Abbiamo pubblicato nelle settimane scorse le prime cinque parti della copiosa opera omnia ricevuta dal Prof. Carmelo Aliberti sulla figura del grande Andrea Camilleri. Dopo i cenni generali sulla biografia e sulle opere continuiamo e in questa Sesta Parte vi raccontiamo ‘La Bolla della Componenda’ e ‘Gocce di Sicilia’. Buona lettura.
LA BOLLA DELLA COMPONENDA
In questo racconto, Camilleri, senza alcuno sforzo creativo, ma
setacciando i labirinti della storia, rintraccia le malversazioni
perpetrate da ogni forma di potere, ricorrendo allo stravolgimento del
rispetto della legge, che viene in tal modo totalmente ignorata, con
la “bolla della componenda”, un’usanza che trasformava il diritto alla condanna di un reato, in versamento di una somma prestabilita, per essere assolti da ogni delitto. Ciò rendeva assoluto il potere che garantiva l’impunità in cambio di denaro, arrogandosi il diritto di
decisione al codice scritto dei diritti e dei doveri del cittadino.
Ciò creava un connubio tra i diversi poteri forti che, anche in tal
modo, continuavano a governare in una inossidabile alleanza.
L’assoluzione veniva sancita così anche per delitti gravissimi e una
parte della somma pagata, veniva data alla Chiesa, perché spesso erano
i parroci che fungevano da mediatori, secondo un’antica usanza
siciliana, successivamente divenne una prassi che garantiva la
connivenza tra mafia e potere, tra malaffare e Stato di diritto.
Quindi la “componenda”, non era l’indulgenza elargita dalla Chiesa a
chi aveva partecipato alla liberazione di Gesusalemme, cioè ai
Crociati, ma era divenuta convivenza tra organizzazioni a delinquere e
lo Stato. Purtroppo, tale commistione oggi è molto solida e complice,
riconosciuta anche ufficialmente da numerose sentenza, punitive
secondo lo Stato di diritto. Perciò, Camilleri riesce a storicizzare
il fenomeno eversivo, sempre attuale risalendo alle radici, con
convincente realismo. «”Componenda”:-è,-compromesso,-transazione inte
sa a sanare un contenzioso tra parti. […] La più simbolica e
incredibile fra tutte è quella che il potere garantiva a chi, pagando
un obolo più o meno grande secondo il reato, acquisiva diritto
preventivo all‘assoluzione»
(Dal risvolto di copertina)
«[…] Questa bolla di componenda si vende da speciali incaricat, che
ordinariamente sono i parrochi, al prezzo di lire una e tredici; e
mediante essa uno è autorizzato a ritenere con tranquilla coscienza
fino a lire trentadue e ottanta di roba o denaro rubato.» (Dalle
lettere Sulla pubblica sicurezza in Sicilia) del professor G -Stocchi)
La “componenda” vale a dire “le cose che si devono o possono
comporre” era un’antica tradizione siciliana di compromesso, una
transazione, tra le istituzioni e il malaffare e «lo Stato italiano
quando venne [nel Meridione] si aggiustò a questa pratica
tradizionale, con il brigantaggio, con la mafia e con i tanti
prepotenti» (A. Camilleri, op.cit.). Il nuovo stato comportò
esattamente all’opposto di uno stato di diritto che in nome della
legge non deve scendere a composizioni, aggiustamenti o compromessi
magari dichiarando, com’è accaduto in tempi recenti, da parte di alte
istituzioni statali, che bisogna imparare a convivere con la mafia
stipulando con essa come un tacito accordo.[1] Questo modo di pensare
e di comportarsi da parte dell’autorità laica in effetti dice
Camilleri risaliva a una tradizione religiosa dove la componenda era
«una tassa in favore del clero sul delitto, è una partecipazione al
furto e un furto esso stesso» (G. Stocchi, op.cit.). Una tassa
stabilita secondo un catalogo che andava «dalla corruzione
all’abigeato, dalla falsa testimonianza alla circonvenzione
d’incapace, tutto catalogato e prezzato.» (Ibidem), che offriva in
cambio della somma versata l’assoluzione del colpevole. In questo modo
si chiedeva il tenente Generale Casanova, Commissario governativo a
Palermo dal 1875 «fino a che punto un uomo che ha commesso un reato ma
che ha la coscienza a posto in virtù di una speciale concessione della
Chiesa, può definirsi e sentirsi colpevole?» (A. Camilleri, op.cit.,
pag. 60). Alcuni potrebbero pensare, aggiunge Camilleri che la
