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È in corso di stampa, nella collana “Università” di Mursia editore, a firma di Carmelo Aliberti “Fontamara”, una delle maggiori opere di Ignazio Silone, pseudonimo di Secondino Tranquilli, giornalista, scrittore, saggista, drammaturgo e politico che fu anche membro dell’Assemblea Costituente della Repubblica Italiana 1946-48).

Il saggio di Carmelo Aliberti presenta l’opera di Silone a ampio raggio, con indagine dell’ambiente, di cui vengono raccontate le vicende della vita dell’autore e dello sviluppo letterario narrativo in Italia e nel mondo, in particolare Russia e Stati Uniti.

L’ambiente è Pescina, ove l’autore è nato, a cui dà il nome di Fontamara, arroccato tra collina e monti nella Marsica, ed è contraddistinto dalla contraddizione tra lo sviluppo industriale, agli albori del Novecento, e la condizione di miseria e soggezione all’espansione capitalistica a sfruttamento della classe contadina, sotto il dominio sabaudo prima e l’instaurazione poi del regine fascista.

Silone, riparato in Svizzera per sfuggire alla persecuzione a causa delle sue pubblicazioni liberali e comuniste, in questa opera denuncia i mali che il fascismo e la borghesia hanno arrecato in ogni luogo italiano, e in particolate nel Meridione. Aliberti, nella stesura, svolge un triplice tema: la storia di Silone, Fontamara e il pensiero filosofico, letterario, politico e religioso del Novecento, tramite le opere letterarie edite dal 1920 in avanti e contemporaneamente sviluppa gli avvenimenti storici del periodo.

Quello di Silone è un romanzo storico, con sfondo della trama inventiva: la macrostoria, anche se collocare l’opera in un filone letterario è quasi impossibile, perché se è vero che è di carattere verista, potrebbe essere incluso e non in altre espressività.

Silone era iscritto al partito comunista con interventi in Italia e in Russia, ma il suo pensiero era alieno da ogni forma di regime, anche politico, e contrario a gerarchie di ogni tipo, anche religioso.

La trama del suo libro, a una lettura superficiale può parere troppo debole, quasi banale, ed è quello che è avvenuto in Italia all’apparizione dell’opera, dapprima in forma clandestina, durante il fascismo, e poi inizialmente dopo la sua fine.

All’estero invece, era stato tradotto in tedesco, ottenne subito grande interesse e consenso in Germania, negli Stati Uniti e nel Terzo Mondo, per la forza prorompente del tessuto sociale e politico in grado di scuotere le coscienze e stimolare la reazione. Fontamara è la descrizione delle misere condizioni dei contadini del luogo, (ma si può leggere nel nome tutto il sud d’Italia e di ogni paese europeo e non) soggetti a continue tasse e prevaricazioni senza possibilità di vita, alla mercé della prepotenza dei proprietari terrieri, della borghesia e del potere.

Silone si avvale di un artificio che è in grado di dare forza, sincerità e veridicità agli avvenimento: non sarà lui, in prima persona a narrare le angherie che subiscono i suoi compaesani (e con loro il Meridione d’Italia). Quei poveri contadini, la classe più povera, il gradino sociale più basso della “scala umana” “i cafoni”, appellativo che in altri paesi potrebbe essere “peones, fellahin, coolies, nungi” senza alcunché di negativo in questi termini.

“L’escamotage” di far raccontare le vicende dai personaggi dà forza e vita alla narrazione che assume coralità.

Silone immagina che tre abitanti di Fontamara, Giuvà, la moglie Matalé e il loro figlio, arrivati clandestinamente in Svizzera, si rivolgono a lui per chiedere aiuto e raccontino i fatti avvenuti nel paese d’origine. Lì era stata interrotta l’erogazione dell’energia elettrica per mancato pagamento, causa la povertà. La luce elettrica era una dei pochi benefici che il progresso aveva apportato a quei disgraziati, che ora si trovavano in condizioni ancora peggiori.

