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Fra le tante opere scritte sull’importante figura di Michele Prisco, assolutamente interessante è quella del Prof. Carmelo Aliberti intitolata “Michele, un uomo e uno scrittore nel buio della coscienza”, per Atracne Editrice Roma, la cui scheda pubblichiamo integralmente. Buona lettura. 

Michele Prisco è stato considerato uno dei grandi maestri del romanzo italiano del Secondo Novecento. La sua scomparsa è avvenuta nel novembre del 2003, nella sua abitazione napoletana di Via Stazio 8, dove negli ultimi anni fu assistito e confortato dall’affetto dalle sue figlie Annella e Caterina, (la adorata moglie Sarah Bonomo, eccezionale musicista era morta un decennio prima) continuano il percorso culturale paterno e ne ravvivano il ricordo con una intensa attività di diffusione dell’opera paterna e di altre lodevoli iniziative, attraverso la fondazione del Centro Studi “Michele Prisco”da loro voluta per mantenere accesa l’attenzione della critica che lo celebrò tra i grandi, non solo per le sue elevate doti narrative, ma anche per la coerenza delle sue teorie estetiche e la scelta della sua area di esplorazione tematica nei labirinti della coscienza,alla ricerca delle radici del Male che aveva condannato ad un incomprensibile tormento la vita della borghesia vesuviana ricostruendo l’incisivo processo interiore dell’anima dei personaggi.

Una spiralizzante discesa indagatrice,con adeguati strumenti di decrittazione psicologica della tastiera tematica, sconvolta da un lento processo di disgregazione storica delle prevaricazioni, operate su un popolo inerme e schiavizzato, dal potere assoluto della nobiltà agraria e successivamente da una implacabile borghesia altrettanto prevaricatrice, consentì allo scrittore di inabissarsi nei labirinti oscuri dell’anima di una categoria sociale preminente e radiografia re nel sottofondo dell’io l’intrecciarsi di sentimenti “sovranisti” di mariti distorti e di abbandoni che determinano la coattiva azione educativa della madre ferita che,per vendicarsi della privazione d’amore subita,scarica sui figli,già lacerati dagli orrori della guerra e impauriti dal terrore della vita, che cercano protezione dalla madre, che, invece, li accoglie con disprezzo, per vendicarsi della fuga del marito, come avviene in Figli Difficili(1954). Storie incredibili di degradazione, di vittimismo, di follia, di lacerante sensi di colpa, e di sciacallaggio economico della “roba”, vengono ricostruite dallo scrittore con una diagnosi psicanalitica ne “Gli eredi del vento”,(1951) dove il maresciallo Mazzù, che ha trascorso un’infanzia di miseria, insegue una posizione di arricchimento e di benessere, sposando,una dopo la morte dell’altra, le cinque sorelle della famiglia Damiano di estrazione borghese,usando tecniche di inganni e tradimenti, seminando morte, dolori e sensi di colpa, tanto che Lisa, ultima delle sorelle, si offre in sposa all’arrampicatore sociale, pur odiandolo per i suoi inganni criminali, martire volontaria per spezzare una catena di ulteriori disperazioni. Fin dalla prima stagione narrativa, iniziata con “La Provincia addormentata” (1949) il giovane Prisco aveva avvertito il bisogno di capire il malessere della borghesia vesuviana, con cui aveva trascorso un’infanzia serena e di cui aveva preavvertito gli ambigui rapporti con gli altri, nel mutamento comportamentale mascherato di ostentato conformismo, di fronte alla genuina manifestazione delle difficoltà della plebe,per cui lo scrittore era attratto ad indagare negli anfratti più invisibili dell’animo delle sue creature, per poter spiegare a se stesso e agli interessati Il vero significato della sconfitta e della colpa che li ha ingoiati nella bolgia infernale della vita. Nella seconda fase del suo itinerario narrativo, particolarmente nelle opere, successive al ’68, dopo aver descritto le delusioni, le sconfitte, ma anche i fatui entusiasmi della deludente svolta del secondo dopoguerra, quando, constatato il seppellimento dei sogni di redenzione partigiana, alcuni scrittori, tra i maggiori rappresentativi del Neorealismo, riprendono la via dell’”Aventino”, cioè si allontanano dallo scrutinio della mitizzazione della Resistenza, per tornare a recuperare le ragioni del cuore.

