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È uscito nei giorni scorsi ‘Il mio mondo finirà con te’, il nuovo romanzo del prof. Carmelo ALIBERTI e pubblichiamo integralmente una nota fattaci pervenire dall’autore corredata di prefazione ed introduzione al testo. Buona lettura.

Il significativo successo e gli autorevoli consensi della critica, i numerosi servizi apparsi su molto seguiti quotidiani on line ( che ringrazio di vero cuore), le sollecitazioni sincere dei veri amici d’infanzia e di leali compagni di studi, che mi hanno sempre sostenuto con stima ed affetto, mi hanno spinto a riprendere anche il percorso narrativo, con l’obiettivo di imprimere una nuova linfa creativa e strutturale al “genere romanzo” in agonia. I ripetuti sperimentalismi degli  anni ’60, come è stato affermato da autorevolissimi maestri della critica, da W. Pedullà, a A. Asor Rosa, al Curi in una recente intervista su Robinson, a  Ferroni e a tanti altri  importanti critici, hanno registrata la morte della poesia e della narrativa, riducendola a ricettacolo di evasione dalla storia, come fuga alienante dalla società, quotidianamente sempre più imbarbarita.

PREFAZIONE                                                  
NINO  MOTTA

(DOCENTE,GIORNALISTA-PROFESSIONISTA,REDATTORE-DI-UN QUOTIDIANO  DEL GRUPPO REPUBBLICA, SCRITTORE, PROMOTORE  DEL PROCESSO E DELL’ASSOLUZIONE DI OVIDIO,SVOLTOSI NELL’AULA DEL CONSIGLIO COMUNALE DI ROMA, CITTADINO ONORARIO DI TAGLIACOZZO (AQUILA)

(Giornalista professionista,dir. Resp. della Rivista internazionale di Letteratura “TERZO MILLENNIO, scrittore)

Con “Il mio mondo finirà con te”, il suo secondo romanzo, Carmelo Aliberti, poeta e saggista, dal punto di vista strutturale e tematico non si discosta molto da “Briciole di un sogno”, il romanzo col quale lo scorso anno ha esordito nella narrativa, suscitando, per la sua novità, non poco interesse sia tra i lettori che tra i critici. Come in “Briciole di un sogno” il percorso narrativo si snoda attraverso aforismi, brani di poesie dello stesso Aliberti, e di altri grandi poeti, da Dante a Quasimodo, frasi in dialetto siciliano. Protagonista del romanzo, alter ego dell’autore, è Carlo. Nato in un borgo del profondo Sud, Bafia, abitato da contadini e pastori, Carlo, trascorre un’infanzia felice. La famiglia lo educa ad amare e rispettare il prossimo, a essere solidale, ad aiutare chi si trova in difficoltà, a ospitare chi non sa dove andare. Crescendo, si circonda di amici, con i suoi stessi ideali, e insieme si prodigano, promuovendo una serie di iniziative, tra cui la creazione di un circolo culturale e la fondazione di un giornale, affinché tanti loro coetanei, che avevano abbandonato la scuola per aiutare i loro genitori nei campi, non rimanessero abbandonati a se stessi. E’ allora che Carlo incontra una ragazza, Anna, della quale si innamora perdutamente. E ne viene ricambiato. Il loro è un amore vero. Ma un destino crudele, strappando alla vita prematuramente Anna, impedisce ai due giovani di potere un giorno coronare, dinanzi all’altare, il loro sogno d’amore. Carlo, perdendo Anna, si sente perso. In un primo momento intravvede un’àncora di salvezza in una bellissima ragazza, Rosa, “somigliante nel corpo e nel cuore ad Anna”. Rosa aveva abbandonato la scuola, per sfuggire al maestro e al confessore che “pretendevano” da lei “qualcosa di vergognoso e meschino“, preferendo vivere totalmente in campagna in compagnia delle sue caprette e conigli che “sono creature migliori degli uomini”. Un giorno la ragazza decide di trasferirsi a casa di Carlo. Carlo spera che Rosa, con il suo amore, possa fargli ritrovare la serenità e “liberarlo dalle nefandezze della società”. Ma dopo qualche tempo Rosa , inspiegabilmente, sparisce. Carlo la cerca ovunque, si spinge fino a Lampedusa, dove vede da vicino la situazione degli immigrati, ma di Rosa si sono perse le tracce. Carlo ora si ritrova di nuovo solo. Intanto gli eventi ai quali gli capita di assistere e le riflessioni su quanto accade nel mondo lo fanno piombare in un profondo stato di angoscia esistenziale. Ad indicargli la strada come uscirne stavolta, come vedremo, sarà Anna, l’unica donna che ha veramente amato nella sua vita. L’evento che più lascia il segno nel giovane Carlo è la perdita, a partire dalla fine degli anni Sessanta, di quei valori della civiltà contadina, quali la generosità, l’altruismo, la solidarietà, che i sui genitori gli avevano inculcato. Valori spazzati via dalla società consumistica prima e dalla globalizzazione poi. Contadini e pastori, per sfuggire alla miseria , abbandonano le campagne e emigrano prevalentemente nel triangolo industriale del Nord, in Svizzera e in Germania.