componenda fosse una sorta di indulgenza, una «bullailochisanti», come
dicevano sua madre e sua nonna intendendo la «Bolla dei luoghi santi»,
alludendo alle antiche indulgenze di cui godevano coloro che avevano
partecipato alla liberazione e conservazione dei luoghi santi. Anche
di questo tipo di bolle la Chiesa in seguito ne fece commercio ma
presso la tradizione siciliana la bulla invece aveva ben altro valore
e potere rispetto alla bolla di componenda. Quello che accomunava i
due tipi di bolle era che venivano vendute ambedue in chiesa e in
particolari periodi dell’anno, quella d’indulgenza nel periodo
pasquale e quella di componenda in quello delle feste natalizie. La
“Bolla dei luoghi santi” Camilleri la descrive come un foglio scritto
e riccamente illustrato con le vedute dei luoghi santi e i
riconoscimenti dei papi riguardo alle virtù spirituali della bolla che
però veniva venduta dai frati non come concessione d’indulgenza – il
che è vietato dalle disposizioni ecclesiastiche – ma come segno di
appartenenza alla “Figliolanza”, una pia associazione per la quale «i
fedeli che annualmente acquistano la santa Figliolanza partecipano a
tutti i benefici spirituali … si fanno degni di ottenere da Dio il
perdono dei loro peccati … e portandola addosso … possono essere
liberati dai flagelli della divina Giustizia.» (A. Camilleri, op.cit.,
pag.39) Ora i flagelli della divina Giustizia si manifestano in
carestie, terremoti ecc. quindi chi avesse avuto una bullailochisanti
con un pezzetto di questa lanciato al vento poteva procurarsi la
salvezza dai cataclismi naturali. «Al momento di formare il suo
governo, nel giugno del 2001, Berlusconi nominò Pietro Lunardi
ministro dei Trasporti e dei Lavori pubblici. Lunardi un imprenditore
con forti interessi nell’industria delle costruzioni non tardò a farsi
notare. ” Mafia e camorra ci sono sempre state e sempre ci saranno:
purtroppo ci sono e dovremo convivere con questa realtà”, dichiarò
alla fine di agosto del 2001. All’inizio di ottobre disse: “Siamo
costretti a convivere con la mafia come con altre realtà, per esempio
i sette mila morti sulle strade.”» (internet)
GOCCE DI SICILIA
In sette scintillanti storie, il nostro autore distilla immagini di
una Sicilia personale ed intima e nel contempo collettiva, di tutti.
Nel suo stile inconfondibile, nella sua parlata distintiva di un
siciliano ragionato e strutturato, Camilleri pennella ritratti di
persone, evoca fatti e detti che trasferisce dalla memoria sulla carta
e sa renderli unici e irripetibili. In Gocce di Sicilia sono raccolti
gli scritti originali comparsi sull’Almanacco dell’Altana negli anni
1995-96-97-98-99-2000. Parte di Piace il vino a San Calò è stata
revisionata e rielaborata dal romanzo Il corso delle cose (1978
Sellerio 1998). Il racconto Ipotesi sulla scomparsa di Antonio Patò è
comparso in forma ridotta sul quotidiano La Stampa e poi ampliato, è diventato il volume La scomparsa di Patò (Mondadori 2000). Il cappello
e la coppola fa parte delle Favole del tramonto (ed. Dell’Altana
2000). Ne Lo zù Cola, persona pulita, l’autore specifica che è un
falso monologo e si usa dire a teatro quando chi parla non si rivolge
a se stesso, ma ad un interlocutore che non risponde o le cui risposte
non vengono riferite. A parte questo dettaglio tecnico, il contenuto è
vero. A Roma in un pomeriggio del 1950 in una banca, Camilleri
incontrò il noto boss dell’Agrigentino Nicola “Nick” Gentile. Nel
colloquio avuto, Camilleri prese nota a casa, per, poi, scriverne la
storia. Il giornalista Felice Chilanti riportò l’intervista avuta con
il boss in un libro intitolato “Vita di gangster”. Il mafioso era
ritornato clandestinamente in Italia dagli U.S.A., nell’aprile del ’43
per preparare lo sbarco degli Alleati in Sicilia. Camilleri afferma
che a rileggere adesso l’incontro, appare anacronistica la figura del
boss lontana da certi schemi operandi della mafia. Riguardo a
convincere qualcuno a fare qualcosa che non vuol fare, dice il boss,
ci vuole pazienza e persuasione senza perdere la pazienza ed arrivare
all’omicidio. Perché muore la persona, ma il mafioso perde la
battaglia perché è stato incapace. “Ad ammazzare tutti sono buoni!”
