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Riceviamo da Floriana Giannetti e pubblichiamo integralmente il presente articolo.

 

Scrive Guy De Maupassant che ‘La Sicilia è il paese delle arance, del suolo fiorito la cui aria, in primavera, è tutto un profumo….Ma quel che ne fa una terra necessaria a vedersi e unica al mondo, è il fatto che da un’estremità all’altra essa si può definire uno strano e divino museo di architettura’. Da questa terra speciale, dalla Conca d’Oro della splendida Palermo, è venuta per noi dell’Archeoclub di Cassino l’Arch. Maria Luisa Ferrara a conferire sul tema Monumenti e rovine: storia del restauro archeologico in Sicilia tra Settecento e Novecento. Nel tracciare il profilo biografico dell’ospite il nostro Presidente, Arch. Giuseppe Picano, ne ricorda la Laurea in Architettura conseguita con lode all’Università degli Studi di Palermo nel 1999, i numerosi incarichi di insegnamento presso la Facoltà di Architettura della stessa Università sul “Restauro archeologico”, il Dottorato di Ricerca sulla Conservazione dei Beni Architettonici presso l’Università degli Studi di Firenze (2000-2001) e la  ‘Federico II’ di Napoli (2002-2005), nonché le numerose pubblicazioni e partecipazioni a convegni nazionali e internazionali. Sul terreno della storia del restauro (cioè della manutenzione, del recupero e ripristino di manufatti di particolare valore) la Dott.ssa Ferrara si avventura in una narrazione ricca e dettagliata che parte dal concetto di restauro dopo la rivoluzione francese fino al restauro romantico, a quello filologico di Camillo Boito, al programma di restaurazione del patrimonio avviato in Italia dopo Napoleone,  per arrivare  alla Teoria del Restauro di Cesare Brandi (1963)  e alla importante Carta del Restauro di Gustavo Giovannoni (1931), primo documento che unifica le normative in materia di restauro.

Dal Settecento al Novecento, lo scenario dei personaggi e delle vicende di tre secoli di Sicilia è ricco e avvincente. La Trinacria, ‘terra del mito’,   nel sec. XVIII     (dominato dalla figura di Winchelmann)   diventa punto d’approdo di molti giovani rampolli europei, spinti in Italia dal desiderio di viaggiare, di conoscere e conoscersi attraverso la riscoperta della classicità. Da Goethe a Diderot e D’Alambert, sono in molti ad affrontare le fatiche di un viaggio in Sicilia, con i collegamenti difficili e la paura dei briganti. Tutto, pur di consentirsi l’ascesa dell’Etna, il senso dell’orrido, la possibilità di  raccontare, al ritorno, fenomeni prodigiosi e la Palermo distrutta dal terremoto. I loro diari e le descrizioni straordinarie che Goethe affida al suo ‘Viaggio in Italia’ promuovono e istituzionalizzano la consapevolezza  della necessità di conservare i beni dell’isola. ‘Senza vedere la Sicilia, non ci si può fare nessuna idea dell’Italia. É qui che si trova la chiave di tutto’. Già nell’agosto del 1745 Ferdinando IV di Borbone aveva emanato un provvedimento di tutela del territorio in cui cresce la spettacolare millenaria  pianta di Castagno dei Cento Cavalli. Ed è la prima volta che un bene paesaggistico diventa monumentale. Risale al 1778 la prima riorganizzazione statale per il restauro dei monumenti archeologici e al 1781 il primo  criterio moderno di restauro, basato sulla riconoscibilità della parte restaurata rispetto all’originale. Sotto la direzione del principe di Torremuzza nel 1781 viene realizzato  a Segesta (Trapani)  il primo intervento di restauro  con sperimentazione di metodi e di materiali.

 

 

 

 

Mentre sullo schermo scorrono le immagini, la Dott.ssa  Ferrara racconta che nel 1761 il tempio della città, colpito da un fulmine, aveva subito danni alla seconda colonna, con distacco di numerosi frammenti, cui si era unita nel tempo l’azione abrasiva del vento. Nel 1835 i fratelli Cavallari riescono a identificare, nel cumulo di ruderi,  i frammenti delle colonne, e le ricostruiscono con intervento di anastilosi, risollevandone gli elementi. A tutela delle opere monumentali si istituisce,  in quel periodo, una struttura molto ramificata di regi custodi. Sono l’architetto, il disegnatore di prospettive, il capomastro. Nella cultura romantica è opera d’arte tutto ciò  che lascia un vuoto, che apre alla nostra mente infinite possibilità di interpretazione. Dunque i monumenti incompleti, le rovine (‘le ruine parlanti)’. La narrazione in progress della Dott. Ferrara  è intensa e suggestiva: dalle false rovine di Villa Borghese, a Roma, alla involuzione culturale  del restauro in epoca fascista; dalla introduzione della tecnica del cemento armato per il restauro anche in Sicilia (tempio di Ercole 1922-24), all’analisi illustrata del parco archeologico di Selinunte, secondo più grande d’Europa (Tempio “C”, “E”, “F”, “G”); dalla ricostruzione di storie mitologiche relative alle sue sculture e ai suoi affreschi, alla descrizione  del suo impianto planimetrico (tipica pianta di Ippocrate da Mileto); dalle riflessioni sullo scopo del restauro (far parlare l’opera) e sull’importanza della conoscenza e manutenzione dei resti archeologici, alle tecniche, oggi anche digitali, di ricomposizione e ricostruzione degli edifici. Una sinfonia di emozioni non facile da riferire. È l’incanto trasmesso dai resti archeologici,  rovine scolpite nel tempo, specchio e testimonianza di quanto di più fragile e nobile possa arrivarci dai tempi lontani.

Per noi ascoltatori, nella saletta della Banca Popolare del Cassinate, uno straordinario cortocircuito tra realismo e visionarietà. Ha scritto  C. Farroni: ‘L’architettura è un sogno, la geometria il suo racconto, il manufatto la realizzazione del sogno, l’architetto colui che racconta i sogni’. Oggi la giovane palermitana  Arch. Maria Luisa Ferrara ci ha  raccontato il suo sogno.

                          Floriana Giannetti