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Il giorno dopo il saluto di Padre Alfonso Bruno congedatosi dalla chiesa di San Rocco in Calderà, in una domenica speciale che gli ha regalato un ultimo grande tributo tra partecipazione, emozioni e il riconoscimento all’impegno anche dall’amministrazione comunale, vi riproponiamo l’OMELIA/DISCORSO proposto ieri mattina.
In occasione della fine del mandato pastorale:

“Siano lodati Gesù e Maria!

Cari fratelli e sorelle, tra poco spiegherò le mie vele in direzione del vento dello Spirito che soffia verso la Città Eterna.
Mi spingerò esattamente oltre la linea di quest’orizzonte che contemplo da anni sul sagrato della nostra chiesa.
Questo mare dai luccichii brillanti d’inverno e dai lunghi tramonti d’estate rappresenta per me la sfida evangelizzatrice che ho raccolto al mio arrivo e che raccolgo ora alla mia partenza.
La spiaggia di Calderà, da dove viene imbarcato il simulacro di San Rocco per la processione annuale a mare, è oggi per me come la spiaggia di Mileto per San Paolo.
Lì l’apostolo piange con quelle lacrime versate per le insidie, lacrime che hanno irrigato il suo umile e instancabile servizio, lacrime sparse notte e giorno per ammonire gli anziani di Efeso.
Anche io ho pianto dall’annuncio della mia partenza come prova di una partecipazione effettiva ed affettiva, di un coinvolgimento serio con i destinatari del mio appassionato servizio pastorale, segno di relazioni profonde e vere generate dalla Parola.
Nella prima infanzia si comunica ogni bisogno attraverso il pianto, che solo più tardi si tradurrà in parola.
Di chi non manifesta il proprio dolore in pubblico, si dice spesso che è capace di sopportarlo con dignità e compostezza, quasi si debba vergognare.
Papa Francesco durante il viaggio apostolico nelle Filippine disse ai giovani: “Al mondo di oggi manca il pianto!
Piangono gli emarginati, piangono quelli che sono messi da parte, piangono i disprezzati, ma quelli che fanno una vita, più o meno senza necessità, non sanno piangere”.
Nel mondo antico piangere non significava dimostrarsi deboli, il pianto era considerato anzi manifestazione profonda dei propri sentimenti di dolore, frustrazione, nostalgia.
Le lacrime della mia “Odissea” personale, come quelle di Ulisse esprimono molteplici sentimenti che non sono dominati dalla debolezza, se mai il contrario, esprimono piena accettazione della propria umanità e quindi irrompono in quella sfera che rende eroico l’uomo: vivere nonostante la propria finitezza.
Anche Gesù piange, accogliendo in sé ogni aspetto dell’essenza umana, partecipandone fino in fondo.
Il Signore piange sull’amico Lazzaro, mentre si avvicina a Gerusalemme e ne profetizza la distruzione e durante la preghiera e l’agonia nel Getsemani.
Il pianto di Gesù è l’antidoto contro l’indifferenza per la sofferenza dei miei fratelli. Quel pianto insegna a fare mio il dolore degli altri, a rendermi partecipe del disagio e della sofferenza di quanti vivono nelle situazioni più dolorose.
Quand’ero bambino volevo entrare in Marina perché vedevo nell’ufficiale esemplare di mio padre un modello di uomo forte e coraggioso.
Più tardi capii che per entrare tra i francescani occorreva essere addirittura più forti!
Uomini fortissimi, nel coraggio della fede, furono infatti San Francesco d’Assisi, San Massimiliano Maria Kolbe, San Pio da Pietrelcina…
Preferii quindi il cammino della consacrazione a Dio indossando con onore il saio a forma di croce.
Con i miei confratelli Francescani dell’Immacolata sono arrivato a Barcellona Pozzo di Gotto nell’Anno della Misericordia e nel giorno di una santa della misericordia: Madre Teresa di Calcutta.
Era il 5 settembre 2015.
