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Continua a livello internazionale l’attenzione per l’opera letteraria di Antonio Catalfamo, poeta e scrittore, critico e docente universitario, nato a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), dove ha vissuto e vive, a parte gli impegni professionali, anche se la famiglia paterna è originaria della frazione Bafìa del vicino comune di Castroreale.

In occasione della pubblicazione del suo nuovo volume di versi, ‘La rivolta dei demoni ballerini’, per i tipi della prestigiosa casa editrice Pendragon di Bologna, ha rilasciato una lunga intervista a Graciela Caram Catalano, docente universitaria argentina, che è stata pubblicata dall’autorevole rivista «Cuadernos del Hipogrifo», che raggruppa nel suo Comitato Scientifico numerosi professori di Letteratura ispano-americana, che operano in parecchie università dell’America Latina e del resto del mondo.

Antonio Catalfamo è particolarmente conosciuto negli ambienti accademici latino-americani e soprattutto argentini, in quanto per un ventennio ha curato, come coordinatore dell’«Osservatorio permanente sugli studi pavesiani nel mondo», organo interno al CE.PA.M. (Centro Pavesiano Museo casa natale), avente sede nella casa in cui è nato lo scrittore Cesare Pavese, a Santo Stefano Belbo (Cuneo), venti volumi di saggi internazionali di critica pavesiana (uno l’anno), a cui hanno collaborato con loro scritti molti docenti universitari argentini, assieme a tanti altri, operanti in tutti i continenti. Graciela Caram è fra questi.

Ma Catalfamo è conosciuto in Argentina e in America Latina anche come poeta per l’influenza che nella sua poetica hanno avuto poeti latino-americani e, comunque, di lingua spagnola, come Pablo Neruda, Rafael Alberti, Federico García Lorca, Nicolas Guillén, Ernesto Cardenal. Da qui l’interesse della rivista «Cuadernos del Hipogrifo». Antonio Piromalli, maestro di Antonio Catalfamo, docente universitario da ultimo presso l’Università di Cassino, ha colto questa commistione di cultura greca e paleo-ellenica, derivante dal suo territorio di provenienza, e la cultura spagnola, per via della dominazione ispanica che c’è stata in Sicilia e si è stratificata nella civiltà dell’isola, assieme a tante altre (fra le più importanti quella araba).

Ha scritto l’illustre accademico a proposito dell’originale fusione di culture presente nei versi di Catalfamo: «La cultura popolare è fusa nel sentimento […] che si esprime in figure locali, in ricordi di riti, memorie di Tindari, dei pastori, in ripudi dell’inconoscibile, in concettosa saggezza che si dipana in immagini. I versi brevi con le loro situazioni reali o mitiche non sono descrittivi ma creano interrogativi legati ai nodi della cultura isolana, esistenziali dubbi, epigrammi dolce-amari. L’alessandrinismo si unisce con la lettura di Lorca in certi componimenti ricchi di colore».
Wafaa A. Raouf El Beih, docente di Letteratura italianna all’Università Helwan de Il Cairo, nella lunga prefazione a La rivolta dei demoni ballerini, ha precisato i caratteri che assume la dimensione del mito nella versione aggiornata racchiusa in questa ultima raccolta di Antonio Catalfamo: «Il poeta si richiama al concetto di “biogeografia culturale”, in base al quale il territorio non costituisce solo un’area geografica. In esso si stratificano tutte le civiltà che si sono succedute nel corso dei secoli, anzi dei millenni, con i valori e i sentimenti che ad esse hanno dato vita. Anche il poeta, se è profondamente legato a quel territorio, assomma in sé quelle civiltà, per cui si viene a creare una “corrispondenza biunivoca” tra lui e il territorio di riferimento. Egli riesce a “decriptare” i messaggi “cifrati” che vengono da questo territorio e a tradurli in versi. E’ la “poesia della vita”, l’unica che merita di essere perseguita».

