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Riceviamo dal Prof. Carmelo Aliberti  un saggio sull’intera opera dello scrittore Andrea Camilleri. Lo pubblicheremo suddiviso in varie parti per non stancare il lettore, vista la vastità dell’opera. Questa I Parte riguarda un nostro commento  critico sulla descrizione di Aliberti dell’ultimo lavoro di Camilleri legato al celebre Commissario Montalbano ed i cenni generali sulla biografia e sulle opere, mentre nelle parti successive si proseguirà con il dettaglio dei vari lavori dello scrittore siciliano.

In premessa occorre evidenziare come l’analisi di Aliberti su Camilleri sia molto interessante in quanto si sofferma e coglie la vulcanicità lucida della sua radiografia delle radici della storia, psicologia e filosofia, cioè le motivazioni subconsce della sua biologica creatività, espressa non solo nella sottigliezza dei contenuti, ma anche nella rivoluzionaria teoria della lingua che si espande al mondo sui relitti concreti e fonici dell’arcaicita travestita da dialettalismi delle diverse epoche e con la sobrio verniciatura linguistica moderna. Il saggio potrà essere inoltre un utile ausilio ai prossimi maturandi. Buona lettura.

La casa editrice Sellerio farà uscire in libreria il 16 luglio 2020 il romanzo Riccardino, nel primo anniversario della scomparsa del grande scrittore siciliano Andrea Camilleri, avvenuta il 17 luglio del 2019. Il romanzo scritto 13 anni fa, non è stato ancora pubblicato, per volontà dell’autore, che lo consegnò alla Sellerio con l’impegno di editarlo postumo. La Sellerio lo custodì chiuso in un cassetto fino ad ora. Il 20 maggio, come anteprima, Antonio Manzini, discepolo di Camilleri, nel giorno della Festa del Libro, ha recitato l’incipit del romanzo, senza svelarne il contenuto. In effetti, da quanto si evince da stralci di alcune interviste, lo scrittore ha alluso alla fine di Montalbano, assicurando che il commissario non morirà in un agguato, ma, ormai stanco di aver visto numerosi omicidi per irrazionali e talvolta per stupide vendette, avverte il disgusto della sua professione che lo induce, di fronte ad un nuovo omicidio, quello di Riccardino, cerca di svincolarsi dalla inchiesta, perché è avvilito per i tanti delitti orrendi che hanno insanguinato il territorio di Vigata e che lo rendono insonne. Allora, il suo universo interiore è turbato da incancellabili incubi e profonde riflessioni sull’obbrobrioso squallore degli uomini che pensano di risolvere le delinquenziali frequenze della mente con il sigillo della morte del prossimo. Perciò, si scatena un silenzioso conflitto tra Montalbano commissario e il suo interprete-autore, che sarà la causa del suo imprevedibile uscire di scena.

Scrive il Prof. Carmelo Aliberti: “Noi, che di Camilleri, siamo stati tra i primi a scrivere sulla monumentalità del grande Maestro, dedicando un minisaggio a Camilleri sulla nostra rivista TERZO MILLENNIO, con in copertina la foto di CAMILLERI a tutta pagina, e pubblicato uno dei primi saggi sull’intera opera di Camilleri, edito dalla BASTOGI-ROMA, che ha riscosso moltissimi consensi. Per “ricordare di ricordarlo sempre”, salvandolo dalle velenose invidie del suo successo di GRANDE SCRITTORE E GRANDE SICILIANO, affidiamo al quotidiano on line ORAWEBTV, molto stimato e organizzato esemplarmente dal giornalista Alfredo Anselmo, il nostro omaggio “unico”, per continuare a mantenerne viva la memoria.”