Quest’esperienza di sei anni come parroco e anche responsabile della casa di spiritualità “Santa Maria del Cenacolo” mi ha fortemente umanizzato e ve ne sono grato.
In un’epoca dettata dalla polarizzazione e dalla confusione, quello che salva soprattutto noi chierici dal cadere nelle ideologie stupide è la vicinanza al popolo di Dio.
La vicinanza al popolo di Dio è tanto importante perché ci “inquadra”.
Le nostre radici sono nella Chiesa, che è il popolo di Dio.
Per amore del mio popolo ho assistito ai primi vagiti dei neonati e all’ultimo respiro degli agonizzanti.
Ho benedetto l’amore degli sposi, fatto nascere alla vita divina con il battesimo, fatto rinascere all’amicizia con Dio con la confessione e soprattutto aver spezzato e distribuito il Pane dell’Eucarestia.
Queste per me sono le opere più importanti.
Mi avete aperto la porta delle vostre case e del vostro cuore in un dinamismo di reciprocità.
So quanto vi ho amato, ma chiedo egualmente scusa se avessi offeso qualcuno o dato cattivo esempio.
Chi invece avesse assunto verso di me un atteggiamento negativo, posso rassicuralo di averlo già da tempo perdonato.
Quanto alle istituzioni, che ringrazio per il pubblico attestato di stima, abbiamo vissuto insieme una felice stagione di collaborazione in vista del bene comune, secondo il principio di sussidiarietà e nel rispetto vicendevole e virtuoso.
Spero e prego affinché la nostra frazione possa sempre distinguersi per civismo e legalità all’interno della città di Barcellona Pozzo di Gotto.
Come San Rocco, con il suo bastone e la sua borraccia, mi reco pellegrino a Roma, vicino al successore di S. Pietro.
Lì assumerò il governo del nostro studentato teologico internazionale dove si formano i futuri sacerdoti dei Frati Francescani dell’Immacolata.
Ringrazio i miei superiori per la stima e la fiducia nel delicato incarico.
Con l’aiuto di Dio e vostro, farò del mio meglio per non disattendere le loro attese.
“Tutto posso in Colui che mi da la forza attraverso l’Immacolata”, diceva S. Massimiliano M. Kolbe.
A Roma mi ritroverò con quarantacinque giovani frati di diversi Paesi del mondo ai quali comunicherò come formatore la bellezza del sacerdozio, del francescanesimo, della marianità e della vita missionaria, in cui credo fermamente.
Mi premurerò anche di condividere loro quanto di buono la gente semplice e dignitosa del nostro territorio mi ha insegnato.
“Ascoltino gli umili e si rallegrino” (Sal 34,3).
Ci sono valori che si imparano con il sangue e con il sudore più che sui tanti libri che pertanto ho letto e studiato con diletto.
L’evangelista Marco ci parla oggi del comandamento dell’amore: a Dio e al prossimo.
I due elementi sono inseparabili come le ali di una colomba messaggera di pace o di un’aquila che vola in alto per guardare più lontano.
Rimaniamo uniti nell’amore di Dio e nell’amore reciproco.
Formulo i migliori auguri al nuovo parroco P. Michele Maria Iorio.
È principalmente a lui che debbo la mia vocazione perché Il Signore, pur essendo onnipotente, si serve sempre di uomini per realizzare i suoi progetti di amore e di santificazione.
Il Signore gli affida adesso le anime della parrocchia di San Rocco in Calderà; io invece vi affido p. Michele!
Entrambi però, cioè lui, voi e l’intera città, affido alla premurosa cura e protezione della Bedda Matri, la Madonna del Tindari che dal suo trono e dalla sua pelle abbronzata ci ricorda che regnare è servire e che dobbiamo assorbire la luce di verità e il calore dell’amore del sole senza tramonto: Cristo Signore.
Il mio non è un addio né tampoco un arrivederci.
Nella preghiera e nell’affetto rimango e rimarrò sempre con voi!

Siano lodati Gesù e Maria!”

P. Alfonso Maria Angelo BRUNO FI