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Riceviamo e pubblichiamo l’attenta ed ampia analisi di Padre Alfonso Bruno, Parroco della chiesa di San Rocco a Calderà, frazione balneare della città del Longano, in merito al dibattito tra la CEI e il governo italiano sul nuovo Decreto che prevede la fase 2 ancora senza messe e funerali ristretti.

“La “fabbrica del consenso” affidata alla percezione o alle analisi delle istanze della collettività, spesso snatura la mission del politico e la vision della politica.
E’quanto si è materializzato nel discorso alla Nazione del Presidente del Consiglio dei Ministri il 26 Aprile 2020.
Il Governo italiano aveva finora trovato nella Chiesa istituzionale un prezioso alleato nella promozione e applicazione esemplare delle misure restrittive alla circolazione e alla relazionalità per il contenimento della pandemia da COVID-19.
Nell’annunzio della fase 2, quella cioè di una ripresa progressiva e decisiva alle normali attività produttive e sociali, si è incassata invece l’assenza dell’esercizio di culto ai fedeli.
Il sempre citato comitato scientifico del Governo, un organo consultativo e non deliberativo, è stato ancora una volta utilizzato ad avallo di scelte impopolari.
I vescovi italiani hanno lamentato l’assenza di un confronto col Governo per la sua scelta autocratica e monotematica interdittiva.
C’è un approccio matematico, filosofico e giuridico al dissenso dei pastori e un’interpretazione sociologica finale.
Gli “scienziati”, innanzitutto, sembrano attribuire alla celebrazione delle Messe in Italia un afflusso da centro commerciale, il cui accesso – al contrario – sarà presto consentito.
Le statistiche indicano che nel nostro Paese c’è una media di circa il 20% dei fedeli battezzati che partecipa assiduamente al precetto domenicale in chiese dai tanti banchi vuoti.
Nei giorni feriali solo assidue e pie unità di fedeli assistono all’Eucarestia e benché composte in maggioranza da pie donne anziane il numero limitato non giustifica nessun allarme per la salute.
Difenderebbe le posizioni dei cattolici persino “l’ateo metodico” del filosofo Jurgen Habermas quando parla di “disfattismo della ragione” all’opera sia nello scientismo positivistico, sia in quelle tendenze di una modernizzazione deragliata che sembrano ostacolare più che favorire gli imperativi della sua morale di giustizia.
All’inizio la Chiesa non nasce per trasformare l’ordine sociale o politico.
Basterebbe leggere la Lettera a Diogneto del II secolo nella quale i cristiani non si collocano al di fuori della legge.
C’è da dire tuttavia che come cattolici non si è né totalmente dentro o fuori del mondo moderno.
La Chiesa, tra l’altro, oggi parla con lo stesso linguaggio della società civile per alcune questioni politiche come i diritti dell’uomo.
L’autorevolezza di Papa Francesco è data dalla sua testimonianza coerente, dal farsi solidale con l’uomo comune e dall’essere percepito proprio come un familiare, “uno di noi”.
Questa è la condizione necessaria per essere ascoltati nella società mediatizzata e liquida che così riconosce la grandezza degli uomini credibili, ma anche la loro criticabilità.
Quanto all’approccio giuridico basterebbero rudimentali nozioni di Diritto ecclesiastico codificate dal Concordato del 1984 per essere confermati nella non competenza dello Stato circa l’esercizio del pubblico culto e la disciplina delle funzioni da eseguirsi in chiesa.
Lo Stato può solo regolamentare le cerimonie o processioni che si debbano svolgere fuori dai luoghi destinati al culto. Non a caso, infatti, il “permesso” ai soli funerali durante la Fase 2 è accompagnato dall’invito di celebrarlo all’aperto, con al massimo quindici partecipanti che in alcune famiglie non esauriscono nemmeno i componenti dei gradi più stretti di parentela.
Quanto all’interpretazione sociologica, la religione può “velare” o “rivelare” qualcosa della nostra società.
La controversia su “messa sì o messa no” nella Fase 2 della pandemia implica e porta con sé tutto il modo in cui i cristiani cattolici si pongono di fronte al “mondo”, nel dargli un senso e una “salvezza” a partire dalla propria esperienza esistenziale, individuale e sociale.
Si riconoscono tre modi diversi di inserimento storico e dialettico dei cristiani nella nostra società occidentale: conflitto con la modernità (fondamentalismo); con-fusione nella modernità (cultura irrelata) e superamento della modernità (nuova laicità).
Accanto alle preoccupazioni dei pastori, infatti, ci si chiede quale sia il reale interesse della base cristiana alla partecipazione al culto divino.
I vescovi, consapevoli dell’insostituibilità della partecipazione effettiva ai sacramenti, sanno che la domanda agli stessi surrogati virtuali può scemare nel tempo escludendo sempre più il cristianesimo dalla sfera sociale.
A questo punto la religione diventerebbe sovrastruttura “eroica” del mondo post-cristiano, oppure auto-dissolvimento in una religione politico-democratico-filantropica che porta al nichilismo cristiano?
Se la modalità fondamentalista è sicuramente superata e portatrice di conflitti invece che di uno scambio proficuo e pacifico con altre culture, la con-fusione con la modernità comporta il dissolvimento pratico dell’agenda cristiana nel programma politico e filosofico della modernità proprio nel momento in cui essa sta rivelando la sua crisi.
La terza forma, quella che tende a “eccedere la modernità”, avendone interiorizzato le migliori acquisizioni ha il merito invece di riproporre un discorso religioso che ha qualcosa da dire al mondo e che sa mettere a disposizione del mondo risorse simboliche e di senso non attingibili altrove.
Ma ciò dipende dalla capacità di elaborazione simbolica e di entrare nelle controversie rendendo operativa tale nuova cultura che potrebbe anche al contrario ricadere in trinceramenti anti-moderni o in improprie alleanze con la modernità e le sue logiche.
C’è anche qualche probabilità che la società globale si stia incamminando su un sentiero “post-hobbesiano”, espressione con cui s’intenderebbe non banalmente un’era di “pace perpetua”, ma un modo interamente nuovo e non-moderno di costituire l’ordine sociale.
Nondimeno, l’assetto socio-culturale della società globale sarà decisivo anche per determinare le speranze di strategie di maggiore apertura reciproca da parte degli attori religiosi.
Come spesso è stato nella storia, anche il coronavirus può trovare nella cultura della Chiesa un’elaborazione innovativa e che quindi rappresenta poi il “dono simbolico” che essa porta al mondo globalizzato.
L’acceso e incipiente dibattito tra CEI e Governo italiano diventa allora l’interessante laboratorio per le issues di grande rilevanza che faranno chiarezza sulla forma e la determinazione di un nuovo umanesimo cristiano”.