Con l’autorevolezza dell’intellettuale lungimirante presso cui l’acribia viene abbinata alla conoscenza tangibile della Sicilia avita, Carmelo Aliberti ha compiuto una disamina acuminata dell’opera di Andrea Camilleri. Intanto il pregio del critico sta nell’aver incastonato il maestro del genere poliziesco in una prospettiva di genesi letteraria, il che consente di afferrare meglio gli addentellati tra le tappe esistenziali, il contatto propiziatorio con le figure di spicco della poesia e della narrativa postbellica, gli esordi in veste di regista e sceneggiatore televisivo. Se Camilleri consegue un successo strepitoso dagli anni 1990 con La forma dell’acqua e con l’affermarsi dell’inesauribile ciclo di Montalbano, va ricordato a scanso di equivoci che già nel 1967 con Il corso delle
cose palesa una precocità portentosa dell’ispirazione pervasa da temi, motivi, stilemi che riecheggiano segnatamente Manzoni, Pirandello, De Filippo, Simenon, Majakovskij. Insomma, spicca allora il volo d’aquila di uno scrittore erudito, depositario speculare di un retaggio intertestuale ed intergenerico che si avvale del diuturno dialogo con spiriti magni della cultura e dell’esperienza in campo televisivo per approdare al romanzo storico-civile e al filone del giallo. In un’ottica di estetica della ricezione, quella di Camilleri è un’opera incisiva ed icastica ormai all’apice del consenso popolare, riconosciuta e libata dalla folta schiera dei suoi ammiratori e da un pubblico variegato. Indubbiamente, l’impasto linguistico, il quale innesta vocaboli eteroglossi desunti dal dialetto siciliano o arcaico o colloquiale o vivacizzato da reminiscenze squisitamente familiari, contribuisce a conferire un volto polisemico e sapientemente comico alla narrazione, in sintonia con il protagonista Montalbano che esula dai topoi dell’inquirente pervicace e indefesso per assurgere a scrutatore spesso meditabondo della condizione umana, deturpata da vizi incalliti e riscattata da virtù sublimi. Difatti, Aliberti palesa con rigore che i romanzi di Camilleri non vanno ascritti alla mera letteratura di consumo perché il brio dell’intreccio diegetico che avvince il lettore e il telespettatore e l’impostazione induttiva che dal particolare approda a dilemmi universali li collocano fra i capolavori in assoluto della nostra tradizione letteraria in quanto, come osserva giustamente Aliberti prevale la raffigurazione di una Sicilia metafora dell’isola mondo. Anzi, rappresentando le estrinsecazioni proteiforme della nuova mafia, Camilleri assolve un imprescindibile compito di agitatore delle coscienze civili, di fronte al dilagare dello squallore morale e dei disvalori imperanti nella società odierna in cui infierisce la reificazione dell’essere umano.

Biografia

Camilleri nasce a Porto Empedocle, la futura Vigàta dei suoi romanzi,
nel 1925, figlio unico di Carmelina Fragapane e di Giuseppe Camilleri,
ispettore delle compagnie portuali. Attualmente vive a Roma. Dal 1939
al 1943, dopo una breve esperienza in collegio (si fece espellere
lanciando delle uova contro un crocifisso), studia al liceo classico
Empedocle di Agrigento dove otterrà, nella seconda metà del 1943, la
maturità senza fare esami, poiché il preside decise che sarebbe valso
il solo scrutinio a causa dell’imminente sbarco in Sicilia delle forze
alleate. A giugno infatti inizia, come ricorda lo scrittore, “una
sorta di mezzo periplo della Sicilia a piedi o su camion tedeschi e
italiani sotto un continuo mitragliamento per cui bisognava gettarsi a
terra, sporcarsi di polvere di sangue, di paure”. Nel 1944 si iscrive
alla facoltà di Lettere, non continua gli studi, ma comincia a
pubblicare racconti e poesie. Intanto aderisce al Partito Comunista.
Incominciò a scrivere poesie secondo le rigorose regole
sintattico-lessicale e metriche della migliore tradizione italiana,
tanto che conseguì autorevoli consensi critici, tanto che Giuseppe
Ungaretti ospitò i primi testi poetici di Camilleri in una sua
antologia, come fecero anche Ugo Fasolo e Quasimodo gliene strappò due
dalle mani. Lavorando per il teatro, apprezzò le opere in dialetto di
Carlo Goldoni, del Ruzzante, del Belli e del Porta, che fecero
rinascere in lui la passione per il dialetto.