Così Antonio Catalfamo spiega, nell’intervista alla rivista «Cuadernos del Hipogrifo», il modo in cui nella sua poesia si concretizza l’influenza del mito greco, filtrato attraverso le figure del nonno e del padre, dei contadini del suo paese d’origine, in lotta per l’emancipazione: «Io sono nato e vissuto in un’area geografica e culturale con remote scaturigini greche, in quella che si suole definire la Magna Grecia, cioè quell’insieme di colonie che, ad un certo punto, ospitarono una popolazione greca addirittura più numerosa di quella della madrepatria. La frazione dove abitavano i miei nonni si chiamava (e si chiama ancora, per quel che ne rimane) Bafìa, dal greco “Bafèus”: “tintore di pelli”. Evidentemente era un villaggio di pastori greci dediti all’allevamento del bestiame e alla tintura di pelli. Questa dimensione pastorale dell’economia locale, unita a quella agricola, ad essa collegata, permaneva quand’io ero bambino e frequentavo quei luoghi. Si conservavano tutta una serie di riti d’origine greca, residui di religione pagana, tecniche di lavoro che affondavano le radici nei millenni. Ai tempi in cui era giovane mio padre sopravvivevano anche forme teatrali d’origine greca, sacre rappresentazioni nelle quali sul sacro prevaleva il profano derivante dai “fliaci”, forme di rappresentazione salaci e triviali che si erano affermate nella Sicilia orientale con evidenti origini greche. In un vaso corinzio appaiono delle figure simili ai fliaci, con un fallo particolarmente pronunciato, simbolo di fecondità: sono demoni ballerini legati al culto di Dioniso, che assomigliano ai satiri. Nella mitologia greca queste figure si accavallano e si confondono. Va ricordato che il mondo “ipoctonio” nella cultura greca interagisce con quello terrestre, sprigionando una forza che è costruttiva, fecondante, e, nello stesso tempo, distruttivo. Così ho immaginato i contadini organizzati nella Camera del Lavoro guidata da mio nonno come eredi di queste figure (fliaci, demoni ballerini, satiri), i quali, con le loro lotte, contribuiscono a distruggere il vecchio mondo di rapporti economici di tipo feudale e a costruirne uno nuovo. Ma il loro ruolo, ad un certo punto, si è esaurito, perché la società contadina è crollata sotto i colpi della società dei consumi, della società capitalistica cosiddetta “matura”».

Jack Hirschman, il più grande poeta americano del dissenso, tanto che la città di San Francisco, nel 2006, gli ha conferito il titolo di «poeta laureato», rimasto affascinato da questa fusione originale tra mito e realtà, ha scritto: «Catalfamo ha fatto quello che altri poeti non hanno avuto il coraggio di fare: ha cercato di affermare l’esistenza di un processo comunista, e quindi riaffermare quel processo come un fiume che scorre da Ora al Futuro. Per rendere questo possibile ha dovuto affrontare onestamente e senza esitazioni la propria storia e la storia di quelli che rappresentano le figure più profonde della sua vita e della vita dell’Italia del dopoguerra: le figure della sua famiglia – genitori e nonni – e quelle dei pastori analfabeti del suo paese che, nella loro lotta contro il fascismo ecclesiastico e la mafia, hanno imparato dal miglior maestro – la lotta stessa – cos’è il comunismo».

Roberto Roversi, direttore, negli anni Cinquanta del secolo scorso, della famosa rivista «Officina», assieme al suo compagno di studi Pasolini, ha colto la dimensione rivoluzionaria che da sempre caratterizza la poesia di Antonio Catalfamo: «La raccolta necessaria di un anarchico dalla vita smossa, quindi fortemente condizionato dalla vita in ognuna delle sue incombenti significazioni. Un anarchico di pensiero e di cuore che sottoscrive il moto sollecito ed agitato delle idee e dei sentimenti, mai consumandosi ad inseguirli negletto e un poco soltanto infuriato, ma speculandoli con una costanza faticosa e lucidamente aggressiva, vigile; costanza assidua, che non esclude spesso, e in momenti scanditi, una acuta, direi fredda meraviglia. Meraviglia talvolta fredda, intercalata anche da un florilegio lirico di allusioni erotiche (stupendamente dipinte) di raffinata ed estrosa varietà e vivacità».
Roversi fa riferimento alla componente erotica che figura anche nell’ultima raccolta, La rivolta dei demoni ballerini, nella quale si riverbera la visione averroista dell’amore, presente nella letteratura italiana delle origini, attraverso la Scuola poetica siciliana di Federico II di Svevia e Donna me prega di Guido Cavalcanti, che rappresenta la passione amorosa nella sua totalità, come unione fisica e, insieme, “spirituale”.

Alfredo Antonaros, scrittore italo-eritreo, che, fra l’altro, ha pubblicato tre romanzi di successo con Feltrinelli, nella postfazione a questo volume di versi di Catalfamo, ha voluto sottolineare, oltre all’onestà intellettuale del poeta, la sua estrema coerenza: «Certo che comunque lui, Antonio, mai rinuncerà al suo sistema che è anche un percorso, innanzitutto, una linea che passa per la Sicilia rurale e preistorica, poi sale al nord nella Trieste di Saba, e devia sul Piemonte di Pavese e di Gramsci. La sua poesia sta sempre sulle cose, ne afferra i particolari, ama i dettagli, sa di parlare di situazioni molto complicate che non meritano la paura ma solo la verità».