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Non sono pochi i Comuni siciliani che interpretano la democrazia partecipata esclusivamente come possibilità, da parte dei cittadini, di esprimersi su progetti e proposte avanzati da altri, in primis dalla stessa amministrazione comunale.

Il tutto in aperto contrasto con lo spirito della Legge regionale 5/2014 sulla democrazia partecipata, in base alla quale ogni anno i Comuni siciliani sono tenuti a spendere il 2% dei fondi che ricevono dalla Regione coinvolgendo i cittadini nella scelta dei progetti da realizzare. Un coinvolgimento che, come specifica la circolare esplicativa del 2017, prevede che siano i cittadini stessi, singoli o riuniti in associazioni, a proporre le iniziative da realizzare e, in un secondo momento, a scegliere quali effettivamente finanziare. Una precisazione dalla valenza concreta, oltre che simbolica, con la quale il legislatore affida ai cittadini il compito di dettare l’agenda, non solo scegliere su un “menù” scritto da altri.

Il fenomeno è molto più sotterraneo di quanto emerga dai numeri e assume sfumature molto diverse nei casi individuati dai ricercatori di “Spendiamoli Insieme”, il progetto della no profit Parliament Watch Italia sul buon uso dei fondi per la democrazia partecipata siciliana.
C’è chi gioca sull’equivoco, proponendo progetti a firma della Giunta comunale solo a titolo esemplificativo, come Trecastagni. C’è chi formalmente riconosce ai cittadini la possibilità di presentare proposte ma poi inserisce solo caselle da contrassegnare con una “x” nei moduli di partecipazione, come Erice. C’è chi rigetta le proposte civiche perché “non prioritarie” e sceglie di destinare i fondi a progetti già in atto, come Motta d’Affermo. Ma anche, parecchi, che affidano la scelta all’amministrazione o agli uffici comunali in mancanza di proposte popolari. Dall’altro lato ci sono realtà in cui i cittadini non possono a priori proporre e possono solo scegliere tra progetti calati dall’alto, come a Modica, o aree tematiche e ambiti d’intervento come a Letojanni. Nel mezzo tante soluzioni ibride, come a Trapani e Balestrate.

«Un’interpretazione della democrazia partecipata che non prevede possibilità di proposta da parte dei cittadini – sottolineano Francesco Saija e Giuseppe D’Avella di Parliament Watch Italia – rischia di essere solo una facciata, un’etichetta apposta sopra i classici meccanismi decisionali verticistici e settoriali. La partecipazione è realmente tale se prevede e incoraggia l’ascolto delle proposte, il dialogo, la mediazione tra cittadini, associazioni ed enti, e solo alla fine dà possibilità di scelta. Se è solo una “x” su una scheda, semplicemente non può definirsi tale. La mancanza di metodi inclusivi e imparziali, l’assenza di adeguati meccanismi di informazione, trasparenza, follow-up e accountability, possono portare a processi manipolati per garantire consenso piuttosto che per distribuire potere verso la cittadinanza. Per questo è estremamente importante stabilire procedure chiare, inclusive e trasparenti anche nella definizione delle procedure partecipative. La partecipazione, come ogni altra forma di attività pubblica, ha bisogno di essere organizzata e i modi in cui ciò avviene non sono neutri. Le scelte sui metodi da adottare per strutturare le discussioni, coinvolgere i partecipanti o decidere i problemi da affrontare sono fondamentali per rendere la democrazia partecipata, partecipata davvero».

Pregando di citare www.spendiamolinsieme.it, per i dettagli si può fare riferimento alle pubblicazioni online:
https://www.spendiamolinsieme.it/2022/11/18/quando-la-partecipazione-e-solo-una-x/