Ma, decisivo per tale opzione influì in maniera decisiva, fu una
storia raccontatagli da suo padre che lui assisteva nella fase finale
del suo soffrire. Era così coinvolgente che il figlio avrebbe voluto
scrivere, ma confessò al padre di non essere capace di trasferirla in
italiano. Il padre morente gli consigliò di trascriverla nel dialetto,
come il morente gliela aveva raccontata. L’elaborazione di testi
costruiti in vigatese fu un duro lavoro, perché il teatro per essere
compresi da tutti, sul binario centrale in italiano debbono scorrere
termini dialettali selezionati secondo criteri di consonanza tra la
risonanza del lessema dialettale e del corrispondente stilema
italiano, attraverso cui viene catturata l’attenzione del ricevente e
la trama linguistica così foneticamente omogeneizzata che produce
sensazioni poetiche. Il romanzo “Noli me tangere” (Sellerio
editore,Palermo 2016) è il centesimo libretto in 100 pagine che si
legge in un fiato, ha come protagonista la donna,come sempre bella e
figura fuori dal tempo e dallo spazio, quasi un riflesso delle donne
letterarie, che lo scrittore descrive nel loro spessore ideale, nel
volume “Donne”,cioè come creature limpide, ricche di sentimenti e
“profumate d’amore, come la Beatrice di Dante o la Laura di Petrarca,
donne che amano la propria vita e la propria libertà interiore,senza
mai dipingerle come donne volgari o come donne di tutti,anzi da
ammirare ed amare incondizionata mente ,e ciò destabilizza anche
l’uomo più colto,quando s’innamora. La trama rivela le molteplici
potenzialità creative e richiede l’uso di uno strumento di
comunicazione sempre rinnovato e diverso in sintonia con il livello
culturale e sociale dei protagonisti,perché il commissario che conduce
le indagini di ricerca,deve possedere le chiavi di lettura adeguate ai
documenti ufficiali e riservati,idonea alla varietà di scrittura
relativa all’indagine che sta conducendo sulla scomparsa di una donna
bellissima,somigliante al celebre dipinto del Beato Angelico, in un
connubio tra la tipologia narrativa del saggio-giallo e della Storia
dell’Arte, da cui traspare la pluriculturalità dinamica del grande
scrittore. Protagonista è Laura, una giovane donna sposata con un uomo
più grande di lei, che improvvisamente scompare, una donna capace di
gestire la propria persona e la propria vita, per cui non si preoccupa
delle volgari e infami dicerie sul suo conto, né che la gente sappia
che ha molti amanti ed essere definita una volgare donna di vita dal
facile concedersi a chi ha bisogno d’amore. Un tale modello di donna è
frequente nelle opere di grandi scrittori, come la donna della taverna
dove si incontrano gli operai che per anni lavorano a costruire la
ferrovia Transiberiana, raccontato da Carlo Sgorlon nel romanzo “La
conchiglia di Anataj” o come la donna della taverna nel capolavoro
“Cent’anni di solitudine, che come una madre generosa dispensa sesso,
come conforto di quei lavori disperati, affrontati sotto coltri di
neve e che non torneranno più a casa. E’ importante riflettere sulla
confessione di Camilleri che, nel finale della sua centesima opera,
“L’altro capo del filo”, confessa che l’opera è stata dettata da lui
alla sua assistente Valentina Alferj, la sola che sapeva scrivere in
vigatese, perché assalito da un’avanzante cecità.

