porta Ferrarotti a concludere così la sua nota: “ La monografia di Catalfamo è in proposito un contributo prezioso, soprattutto tenendo conto della presente inappetenza intellettuale, cui quella che mi permetto di definire ‘società irretita’ ci va quotidianamente condannando”. Una conferma più autorevole della validità dei suoi studi su Pasolini, nel centenario della nascita dello scrittore d’origini friulane, non poteva giungere ad Antonio Catalfamo, che ha ringraziato Ferrarotti per la sua analisi profonda e generosa.