A nulla valeva ricorrere al podestà, impresario senza scrupoli, corrotto, né poteva essere d’aiuto il parroco, don Abbacchio (ironica raffigurazione dell’ignavia, simile al manzoniano Don Abbondio) e neppure don Circostanza, proprietario terriero.

Non bastasse questa angheria, si aggiunge che il ruscello, risorsa per la sopravvivenza, in quanto utile all’irrigazione dei piccoli orti, viene deviato e incanalato verso la proprietà dell’impresario, negando il diritto.

I cafoni, nella loro ingenuità, ignorando le leggi, scevri da coscienza dei raggiri, si trovano nuovamente a mal partito, perché un altro figuro, l’avvocato del paese don Circostanza, dopo che le donne insorte a protestare non avevano ottenuto che derisioni da chi aveva potere, spinge gli abitanti di Fontamara ad accettare una transazione, per cui tre quarti dell’acqua del ruscello devono andare all’impresario e tre quarti del rimanente ai contadini.

Vengono a chi scrive le considerazioni di Renzo (i Promessi Sposi, cap XXVIII°) in relazione all’imparare a leggere e scrivere, circa l’educazione dei figli: “… giacché la c’era questa birberia, dovevano almeno profittarne anche loro”.

La reazione alla scoperta del danno, provocato dall’ignoranza, fu sopraffatta dall’arrivo in paese di una squadraccia fascista che perquisì e violentò le mogli.

Da qui il divieto di abbandonare il paese, così da evitare ogni risonanza delle angherie e malefatte commesse.

Particolare rilievo nel romanzo di Silone ha un personaggio, Berardo (in cui si può leggere Silone stesso) uomo forte, deciso che indica nella lotta sociale l’unica via, mediante l’azione, per la restituzione dei diritti. Inizialmente i cafoni, legati a passività atavica, non sono pronti a seguirlo nella reazione, ma dopo le violenze perpetrate sulle loro donne, si accingono a seguirlo nella lotta.

Berardo però si innamora di Elvira, perde interesse per la colletività e subentra quello individuale.

Anche qui vi è la possibilità di riferimento alla politica comunista, con cedimenti al particolarismo, al profitto personale, a danno di quello generale.

In cerca di lavoro, Berardo si reca a Roma, ma è possibilità vietata, anche perché da Fontamara l’impresario fa giungere notizie negative su di lui.

La morte di Elvira lo spinge all’azione antifascista, quando incontra un giovane di Avezzano, politicamente impegnato. Vengono arrestati e rinchiusi in carcere, dove Berardo muore a causa delle torture subite, in quanto non avendo più interesse per la vita, ha dichiarato, senza colpa, di essere il “Solito Sconosciuto” un antagonista del fascismo che alimenta la resistenza.

Il lavoro che Carmelo Aliberti presenta con Fontamara, dà visione reale della situazione del meridione italiano, soggetto dapprima alla Casa Sabauda, poi al fascismo.

I cafoni di cui parla Silone, non sono solo gli abitanti di Fontamara, ma le popolazioni del Sud e non, dell’Italia, e di ogni paese, dove, per passività, ci si adatta come liquido a contenitore, nella speranza che le cose mutino, senza intervento diretto.

In Berardo c’è Silone, che in tutta la vita ha scritto e lottato in nome e per il diritto, la libertà ed è morto povero, dopo avere arricchito con le sue opere gli editori.

Soltanto Sandro Pertini, suo antico compagno di tante battaglie politiche, fece in modo di fargli arrivare un contributo.

La sua espulsione dal partito comunista avvenne nel dopoguerra, perché dissidente dalla linea stalinista che affermava valido il movimento rivoluzionario in un solo paese, mentre lui lo riteneva necessario su scala globale.

Con Fontamara, Aliberti ci dà un ritratto autentico di Silone, autore di grande statura, degna di quel Nobel per cui ebbe dieci candidature per la quantità e qualità delle opere, e che ingiustamente non ebbe.

Il libro, a carattere universitario, dotato di eserciziari, potrebbe essere utile e valido per i più, contribuendo alla conoscenza di uno scrittore di alto valore letterario e di un uomo che riteneva l’onore e il diritto più importanti della stessa vita.

Lucio Zaniboni