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Riceviamo e pubblichiamo integralmente una “testimonianza critica” del noto romanzo “Il mio mondo finirà con te” di Carmelo Aliberti, a cura del Prof. Giuseppe Rando, Professore ordinario di Letteratura Italiana presso la Scuola Superiore Mediatori Linguistici di Reggio Calabria (già presso l’Università degli Studi di Messina), critico letterario. Buona lettura!

IL MODERATISMO DIFFICILE DI CARMELO ALIBERTI

 

La più recente fatica letteraria di Carmelo Aliberti, il romanzo Il mio mondo finirà con te, al pari dell’altro da lui pubblicato, ma anche alla stregua delle sue raccolte poetiche, dei suoi saggi e della sua ampia manualistica letteraria, evidenzia una costante necessità – forse, più naturale che culturale – di trovare, pur nella varietà dei generi e delle tipologie letterarie trattate, un avanzato punto di equilibrio tra varie, anche contraddittorie ed antitetiche, istanze del nostro tempo.

 

È un’attitudine, quella di Aliberti, tutta siciliana, invero, ove si pensi a Verga, a Pirandello e ai grandi narratori dell’isola, e non insolita – direbbe il sociologo – nella cultura contadina, che appare tanto indomita, risoluta, quanto flessibile e realistica, ma portata a trascendere naturaliter i fatti singoli dell’esperienza concreta in un ordine superiore d’idee.

 

Nel romanzo suddetto, si colgono, d’abord, a una prima, cursoria lettura, una linea centrifuga e una linea centripeta, che attraversano il testo in senso verticale e in senso orizzontale, lungo percorsi paralleli, alla ricerca di un difficile luogo di saldatura, imprimendo tuttavia una notevole tensione narrativa all’opera.

 

È centrifuga la tendenza a moltiplicare le storie narrate, i personaggi e le diverse visioni del mondo in un fluire continuo e ininterrotto, che fa pensare più ad Ariosto che a Dante; laddove è centripeta la vocazione a ricondurre i numerosi rivoli del romanzo nell’alveo dell’amore salvifico, come in Dante e nel protomodello manzoniano.

 

Il romanzo si presta, invero, a molti piani di lettura e racchiude in sé diversi tipi d racconto: da quello autobiografico (che vede il protagonista, Carlo – alter ego di Carmelo Aliberti –, siciliano, originario di un paese collinare della provincia messinese, cattolico, democratico e formato alla luce dei valori preindustriali, scontrarsi, nella sua difficile ascesa sociale, con i mali storici della modernità); a quello manzoniano, con ampi squarci sui principali e drammatici eventi socio-politici novecenteschi, dalla prima guerra mondiale ai nostri giorni; a quello psicologico, giocato sullo scandaglio introspettivo del protagonista stesso (e di altri personaggi contigui); a quello sociologico, per il raffronto costante tra la purezza della civiltà contadina e la devastante cultura cittadina; a quello religioso, fondato sulla convinzione della fede cristiana come antidoto al disordine morale e sociale del nostro tempo; a quello amoroso, di stampo neostilnovistico, intessuto intorno all’innamoramento di Carlo per Anna, sua conterranea, nonché compagna di scuola, che gli additerà infine la via della salvezza.

 

Certo, Alberti offre al lettore un ricco, inesauribile diorama delle facce malefiche del mondo moderno: il nazismo, il fascismo, il comunismo e, oggi, l’Afghanistan, la strage dell’11 settembre, il capitalismo della globalità trionfante sono i nemici del bene e dell’umanità, cui si contrappongono, in specie, la cultura (i grandi pensatori, gli scrittori antichi e moderni, gli artisti), la democrazia (che trova il suo fondamento nella costituzione di Pericle) e la religione cristiana, con suoi fondamenti biblici, evangelici, ma anche tomistici ed agostiniani, e con l’esempio vivente e vivificante di chi si pone sulla strada di Gesù.

 

L’occhio vigile e partecipe di Alberti non smette di seguire da presso, fino alla immedesimazione totale, tutti i vinti, e in particolare gli immigrati di ieri e di oggi (da Marcinelle a Lampedusa), i giovani in cerca di lavoro e quelli massacrati dalle droghe e/o dall’edonismo incrollato, alla fine mortuario.

 

Dicevamo della ricerca albertiana di un punto avanzato di equilibrio: parrebbe, in effetti, che Carmelo Alberti voglia reagire alla cosiddetta «morte del romanzo», evitando sia le sirene del romanzo neosperimentale (che, sulla scorta dell’ultimo Consolo, vorrebbe azzerare la distanza tra il codice poetico e il codice narrativo, a tutto vantaggio del primo) sia, parimenti, la degenerazione del romanzo massmediatico che insegue, per ragioni di mercato, i gusti deteriori del pubblico (male)educato dalla televisione e dagli smartphone.

 

Allo stesso modo, sul terreno linguistico, Il mio mondo finirà con te, rifugge sia dalla restaurazione unitaria, nazionalistica, sia dalla parcellizzazione regionalistica (dialettale), mirando a mescidare, con misura verghiana, lingua e dialetto.

 

Le intenzioni dell’autore sono, ad ogni modo, esplicite e nient’affatto dissimulate in questo multipolare, vasto, interessantissimo romanzo. I modi in cui tali intenzioni (che non avvalorano automaticamente l’opera né esauriscono tutte le componenti – anche quelle ignote allo stesso autore – della stessa) riescano a tradursi in una coerente e convincente resa stilistica saranno sicuramente individuati e descritti, nell’immediato futuro, dalla critica più avveduta. Ma saranno certamente i lettori non addomesticati dal potere commerciale a promuovere, «in primis» (come direbbe Camilleri), il ragguardevole romanzo di Carmelo Aliberti.

 

GIUSEPPE RANDO