Con le loro rimesse aiutano economicamente le famiglie rimaste a casa. La contropartita dei benefici arrecati dalle rimesse era rappresentata dalla triste odissea alla quale questi emigranti, per lo più analfabeti, spesso andavano incontro. Sfruttati, se non addirittura ridotti a uno stato di asservimento, non avevano gli strumenti per far valere i loro diritti. La mancanza di misure di sicurezza nei posti di lavoro talvolta sfociava in tragedia, come è accaduto nell’agosto 1956 nella miniera di carbone di di Marcinelle, in Belgio. Allo sfruttamento da parte dei ricchi proprietari terrieri del Sud si sostituiva quello dei capitani d’industria del Nord. Anche Carlo, sebbene avesse conseguito all’Università di Messina una Laurea in Lettere col massimo dei voti, aveva dovuto separarsi dagli affetti più cari, non essendoci a Bafia le condizioni per poter lavorare e dedicarsi alla poesia, la sua grande passione. Gli strumenti culturali di cui dispone gli consentono di ampliare l’orizzonte delle sue riflessioni. Si rende allora conto che “questo mondo è contagiato da un morboso male di vivere, generato dal denaro, il nuovo dio adorato dai grandi capitani del potere finanziario”. Riflette sugli orrori e la barbarie delle guerre nelle quali vengono impiegate “armi sempre più sofisticate”; sull’ignominia delle leggi razziali e lo sterminio degli Ebrei nei lager nazisti; sulla piaga della corruzione dilagante e del lavoro nero; sul mancato rispetto dell’ambiente e sulle tragiche conseguenze che il riscaldamento globale potrebbe avere; sulle violenze, che spesso sfociano in efferati delitti, perpetrati contro donne e bambini; sull’indifferenza, per non dire ostilità, nei confronti degli immigrati, in fuga dalla miseria e dalle guerre, i quali anziché essere accolti e aiutati, da parte di alcuni Paesi europei si sbarra loro la strada erigendovi muri. Temi sui quali il protagonista del romanzo, alias Aliberti, si sofferma ampiamente, con uno stato d’animo che oscilla tra il disprezzo e l’invettiva contro i detentori del potere e l’amarezza e il dolore per le condizioni di vita degli umili e degli oppressi. Non vengono risparmiati neppure gli scrittori, mondo del quale fa parte anche l’autore. “Oggi, purtroppo”, rileva Carlo, “ gli assoluti valori della vita sono stati ripudiati dagli scrittori. Si scrive solo per narcisismo e per le vendite: il romanzo è espressione di interesse economico, politico e carrieristico, e non per lasciare un’impronta educativa e formativa delle nuove generazioni”. “Non era questo il mondo che da ragazzi sognavano”, dice Carlo rivolgendosi ad Anna, “credevamo che 2.000 anni di predicazione evangelica avrebbe migliorato il genere umano, liberandolo dalla schiavitù, dall’ignoranza e dalla barbarie e lo avrebbe ingentilito nei pensieri e nei comportamenti, invece le nostre  ingenue illusioni erano piantate in un terreno sterile. Ora io, dopo aver peregrinato sulla terra, piangendo per la tua partenza, ho provato a ritrovare te in un’altra umile creatura per aiutarmi a sopravvivere, ma, come tu sai già, si è volatilizzata misteriosamente. Perciò, ora che ti sento ancora accanto a me e mi porgi generosamente la mano per consolarmi e sostenermi, manterrò la promessa fatta a quel pastore, incontrato durante uno dei miei ritorni a Bafia, di andare a trovarlo. In quell’incontro, il pastore, vedendomi in uno stato di grave prostrazione, mi ha indicato la strada per non lasciarmi travolgere dalle seduzioni e dagli inganni della società e assicurato che, in caso di difficoltà, l’uscio della sua capanna sarebbe stato sempre aperto per me”. Mi sono cosi incamminato verso la sua mandria. È un pastore che vive solo, in compagnia delle sue pecore, che hanno imparato a volerlo bene, senza mai allontanarsi da lui o smarrirsi altrove. Con sé Carlo porta il discorso sulla democrazia fatto da Pericle, nel 431 a.C., agli Ateniesi e riportato dallo storico Tucidide. Un discorso in cui parlava di una società più equa, solidale, rispettosa delle libertà individuali in armonia con le libertà collettive. Pericle dice tra l’altro: “ Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private”. E ancora: “La nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero”. “ Lessi al mio pastore”, racconta Carlo, “la carta di Pericle e lui capì tutto, ma aggiunse che per lui non era ancora arrivato il tempo. Capii allora che dovevo continuare a vivere, non più per me, ma per potere stare vicino a quel mondo emarginato dal ciclone della civiltà disumanizzata”. Così Carlo, grazie alla fede, rappresentata in questo caso da Anna, e al recupero di quei valori del mondo contadino, che da bambino gli erano stati trasmessi, ritrova finalmente la serenità e lo voglia di lottare ancora per un mondo migliore.