Logica distorta e criminale certo, ma lontana da quella di oggi in cui
la morale, la deontologia a modo loro erano rispettate.
“U zz’Arfredu” : la memoria di uno zio speciale, colto, ricco di
interessi è ammantata da affettuosa nostalgia e dolce rievocazione;
grazie a lui, l’amore per i libri divenne sacro.
“Piace il vino a San Calò”: le feste religiose legate strettamente
alle tradizioni, al folclorismo, quando la statua del Santo portata in
processione è oggetto di culto semi-pagano e diventa tutta la
scenografia parossismo collettivo. Con una sorta di compiacimento e
allegria, Camilleri ricorda queste rappresentazioni sacre come quadri
oleografici in cui la voce del popolo è la vera anima di una sacralità
fattasi spettacolo.
“Il primo voto”: Camilleri ricorda, divertito, la paradossale guerra
scatenatasi tra i Separatisti, i Comunisti e i Democristiani per il
colore di una bandiera alla vigilia delle prime elezioni regionali in
Sicilia. “L’ipotesi sulla scomparsa di Antonio Patò”: il nostro autore
fa riferimento a teorie scientifiche sull’universo fluttuante in un
continuum spazio-temporale, oggetto di accanite discussioni
accademiche. La scomparsa di qualcuno in un fosso del tempo, non
materiale, ma all’interno di quel continuum spazio-temporale dentro il
quale fluttua l’universo, spiegherebbe il fenomeno. Chi cade
all’indietro di questa piega comporta una risalita verso il passato,
chi in avanti comporta una risalita verso il futuro. La scala dei
Penrose sarebbe la materializzazione di un incubo; essa obbligherebbe
chi si viene a trovare in cima ad una singola scala quadrata e
intraprende la discesa, a scendere sempre. Così Patò impersonando
Giuda, nella rappresentazione del venerdì santo de “Il Mortorio” nel
momento dell’impiccagione, cadde nella botola del palco e scomparve.
“L’incontro tra il cappello e la coppola”: ambigua e singolare
metafora di un incontro tra due cose inanimate e chi li indossa in una
sorta di sineddoche. “Vicenda di un lunario”: è la storia di un
mensile letterario “Lunario siciliano”, pubblicato intorno agli anni
1927/28, attento ai valori e agli apporti isolani, in un tentativo di
saldare la letteratura e la cultura alla creatività popolare. Un
articolo merita menzione, “Le considerazioni sui punti cardinali”, un
rovesciamento dell’atlante in modo che le Alpi siano la base di un
tronco che ha come cielo, il mare mediterraneo. Il Sud al posto del
nord. Il lunario dopo due annate (1927/28), ebbe una ripresa nel 1931,
ma la rivista, ormai, prescindeva dalla realtà per arroccarsi nello
studio delle tradizioni popolari “Gocce di Sicilia” si legge, tutto di
un fiato; la forza dell’evocazione trova riscontro nella forza delle
parole fattesi persone, pensieri. L’intensità concreta della parola
scritta, in Camilleri, densa e corposa, esprime con vigore quello che
racconta. Una goccia è la piccolissima parte di un tutto… mare,
acquazzone, rugiada…Ma una goccia è anche un qualcosa di fatto e
finito, con una sua forma precisa e una sua consistenza. Le “Gocce di
Sicilia” sono scampoli, flash, pennellate di una mano nota, che
rievocano caratteri ed emozioni, congetture ed affetti. A tal modo
scivola su carta il racconto di un bambino attratto dai libri, che
trova il coraggio di “violare” lo studio di zu’ Arfredo pur di
afferrare un libro di Conrad, e così conquista il diritto di entrarvi
a suo piacimento e fermarsi a leggere sul pavimento quanti libri vi
trovi. E a tal modo, come goccia che stilla, si ritrova seduto in un
negozio d’orologiaio, a Roma, lo zu’ Cola, che racconta un piccolo
scampolo della sua storia a un commesso occasionale, spiegandogli
perché il suo soggiorno obbligato a Conegliano Veneto non è altro che
un incidente di percorso (in fondo è persona pulita ‘u zu’ Cola). Per
continuare con tutte le teorie – scientifiche o meno – che pretendono
di spiegare la misteriosa sparizione di Antonio Patò, ligio cassiere
di una filiale bancaria, di cui si perdono le tracce nel bel mezzo di
una rappresentazione paesana degli ultimi giorni di Gesù Cristo,
laddove il buon Patò era stato scelto per impersonare Giuda.