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Nino Pino Balotta entra ufficialmente nella collezione del Museo Epicentro con due testimonianze storiche scritte e indirizzate a Salvatore Quasimodo, Premio Nobel per la letteratura nel 1959, che provengono dall’archivio Nino Pino di Barcellona Pozzo di Gotto.

Disposte dal fondatore del Museo Nino Abbate su mattonelle di cm. 30×30, con la loro presenza arricchiscono la storia artistica e culturale della collezione unica nel panorama internazionale dell’arte contemporanea, dove la mattonella in cotto  cambia il suo significato primario da manufatto per l’edilizia ad “Opera d’Arte”. Il suo supporto, in uguale misura per tutti, accoglie le testimonianze scritte o figurate con qualsiasi tecnica, materiali e colori dei personaggi storici invitati, e la presenza di Nino Pino Balotta artisticamente completa ancor di più la storia della collezione perchè siamo di fronte ad un futurista critico che intende immettere nel movimento quella freschezza antistituzionale dei tempi eroici, cercando al tempo stesso di staccare il futurismo dall’ottica del fascismo”.

Nino Pino Balotta (Barcellona Pozzo di Gotto, 1909-1987), colse i segni di un movimento libertario e anticonservatore, portandone a maturazione i contenuti pubblicati nel primo volume di versi “Sciami di Sparse Parole”, come sappiamo dalla sottotitolazione di alcuni testi con il termine “fotopoesia”, che deriva dalla poetica dell’“aeropoesia” del futurismo della “terza serie” il cui manifesto è del 1931, mentre la sua adesione al movimento di Filippo Tommaso Marinetti  risale alla collaborazione con la rivista romana Nuovo futurismo, degli anni 1933-35.

Nino Pino Balotta, letterariamente opera al centro di una provincia, quella messinese, in cui “i figli del terremoto” avevano dato fuoco alle polveri futuriste: Enrico Cardile di Novara di Sicilia, Guglielmo Jannelli, Giovanni Antonio di Giacomo di Ragusa, detto Vann’Antò, insieme al sorprendente giovane poeta parolibero Salvatore Quasimodo. A loro si deve l’uscita de “La Balza futurista” con tipografia a Ragusa e direzioni a Messina e tra i loro collaboratori il già citato Boccioni e Balla insieme a Depero.

La mostra dedicata a /Nino Pino Balotta  e i futuristi/, “Omaggio nel trentennale della morte”, al Villino Liberty, Barcellona P.G. torna oggi a essere culturalmente l’epicentro di una provincia che va in scena e che ha i suoi numeri per recitare parti importanti: il Villino Liberty in attesa di diventare Museo della cultura, l’altrettanto finora privato Villino Jannelli a Castroreale reso illustre da Depero e Balla che collaboravano alla rivista La Balza dei futuristi messinesi.

E laddove quest’epicentro fosse ancora inghiottito nel vortice del futuro appena fuori Barcellona Pozzo di Gotto, a Gala, lo scultore Nino Abbate, che con la sua maieutica dà forma e poesia alla pietra serena, all’insegna dei versi del poeta Bartolo Cattafi, divenuti un logo prestigioso, si è inventato quel Museo della mattonella che nello spazio democratico di un 30×30 di terracotta propone un percorso attraverso l’arte italiana – in tutte le sue forme espressive e strumentali – che non tralascia nessuna scuola dell’arte pittorica formale e e informale del paese e di cui in tanti – artisti e critici di storia dell’arte – pensano che per esistere nel panorama italico bisogna esserci in quella mattonella  allineata a tutte le altre che illustrano il panorama delle arti italiche.

Andare al Museo Epicentro, significa ritrovarsi nel vortice di una collezione coloratissima e illuminatissima, alla presenza, tra gli altri di Guido Strazza (Grosseto, 1922) erede di Balla e Depero, con la sua mattonella in cotto di cm. 30×30 che è proprio tra gli “Artisti per Epicentro”. Strazza, inizia la sua attività artistica nel “Futurismo” dopo un incontro con Filippo Tommaso Marinetti che vede i suoi lavori giovanili e lo invita alle mostre di Aeropittura che si tengono, nel 1942, a Roma, in Palazzo Braschi, e a Venezia nell’ambito del Biennale internazionale d’arte nella “Mostra del Futurismo Italiano”.

Curiosamente, quando i futuristi riuscirono ad esporre per la prima volta alla Biennale di Venezia, lo fecero, nel 1926, ospiti del Padiglione dell’Urss. (I futuristi sovietici). Non fu il padiglione Italia a esporre le loro opere, solo nel 1942 la sede espositiva ebbe il nome di Padiglione del Futurismo italiano.