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Riceviamo e pubblichiamo integralmente dal Prof. Carmelo Aliberti questo testo relativo all’importante figura di Edoardo Sanguineti. Buona lettura.

Scrittore e critico italiano (Genova, 1930 ivi 2010); prof. di

letteratura italiana nelle università di Torino e Salerno , dal 1974

al 2000 ha insegnato nell’università di Genova di cui è stato prof.

emerito; militante di sinistra,riuscì a imprimere una commistione tra

politica e cultura, tanto da essere eletto deputato dal 1979 al 1983 e

antesignano e quindi esponente di spicco della neoavanguardia. E’

stato tra i 5 poeti presenti nell’antologia curata da Giuliani 1961 )

e tra i fondatori del Gruppo’63,di cui rivendicava la

paternità,contestatagli da Giuliani,ma la costituzione del Gruppo

placò la controversia. Risalgono a questo periodo opere arditamente

sperimentali come le poesie di Laborintus (1956), Erotopaegnia (1960),

Purgatorio e l’Inferno, 1963, T.A.T, 1968, i romanzi Capriccio

italiano, 1963; Il gioco dell’oca, 1967 ; ll giuoco del

Satyricon,1970, nonché gli scritti in cui S. si impegnò a rintracciare

i precedenti primonovecente schi della neoavanguardia e a rivendicare

il valore politico dell’eversione linguistica e letteraria (Tra

liberty e crepuscolarismo, 1961; Ideologia e linguaggio, 1965; Guido

Gozzano,indagini e letture,1966)., giungendo a rileggere in questa

prospettiva l’intero Novecento poetico italiano con

l’antologia.Poesia.del.Novecento,1969).In seguito ha

affiancato.alla.ricerca.poetica(Wimarr,1074;Poskarten 1978;

Stracciafoglio,1980 ; Alfabeto.apocalittico,1984; Bisbidis 1987;

Senzatitolo, 1992; Quattrobaiku, 1995; Sulphitarie,1999;

Omaggio.a.Gohete.(2003); Mikroko smos,2004) un’estrosa produzione

giornalistica, raccol ta in diversi volumi tra cui Giornalino

1973-1975-1976 e Gazzettini(1993). Della sua opera di studioso sono

anche da ricordare Interpretazione di Malebolge,1961 la monografia su

Alberto MORAVIA(1962),Il malismo di Dante (1966) e La missione del

critico (1987) Dante reazionario (1992), Il chierico organico (2000);

ha inoltre curato edizioni di C. Vallini,G Pascoli , G. Gozzano, G. P.

Lucini. È stato anche autore di testi teatrali e di libretti musicati.

Laborintus

Laborintus, opera prima di Sanguineti, pubblicata nel giugno 1956

dall’editore Magenta di Varese e molto poco studiata (anche se va

segnalato, almeno, il ricco commento di Erminio Risso, 2006), e ancora

meno presente nei programmi delle scuole superiori,dove si preferisce

quello neo-crepuscolare di Novissimum Testamentum (1982),o quello

delle Ballate (1982-1989 tutte opere leggibilissime, più di

Laborintus, testo caotico e le 27 sezioni che compongono il volume,

alla «sincera trascrizione di un esaurimento nervoso».iDa questo punto

di vista, la fortuna (o sfortuna) di Laborintus risente ancora della

diatriba tra avanguardia e tradizione, in cui l’istanza innovatrice di

Laborintusnon si rifà solo ai modi delle avanguardie storiche;