Dal 1948 al 1950 studia regia all’Accademia di Arte drammatica Silvio
d’Amico e inizia a lavorare come regista e sceneggiatore. In questi
anni, e fin dal 1945 ha pubblicato testi letterari, vincendo anche il
“Premio St Vincent”. Nel 1954 partecipa con successo a un concorso per
funzionari RAI, ma non viene assunto perché comunista. Entrerà alla
RAI qualche anno più tardi. Nel 1957 sposa Rosetta Dello Siesto dalla
quale avrà tre figlie e quattro nipoti. Nel 1958 è il primo a portare
in Italia il teatro dell’assurdo di Beckett con Finale di partita al
teatro dei Satiri di Roma e poi in televisione con Adolfo e Renato
Rascel. Comincia a insegnare al Centro Sperimentale di Cinematografia
di Roma. Nel 1959 tra le molte produzioni RAI di cui si occupa ha
molto successo una serie sul tenente Sheridan con Ubaldo Lay, più
tardi poi con “Il commissario Maigret” con Gino Cervi, e con diverse
messe in scena di opere teatrali, sempre con un occhio di riguardo a
Pirandello. Nel 1977 ottiene la cattedra di regia all’Accademia di
Arte drammatica. La manterrà per vent’anni. Nel 1978 esordisce nella
narrativa con Il corso delle cose, scritto 10 anni prima e pubblicato
da un editore a pagamento con l’impegno di citare l’editore stesso nei
titoli dello sceneggiato TV tratto dal libro, La mano sugli occhi: è
un insuccesso, il libro non viene notato praticamente da nessuno. Due
anni dopo, nel 1980, pubblica con Garzanti Un filo di fumo, primo di
una serie di romanzi ambientati nell’immaginaria cittadina siciliana
di Vigàta a cavallo fra la fine dell’‘800 e l’inizio del ‘900. Nel
1992 riprende a scrivere dopo 12 anni di pausa e pubblica La stagione
della caccia con Sellerio Editore: Camilleri diventa un autore di
grande successo e i suoi libri, ristampati più volte, vendono
mediamente intorno alle 60 mila copie. Nel 1994 esce con La forma
dell’acqua, primo romanzo poliziesco con il Commissario Montalbano, e
arriva il grande successo: Camilleri ha 69 anni. Dal 1995 al 2003 si
amplia il fenomeno Camilleri. Titoli come Il birraio di Preston (1995)
(il libro ai suoi tempi più venduto con quasi 70 mila copie), La
concessione del telefono e La mossa del cavallo (1999), mentre la
serie televisiva su Montalbano, interpretato da Luca Zingaretti, ne fa
ormai un autore “cult”. Nel 2004 esce La pazienza del ragno, a marzo
2005 esce Privo di titolo, il 23 giugno 2005 esce La luna di carta che
vede protagonista ancora il Commissario Montalbano. Anche questi
volumi sono pubblicati da Sellerio. Da non dimenticare anche il
romanzo Il re di Girgenti, ambientato nel ‘600, interamente scritto in
siciliano inframmezzato con lo spagnolo. Nell’aprile 2006 esce, sempre
per Sellerio, il decimo romanzo che ha per protagonista sempre il
Commissario Montalbano: La vampa d’agosto. Nel novembre 2006 esce
l’undicesimo romanzo del Commissario Montalbano: Le ali della sfinge,
sempre edito da Sellerio, per la collana La Memoria.

Opere. 

Il fenomeno Camilleri esplose nel 1995, con la serie televisiva,
avente come protagonista il Commissario Montalbano, interpretato da
Luca Zingaretti, con la traduzione cinematografica di Il birraio di
Preston (1995), seguito da La concessione del telefono e La mossa del
cavallo (1999) fino a La pazienza del ragno, La luna di carta etc. che
hanno fatto di Camilleri un autore, talmente popolare e amato per il
suo Commissario Montalbano, fino a riuscire a vendere milioni di copie
dei suoi libri e a trasformare il prodotto letterario in prodotto di
fruizione di massa. Incommensurabile, perciò, il merito storico di
Camilleri per essere riuscito a interessare alle problematiche
letterarie una così grande massa di lettori. Ciò non è risultato del
caso, ma di pregi intrinseci alla tessitura delle sue fabule.

