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Il Prof. Carmelo Aliberti, poeta, critico letterario e giornalista, molto stimato in Italia e all’estero per la qualità e l’intensità della sua preziosa attività culturale, ha in corso di stampa il suo primo romanzo intitolato “Briciole di un Sogno”. Il libro, letto in anteprima da alcuni critici e scrittori importanti, è stato molto apprezzato ed indicato come un prototipo di nuovo romanzo, che si allontana dalla produzione narrativa dell’ultimo ventennio, rinnovando organizzazione strutturale e strumentazione linguistica, in commistione narrativa e poetica, che lo rendono molto coinvolgente e formativo. 

Il nucleo ispirativo è sempre la Sicilia analizzata nel suo lungo percorso di schiavizzazione, pur nei trapassi epocali sotto governi diversi che l’hanno sempre calpestata nella sua dignità e nei suoi diritti. Il pregio maggiore del romanzo sta nello spessore narrativo e tematico da cui si staglia la sicilitudine di cui parlava Bufalino. Le voci narranti e la galleria dei personaggi mi paiono affascinanti, anche perché esulano da isotopie stantie, mentre lo scrittore ha saputo tratteggiare con somma delicatezza molte figure muliebri fra cui Rina e Carmelita. Le citazioni di San Francesco d’Assisi, Dante e delle poesie dell’autore conferiscono indubbiamente una risonanza intertestuale, permettendo di carpire la linfa della letteratura che tutt’alto che mero svago diventa la conoscenza di sé e del mondo per il protagonista, alter ego dell’autore. L’innesto di lessie o frasi in siciliano contribuisce a rendere ancora più icastica la vivacità dei dialoghi e la forza rappresentativa del rovello dell’animo e di un’epoca.

L’impostazione narrativa può sembrare centrifuga per un lettore medio che vorrebbe i seguire un filo rosso. Traboccano gli spunti e le riflessioni nel testo, ambientato negli anni 1960. Si può provare un certo disagio di fronte alle scene di stupro (Francesca la madre e Venerina la figlia, vittime emblematiche della crudeltà dei potenti e dell’aristocrazia agraria meridionali), corredate da indugi lubrici, che caricano di indicibile ferocia il satanismo dei neofeudatari collusi con la classe politica. Certo, questa violenza contro le donne rimanda allegoricamente al sopruso secolare di un ceto dominante, ma talvolta l’ellissi o l’accenno possono essere una nobile soluzione letteraria. Ma il romanzo, oltre ad essere l’affresco analitico delle dolorose vicissitudini degli umili e dei miserabili schiavi contadini o dei nuovi schiavi legati alla catena di montaggio o bruciati davanti agli altiforni, soffrendo lo stillicidio di una lenta e dilaniante attesa della fine, è anche un romanzo d’amore, scandito dai rappresentanti di tre generazioni, legati da un invisibile filo che dal limpido sogno dell’arcaica civiltà, sopravvissuta fino alla più recente realtà contadina, s’innalza verso nuovi orizzonti di amore terrestre, come stazione di partenza per l’edificazione di un sentimento sul binario della responsabile consapevolezza, maturata attraverso un nobile comportamento ideale, che non viene infranto neppure dalla amichevole seduzione dell’amicizia.

Al sogno d’amore virtuale e letterario di Dante, si affianca una esemplare storia d’amore moderna, decentemente concreta frutto di un percorso di maturazione rigorosa,con il contributo dell’impegno del desiderio di sapere, al fine di poter inverare l’ascesi sentimentale con gli strumenti della ragione, che approdano razionalmente alla religiosità, e della cultura, soprattutto della letteratura, che penetra spontaneamente negli interstizi della progressione del cuore, in volo costante e irrequieto nell’inseguimento di una visione irreale di una giovane donna, che negli enigmatici comportamenti e nelle poche parola, sospese nel significato e nell’anonimato, di dissolve nell’irresistibile luce metafisica e talvolta si rifrange sulla tragedia delle vittime, facendo avvertire la sua aerea presenza con la diffusione di un profumo celeste.

(da una lettera di Jean Igor Ghidina ——(Blaise Pascal-University-Francia)