rispetto alla poesia surrealista, ad esempio, si distingue per la

presenza di un dialogo frammentato e balbettante con la tradizione,

nella struttura e nei temi ricorrenti. Questi due aspetti avvicinano

Laborintus ai classici del modernismo di Eliot, e dei Cantos di Ezra

Pound, riconosciuti da Sanguineti come un modello fondamentale,

nonostante la distanza ideologica.Laborintus, insomma, dialoga non

solo con le avanguardie, ma anche – e in maniera più decisiva – con

una linea ben precisa del modernismo internazionale: quella più

lontana dalle tendenze classiciste che caratterizzeranno, tra l’altro,

le opere successive di Eliot. Questo aspetto è ancora più

significativo, se pensiamo che il modernismo dei Cantos (tradotti in

Italia solo nel 1953) Ancora nel 1951, quando Sanguineti scriveva i

primi testi,in cui la follia e il caos svolgono un ruolo

fondamentale,fin dal primo impatto con il testo;in ognuna delle 27

sezioni la voce autoriale sembra perdersi in un monologo delirante,

composto di frammenti discorsivi prelevati

dalle.fonti.eterogenee.Eppure,le.tensioni.asimmetri che che di

Laborintus sono riconducibili a una strategia meditata. in quanto

nella raccolta si delinea il tentativo di esercitare un controllo

intellettuale sulle istanze regressive della cultura europea: l’autore

si propone di affrontare quanto il logos occidentale ha rimosso o

represso, allo scopo di vivificare la voce dell’autore che ha

attraversato il tutto, con il fango lasciato alle spalle».La necessità

di costruire un nuovo modello epistemologico deriva per Sanguineti da

una diagnosi storica parallela all’immane tragedia di Hiroshima: hanno

infatti mostrato, il paradosso interno all’idea di ragione, sulla

quale si fonda la società borghese; un paradosso particolarmente

significativo per un anarchico e per il materialista storico, il

Sanguineti dei primi anni Cinquanta. Si trattava, in altre parole,

dell’esaurimento di una concezione strumentale della conoscenza:

anziché liberare l’uomo, come voleva l’utopia illuminista, la ragione

borghese lo riduce la a logiche disumane. L’esito estremo sono appunto

gli orrori scientificamente gestiti dei totalitarismi e del conflitto

mondiale: «la nostra sapienza», recita la sezione 11 di Laborintus,

«tollera tutte le guerre». La critica della ragione mimata da

Sanguineti si parla esplicitamente, sempre nella sezione 11) si

articola in due fasi: in primo luogo occorre la sommersione nel

labirinto dell’irrazionale, ovvero nel repertorio di miti e simboli

rimossi dal logos borghese; in secondo luogo si potrà uscire dal

labirinto, avvalendosi di una razionalità complessa.La diagnosi di

Sanguineti trova evidenti riscontri nel clima culturale dell’epoca:

sono significative, per quanto non ci sia un legame diretto, le

analogie con la Dialettica dell’illuminismo di Adorno. Comunque, ci

esamineremo Laborintus in quanto opera letteraria, e la dialettica tra

ragione e caos nella tessitura retorica del testo. Sanguineti critica

il logos borghese interrogandosi sulle sue radici, vale a dire il

paradigma illuministico. Laborintus affronta il problema anzitutto

sul piano retorico, esasperando le istanze che la cultura letteraria

illuminista aveva cercato di emarginare: in primo luogo il Barocco, e

in particolare quel predominio della metafora che segna in profondità

le diverse poetiche secentiste. Del resto, l’interesse per il Barocco

– insieme a quello per Eliot e Pound – è uno dei fondamentali punti di

convergenza tra Sanguineti e Luciano Ancheschi, che dirigeva la

collana.Il metaforismo secentesco è mimato da Sanguineti sul piano

stilistico» , la realtà «sottoelevata» alla quale il protagonista

nelle sue deliranti invocazioni, il soggetto si abbandona a una

inesauribile registro metaforico e metonimica, che coglie «relazioni»

aberranti fra i termini opposti , nessi metaforici e figurali,

istituiti «giudiziosamente delirando». Quest’ultimo ossimoro riassume

in nuce l’intero impianto dialettico di Laborintus. Con dolcezza,

viene rivalutato dal principio alla fine il Sonetto. pre-illuminista;