                                                          INTRODUZIONE
dell’AUTORE

Avevo deciso di deporre le idee in un cassetto, chiuderlo a chiave e lanciarle nelle onde tempestose dell’Oceano. Mi chiedevo disperatamente perché  scrivere ancora, dopo aver consumato la mia vita sui libri, alla ricerca di ampliare le mie conoscenze della bellezza del mondo, di assaporarne le misteriose e magiche appariscenze e le leggiadrie interstiziali, che avevo appreso nei miei vagheggiamenti mentali di tanti filosofi e poeti, vissuti nel periodo aureo della cultura greca e poi ritrovati nella cultura romana e persino durante il lungo Medioevo, e trionfare nella mitica bellezza dell’arte e della poesia, attraverso l’Arte suprema del Rinascimento. Poi il nuovo corso della cultura scientifica, in cui Galilei e Newton riuscirono a scoprire nuove vie e strumenti tecnici e  spinsero  l’uomo a cercare  la verità scrutando il girotondo delle stelle per le lontanissime vie del Firmamento. Il susseguirsi di tante nuove invenzioni e scoperte impressero un vertiginoso ritmo allo sviluppo della scienza, grazie ai cui risultati, l’uomo è pervenuto all’era attuale della massima espansione  di creazioni utilissime in ogni settore, che resero meno faticosa la vita in ogni settore del lavoro. Ciò determinava un benessere universale a vantaggio degli utenti e, soprattutto, per gli imprenditori industriali, che riuscirono ad accumulare profitti incalcolabili, lucrando sulla riduzione in schiavitù delle masse proletarie che dal Sud in Italia si trasferirono ciecamente nelle città più industrializzate del Nord, dove non trovarono certamente il Paradiso terrestre, ma, dopo un tormentoso peregrinare di latrina in latrina, riuscirono con tanta sofferenza ad approdare al posto sicuro  in fabbrica. Ma presto si accorsero di svolgere un lavoro da schiavi, sfruttati al massimo con salari minimi e la voce del padrone si sentiva ancora più forte sul corpo incurvato dei nuovi schiavi. Ci si illuse che l’era dei feudalesimi fosse un lontano e asettico ricordo e si sarebbe potuto sperare che gli schiavi della nobiltà agraria si sarebbero disfatti delle loro arrugginite catene. La diffusione della stampa, vista prima come uno strumento di libertà, si andava trasformando in dipendenza dei nuovi padroni e di una classe politica che si autoproclamava “democratica”, mentre invece era sempre la medesima razza di padroni che si era mascherata dietro un linguaggio ricco di ingannevoli promesse di libertà e di benessere, che solo oggi si scopre che nell’emiciclo del potere si annidano spietati camaleonti, pronti ad ogni metamorfosi pur di riuscire ad ottenere o a sradicare ogni difficoltà etica e giuridica, per impinguare il loro benessere, circondandosi di aurei regni artificiali, dove condurre una vita da imperatori. Il popolo non lo vedono più. I barboni che trascinano la carcassa del loro corpo per le luride vie cittadine o scavano nelle pattumiere delle città per poter trovare  una briciola di pane duro e ammuffito per non lasciarsi morire. Magari li insultano, ricoprendoli di sputi, senza nemmeno porsi che, sotto l’immane peso del loro dolore, si cela un’anima pura che, sotto gli stracci che li coprono, c’è un cuore assetato d’amore  che vive consustanzialmente  con  l’invisibile respiro di Dio. “Dio, Dio, dov’è questo Dio, creatore dell’intero universo e di ogni forma di vita animata e inanimata, come da piccoli ci hanno plagiati.? Dio siamo noi che siamo riusciti a creare dal nulla le nostre immense fortune e, con le più recenti sperimentazioni della creazione dell’uomo dall’utero in affitto e con uno spermatozoo custodito in provetta  o comprato da altra persona la donna riesce a creare da sola. Siamo noi i nuovi dei e non dobbiamo niente a nessuno, ma siamo noi