Una posizione autonoma e diversa occupa l’opera narrativa dello
scrittore siciliano che, pur affermatosi in tarda età con La forma
dell’acqua (1994) uscito a 63 anni, ha iniziato a evidenziarsi con il
suo primo romanzo Il corso delle cose, edito a proprie spese da Lalli
editore nel 1978 (ma era già stato scritto nel 1967-68) in cui
traspare l’attenzione per gli strani accadimenti delittuosi
dell’isola, avvolti in quell’atmosfera di mistero che dominerà in
tutte le sue opere sia storico-civili che poliziesche. Appare già, in
tale romanzo, la Vigàta che farà da scenario a tutte le altre tortuose
vicende, che saranno indagate dal Commissario Montalbano. Nel giro di
pochi giorni del settembre degli Anni ‘50, due avvenimenti oscuri
scuotono la tranquillità del paesino, il ritrovamento di un cadavere e
l’attentato ai danni di don Vito, onesto lavoratore contro cui vengono
sparati due colpi di pistola, a titolo di avvertimento. Vito,
angosciato, non riesce a capire il significato di tale intimidazione,
dato il suo essere rimasto sempre estraneo a ogni forma di intrighi.
Altri episodi intimidatori si ripetono a suo danno, fino a quando il
maresciallo Carlo (anticipatore dell’investigatore Montalbano) riesce
a cogliere il nesso tra i due atti minatori, originati dalla necessità
di capire un traffico di droga internazionale. Seguono altre vicende,
in versione televisiva, che continua a far emergere la figura di un
commissario che, oltre a collocarsi sulla linea dei grandi
investigatori della letteratura, da Maigret a Sheridan, in effetti
diventa lo strumento, oltre che delle scontate e intelligenti indagini
svolte intorno a casi usuali sullo sfondo di una Sicilia sospesa tra
una sorta di neoarcadia e spiragli di modernità, con intrecci a
partitura da copione, di una penetrazione più profonda, sia di una
Sicilia magico-superstiziosa, furbescamente cristallizzata in una
ancestrale tipologia tra il sadismo e la satira, che di uno
sventagliare di episodi storicamente sempre vivi nel vissuto sacrale
dell’Isola, e tuttavia grondanti di una inusitata valenza universale.
Già negli stessi eterogenei ingredienti della formazione dello
scrittore di Porto Empedocle si possono individuare le radici degli
sviluppi delle caratteristiche emergenti, in maniera più o meno palese
nello snodarsi delle sue invenzioni. Egli va ricordato come lettore
appassionato di Simenon già all’età di 7 anni.

Dalla passione per Pirandello ha assorbito l’alona tura umoristica,
dal teatro di Edoardo, oltre all’attenzione per il livello
popolaresco, anche l’uso del dialogo scarnificato, traslato nelle
opere più significativamente investigative, da Jonesco la propensione
per la cifra dell’assurdo che filigrana numerose occasioni episodiche,
da Majakovskij l’andatura poematica della denuncia teatrale
dell’iniquità, da Beckett la capacità di rappresentazione infinita di
un microcosmo babelico, come ricettacolo simbolico del macrocosmo di
un ordine superiore, esplorato alla fine con gli affilati strumenti
dell’inchiesta razionale, oscillante tra spiralizzante perforazione
illuministica che, nella Storia della colonna infame di Manzoni, trovò
un esemplare punto di partenza, per la ricerca di una più autentica e
profonda verità nella apparente falsità della storia. Tali veloci
annotazioni risultano indispensabili per dimostrare, se individuate
adeguatamente nella ricchezza tematica e culturale delle opere del
Mostro, che la narrativa di Camilleri non può essere staticamente
annoverata tra i testi della “Letteratura di consumo”, ma deve
divenire oggetto di rigorosa ricognizione per poterla catalogare al
giusto posto nello sviluppo della letteratura contemporanea. Se con le
inchieste del Commissario Montalbano è prevalsa la
spettacolarizzazione poliziesca che ha connotato Camilleri come autore
di letteratura popolare, le molteplici articolazioni di motivi e le
implicite potenzialità di collegamenti fanno di Camilleri il
continuatore più agguerrito della migliore tradizione letteraria
italiana di intonazione illuministico-umanistica, dove la ricchezza
fantastica si coniuga a una cattura capillarmente realistica del
quotidiano sulla testiera di una levità interpretativa che traduce la
tragedia antica delle anomalie e delle assurdità della storia della
Sicilia in proiezione rappresentativa di esilarante pietà. Le sue
opere, pur nella disomogenea parabola cronologica delle creazioni,
possono essere ridotte a due filoni principali: romanzi storico-civili
e romanzi polizieschi. Il primo filone inizia con l’opera di esordio,
Il corso delle cose (1967-1978), al quale fanno seguito in ordine
cronologico, Un filo di fumo (1980), La strage dimenticata (1984), La
stagione della caccia (1992), La bolla di componenda (1993), Il
birraio di Preston (1995), La concessione del telefono (1998), La
mossa del cavallo (1999), Il re di Girgenti (2001), La presa di
Macallè (2003), con il racconto Ballata per Fotò La Matina (1985) che
anticipa, sotto forma di abbozzo, La stagione della caccia e alcuni
documenti storico-bibliografici che arricchiscono e motivano la
tessitura del testo Il re di Girgenti. La metodologia di approccio
alla materia narrata si fonda sempre sul canovaccio di tracce di
avvenimenti, dichiarate come scoperta in carte segrete nella polvere
di archivi siciliani del Settecento e dell’Ottocento, su cui la
vulcanica capacità immaginativa di Camilleri rielabora vicende
immaginarie pregne di suggestivo fascino. Gli spunti d’archivio, da
cui prendono avvio le opere storiche di Camilleri, riportano ai
percorsi creativi del romanzo realistico, di cui i Promessi Sposi di
Alessandro Manzoni, costituiscono il documento più noto, ma anche alla
già evocata “Storia della colonna infame” dello scrittore milanese, il
cui procedimento evocativo e investigativo nei risvolti più oscuri
della storia, si ritrova visibilmente nella “Strage dimenticata.”