l’elogio del «delirio giudizioso» di Marino è un esempio di questo

atteggiamento. Il dibattito sulla metafora barocca, sul piano

retorico, la metafora sia per Sanguineti uno strumento decisivo per

mediare tra conoscenza razionale e altre forme di conoscenza.Ad

affascinare Sanguineti è il tentativo di addomesticare razionalmente

tale eccesso. ascoltare) / Laszo Varga (egli scrisse) come

complicazione (Lab 6, 47-50)Ai versi 47-48 l’autore unisce, infatti,

due luoghi da uno dei più importanti trattati di retorica del

Seicento, il Cannocchiale aristotelico di Emanuele Tesauro: «Anzi la

Pazzia altro non è che metafora, la qual prende una cosa per

un’altra». Ancora una volta, è chiaro l’intento dell’allusione. Come

già i surrealisti sapevano bene, infatti, i meccanismi sui quali si

fonda il linguaggio metaforico hanno in comune la logica

dell’inconscio che tenta ad accedere all’infinita varietà semantica

della pazzia e del sogno.In realtà, come si è già detto,

l’atteggiamento di Sanguineti è diverso: anziché abbandonarsi alla

deriva metaforica, l’autore di Laborintus riconduce le pulsioni

anarchiche a una forma di controllo strategico.I passi esaminato

suggeriscono, insomma, come l’intero sistema retorico di Laborintus si

fondi sull’apparente ossimoro del «delirio giudizioso»: da una parte,

Sanguineti asseconda ed esaspera le istanze anarchiche del linguaggio

poetico; dall’altra simili spinte sono il tentativo di recuperare una

presa sul reale, e di restaurare un nesso tra parole e cose.

L’oltranza metaforica diventa così un passo decisivo verso una nuova

forma di oggettività: soltanto in cerebro meo dove l’orizzonte è

seriamente orizzonte / il paesaggio è paesaggio/ il mundus sensibilis

è mundus sensibilis / la coniunctio è coniunctio il coitus coitus (Lab

16, 28-30)È facile rilevare, nei versi di Laborintus, un rincaro di

amarezza e ironia: per il momento, la corrispondenza tra lingua e

oggetto è pensabile «soltanto in cerebro meo». Eppure, l’autore non

desiste dalla ricerca di un contatto con «quel che è»: obiettivo al

quale non si può giungere – per il primo Sanguineti – se non sabotando

prima un logos ormai inservibile. Nelle opere successive a Laborintus,

questo obiettivo assumerà una precisa connotazione marxista, ben

lontana quindi dalle coordinate ideologiche dei classici del

modernismo: «questa mano non è una mano (se non afferra); questa mano

/ che ancora è storia, che ancora non è natura; / e forse la mano di

mio figlio (dissi) / sarà natura; e quell’oggetto sarà quell’oggetto:

quello che era; nel sogno» (Purgatorio dell’Inferno, L’oscurità

figurale di Laborintus, la sua apparenza caotica e arbitraria, non va

dunque interpretata in senso puramente avanguardistico (ovvero come

una mera esibizione di nonsenso); al contrario, il caos fa parte di un

disegno a suo modo coerente e unitario. Ricostruire questo disegno è

una necessaria premessa a ogni giudizio di valore: solo attraverso una

simile operazione, infatti, è davvero possibile valutare la tenuta

letteraria dell’opera, e chiarirne i legami con il suo contesto

storico.

Piangi piangi

Piangi piangi, che ti compero una lunga spada blu di plastica,un

frigorifero Bosch in miniatura, un salvada naio di terracotta, un

quaderno

con tredici righe, un’azione della Montecatini:

piangi piangi, che ti compero

una piccola maschera antigas, un flacone di sciroppo ricostituente,

un robot, un catechismo con illustrazioni a colori, una carta

geografica con bandiere vittoriose

piangi piangi, che ti compero un grosso capidoglio

di gomma piuma, un albero di Natale, un pirata

con una gamba di legno, un coltello a serramanico, una bella scheggia

di una bella bomba a mano:

piangi piangi, che ti compero tanti francobolli dell’Algeria francese,

tanti succhi di frutta, tante teste di legno,

tante teste di moro, tante teste di morto:

oh ridi ridi, che ti compero

un fratellino: che così tu lo chiami per nome: che così tu lo chiami

Michele