i detentori della vita e della morte dei sudditi, dando fuoco anche alla costituzione, per sostituirla con il diritto ad personam. Oggi siamo in grado di distruggere l’intera umanità, trasformare il pianeta in un vasto cimitero, come con il covid, senza che nessuno possa fermarci. Quando il nuovo nostro diluvio universale si scatenerà sulla terra, noi abbiamo già pronte le nostre navicelle per trasferirci su un altro pianeta e continuare a vivere felici nel nostro nuovo eden.” Una tale conclusione della vita dell’uomo e del mondo creato certamente da un vero Dio, un Dio non l’avrebbe concepita. Non occorre essere io a usare teorie e tesi di grandi filosofi antichi e moderni per consolidare tali  sillogismi filosofici convincenti. Io sono stato perforato dagli spossanti interrogativi sull’origine della vita e su un qualche significato del nostro nascere, vivere e morire, ma da questi deliranti riflessioni cuore e ragione, sentimenti, vittorie sul male e sconfitte, hanno determinato in me la conclusione che un essere destinato a morire, non avrebbe mai potuto sostituirsi ad un creatore che regge armonicamente la vita dell’universo e che opera ciò in un eterno miracolo di riduzione in cenere il corpo umano e far rivivere altre vite, distruggendo ciò che è una sua creatura. Il male del mondo rappresenta un banco di prova per l’intelligenza umana, chiamata a combattere e annientare il mostro di “satana”. In questa eterna guerra si consuma ogni giorno della nostra vita e nell’esito del conflitto è possibile rintracciare il giusto senso della vita. Il mio precedente romanzo BRICIOLE DI UN SOGNO  ha rappresentato le sequenze della condizione di schiavitù dell’essere umano, umiliato, frustato, torturato, affamato, stuprato barbaramente, senza alcun codice etico, fino a quando una fatale parabola storica ha seppellito nei propri vizi e nel sadismo, con cui hanno condotto la loro millenaria esistenza. In tempi recenti, nel mondo divampano guerre, stragi e genocidi operati da popoli barbari che hanno trasformato l’esistenza in un moderno Colosseo, dove lottano uomini contro altri uomini fino allo sterminio dell’avversario. Ma un’altra immensa onda di morte sta sconvolgendo la convivenza e la stessa esistenza dell’uomo e sembrano vane le diverse sperimentazioni di un vaccino killer dell’irraggiungibile covid, un’altra inamovibile causa di morte. Ancora una volta, l’uomo si è arrogantemente illuso di poter essere invincibile con la sua scienza. Intanto il male penetra invisibilmente dovunque. Pertanto, come è avvenuto in altre epoche della storia umana, molti sono stati i cataclismi mortali subiti dall’umanità. Alla fine si sono affidati  alla fraterna comunanza della speranza e, sapendo sopportare i tormenti indicibili del male, è arrivata dal cielo una colomba bianca con il ramoscello ben stretto nel becco. Sarebbe il caso di saper soffrire e operare instancabilmente contro ogni male, perché come la storia insegna, la vita sulla terra non è mai morta. Nel primo suddetto romanzo, alla fine erano l’amore e l’amicizia a sconfiggere il male. In questo nuovo lavoro narrativo, il mondo ancora più assatanato da nuove mitologie dell’Avere, del sesso e del successo e dell’Apparire, ci spinge ad una nuova resistenza contro il male, per realizzare concretamente quel difficile progetto di una rivisitata Costituzione, per poter vedere sorgere una nuova e futura società della convivenza pacifica, nel rispetto della vita e delle libertà individuali, nel corrispondenza reciproca a  quella degli altri e mantenuta sempre accesa da un inedito ideale supremo  sentimento d’amore nel nome del padre,  della solidarietà tra veri fratelli, sui principi fondamentali del concetto di democrazia di Pericle e sul codice etico e pragmatico della spiritualità.