Nelle sue prime opere, a partire da La provincia addormenta, nata da un biologico bisogno di rivelazione delle storture e della fatale decadenza della borghesia vesuviana, e nelle successive raccolte di racconti, ( “Fuochi a mare”, Punto franco, Figli difficili, Terre Basse) in cui sembra risentire le rifrazioni del Verismo e del naturalismo, con il dissolvimento dell’equilibrio e con la radiografia razionale del labirintico “male “oscuro” e l’utilizzazione dello scavo psicologico, lo scrittore evidenzia le radici più autentiche della sua narrativa, rintracciabili nelle opere dei grandi scrittori russi, (Dostojevskij, in primis) e dei francesi dell’Ottocento,(Flaubert, ecc.) oltre che nella narrativa inglese di Meredith, Mansfield ed altri, da cui aveva assimilato la tendenza a cogliere nel microcosmo interiore dell’uomo il dolore dell’incontro con la povertà della vita e la resistenza del cuore alle percussioni del dolore, Prisco utilizza la letteratura come strumento di ricerca e di conoscenza dello spessore ideale dell’essere e del perimetro ideale, in cui ha senso vivere. Egli si mantiene lontano dagli esibizionismo verbali delle avanguardie, per concentrarsi sulla conoscenza della reale condizione esistenziale del genere umano, perchè ha avuto della letteratura una visione di analisi ontologica, ritenendola arte maieutica di conoscenza dell’inferno che brucia ogni alito di serenità e di amore, dopo l’anamnesi endoscopica dei sommovimenti inconsueti del cuore, dell’anima, della ragione e dell’urgenza di scoprire il vero senso della vita per sé e per gli altri. “Il pellicano di pietra” è uno dei romanzi più emblematici della lotta di Prisco contro il Male del mondo e contro la crudeltà di una madre, Margherita” Savastano, titolare a Napoli di un negozio di tessuti, che alla fine della guerra, si arricchisce smisuratamente, guidata dalla satanica febbre del denaro e del piacere, tanto da rubare anche i fidanzati alle figlie, condannandole ad un dolore infinito, e sposando un povero uomo, senza amarlo, ma tradendolo di continuo apertamente, tanto da indurlo al suicidio. In tal caso, come in tante situazioni narrative prischiane, sulla scena del teatro dell’assurdo si dipanano vicende di realistico orrore, ma l’obiettivo dello scrittore orienta la comprensione del suo messaggio catartico, nella proposta di lettura del male, attraverso la metodologia eliotiana del correlativo-oggettivo del Bene, utilizzata anche da Montale. Ne Il pellicano di pietra, Prisco recupera il messaggio simbolico dell’amore materno, attraverso il mito del volatile che si squarciò il petto, offrendo anche il proprio cuore come cibo ai suoi piccoli affamati, per salvarli dalla morte, con il rischio mortale della propria vita.

Lo scrittore avrebbe voluto dare la possibilità di una luce, ma i fatti lo hanno costretto” a non offrire speranze, almeno immediate. Perché in fondo una piccola apertura c’è quando un personaggio all’ apparenza minore, l’anziana signorina Bice si chiede: “…Ma noi chi lo sa che cosa c’è veramente in un cuore umano?” Che non è un interrogativo a giustificazione o peggio soluzione, al gesto di Giuseppina Savastano, ma lascia aperta la possibilità di un riscatto. Forse anche per questo, che è un romanzo duro, aspro,paradossalmente l’ultima parola è “infelice”. Lo scrittore si tenne lontano dalla squallore della vita politica, ma continuò, con sempre maggiore partecipazione, a coltivare il suo progetto di ricostruzione etica dell’uomo, con le armi penetranti e catartiche della letteratura. Come Dostoevskij, Prisco interpreta coraggiosamente il ruolo dello scrittore come guida ideale nella società e in Giustina, protagonista de “ Le parole del silenzio”, (una povera creatura, che, dopo aver attraversato nella vita tante tempeste dolorose, ci offre il ritratto di una donna, simbolo di risorgimento dell’essere, che ha lottato per la realizzazione di sé, nel contesto di una società in marcia verso la conquista dei valori democratici, in cui l’uomo possa realizzare liberamente il proprio destino.