La poetica di Camilleri, pertanto, nella sua ricognizione della storia
può essere riportata alla dialettica tra la dimensione del vero e la
sovrapposizione del verosimile che, emersa nella sua indefinibile
bipolarità fin dagli anni del Rinascimento, raggiunse una più evidente
e travagliata articolazione nelle varie fasi del conflitto estetico
dell’autore dei Promessi Sposi che, partito dal teorema estetico del
“vero” come fondamento della costruzione letteraria di stampo
realistico, perviene alla revisione delle sue idee iniziali, con
l’innesto del verosimile, per cui, l’opera letteraria riesce a
estrapolare dalla nudità degli eventi, quel groviglio di epifanie
segrete ed elevate che il freddo racconto non può esplorare. Su tale
linea, il rastrellamento investigativo, che è alla radice di ogni
creazione letteraria di Camilleri, arricchito di tale concettualità
procede, sia nelle opere storico-civili come nel “ciclo” di Montalbano
tende a evocare, nella cortina fumogena del tempo, verità inghiottite
dall’oblio, che diventano indispensabili per colmare gli anelli del
vuoto della storia di singole persone o di una comunità che promuovano
la Sicilia a metafora della storia del mondo. Si possono cogliere così
sia lo strapotere e le angherie delle classi egemoni, sia le reazioni
impotenti delle classi subalterne nello scorrere di un plurisecolare
percorso della storia, che promuovono l’episodio minimo al sussulto
emblematico di una categoria sociale, quella dei “vinti” pre-verghiani
che Camilleri disseppellisce dall’insopportabile peso della storia,
nella minuta microstoria di personaggi e di episodi minimi che la
memoria storica ufficiale non ha registrato. Sono individuabili in
tale aereo e inafferrabile movimento della storia quelle tracce di
verosimiglianza, quelle lacrime versate nel solco manzoniano della
storia da parte degli umili che, pur avendo costruito la storia dei
potenti, sono scomparsi dalla scena del mondo senza lasciare traccia,
o quei silenziosi “vinti” di Verga, travolti da un’inesorabile destino
che, tuttavia, Camilleri riesce a ricomporre nello slancio vitalistico
di un gesto di non rassegnata rivolta, come nella beffa ordita senza
successo da un intero villaggio nei confronti di Totò Barbabianca in
“Un filo di fumo”, o nella vigorosa scoperta de La strage dimenticata,
o nella esaltazione della volontà del popolo trionfante ne “Il re di
Girgenti”, o nella denuncia della “anormalità politica e morale di
tutte le forme di dittatura ne La presa di Macallè. Attraverso tali
opere Camilleri ci offre un antico itinerario di sofferenza e di
sconfitte del popolo siciliano dentro cui lo scrittore, manifesta una
insopprimibile tendenza all’insoffe renza, esplosa in pragmatiche
iniziative di liberazione, in cui spesso microcosmiche comunità
dell’isola si scoprono spontaneamente accomunate. Sintomi di
ribellione alle sopraffazioni subite, risultano chiari nella terribile
vendetta di Fofò La Matina nei confronti della famiglia che lo umiliò
da ragazzo ne La stagione della caccia o nella movimentata prima
teatrale di Vigàta de Il birraio di Preston.