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Sopravvissuto al Covid-19 anche quando i medici non speravano più di salvarlo ha voluto raccontare la sua terribile esperienza con una lettera. Gioacchino Messina, ex assessore comunale di Furnari e funzionario dell’Agenzia delle Entrate, in terapia intensiva per oltre un mese, ora rende pubblica una sua lettera per ringraziare medici ed infermieri che non si sono “ mai arresi anche quando tutto faceva credere che fosse più facile abbandonare il suo destino alla “Signora” piuttosto che lottare contro di Lei”.

Il diretto interessato preferisce evitare la parola “morte” utilizzando il termine “Signora” quasi per un estremo rispetto nel ricordare quell’incontro avuto in ospedale nell’aprile scorso. Il calvario per Gioacchino Messina inizia proprio quando pensava di potere stare tranquillo dal giorno in cui ha ricevuto la prima dose del vaccino, lo scorso 27 marzo. Da quel momento, infatti, la causa di ogni sintomo influenzale non poteva che essere attribuita al farmaco del momento. Un inconsapevole errore di valutazione visto che, suo malgrado, Gioacchino aveva già contratto il virus senza essersene reso conto se non dopo un continuo ed incontrollabile peggioramento del suo stato di salute. Peggioramento che alcuni giorni dopo determinò il ricovero con urgenza al reparto di Pneumatologia al Papardo di Messina dove è rimasto per pochi giorni per essere poi subito trasferito in terapia intensiva ed essere subito intubato nella speranza di scongiurare il peggio. Già, perché quel peggio è ciò che purtroppo tutti si aspettavano leggendo i bollettini dei medici che comunque non si sono mai arresi proprio come racconta lo stesso interessato in una lettera piena di affetto e stima nei confronti di sanitari ed infermieri che per 23 lunghissimi giorni hanno lottato con lui senza lasciarlo solo nemmeno un secondo nonostante fosse sedato e hanno sperato al miracolo in ogni momento.

“Nel guardare i bollettini giornalieri pensi che sia una ‘’guerra lontana’’ – scrive Messina- una ‘’guerra degli altri’’. Dopo, ai primi sintomi, comprendi che tutto accade vicino a te. La coincidenza temporale dell’infezione con il vaccino (quando ho fatto la prima dose avevo già contratto il virus) fecero perdere giornate preziose per la cura considerando i sintomi tipici reazioni al vaccino e quando ormai, in piena crisi respiratoria, fui ricoverato all’ ospedale Papardo di Messina ero in gravi condizioni”. Ora il racconto di quel calvario con la maschera, il casco, i farmaci impotenti, e quel disperato bisogno di aria, aria pura, aria di montagna frizzante, gelida ma aria. Le interminabili ore in un ambiente estraneo, quelle bianche figure anonime, il controllo continuo, la sensazione che stessero nascondendomi qualcosa e quella ancora più forte che forse.. forse la Signora è seduta accanto a me in una breve attesa ed intanto quel sempre sconfortante bisogno di aria.

Una lunghissima settimana, dopo il sonno, il buio, mi sedarono e mi intubarono ed iniziava una nuova battaglia per sottrarmi dal freddo abbraccio della Signora. Immagino, I medici ed infermieri della rianimazione Covid del Papardo, giorno e notte, intorno al mio ‘’corpo’’, a controllare, a misurare, a scambiarsi occhiate di sconforto o di scettica speranza, anonime figure che in silenzio lottano per modificare il destino, loro la Signora la conoscono, la conoscono bene e la disprezzano. Quanta forza, quanta empatia verso persone per loro perfettamente estranee eppure così vicine, ogni sfida persa è una cicatrice ma non si arrendono consapevoli che il tempo gioca a loro sfavore. Quante ore ci vorranno prima che io ceda alle lusinghe di ‘’pace’’ offertami dalla Signora? Quello che trovo veramente ammirevole è il contrasto tra le informazioni sul mio stato di salute che venivano date ai miei cari, sempre più sconfortanti, e la loro disperata tenacia nel lottare; da una parte la lucida ragione e le statistiche cliniche dall’altra la passione per smentirle; il contrasto mentale tra il capire che ‘’Lo stiamo perdendo ma non arrendiamoci”. Ora che è tutto finito Gioacchino riesce a ricostruire la sua esperienza grazie anche ai racconti dei familiari: “Dopo arriva il momento della scelta, chiedono a mia moglie l’autorizzazione per la tracheotomia. Adesso penso alla strana situazione: delle persone che stanno lottando, giorno e notte, per salvare una vita e forti delle loro competenze e conoscenze scientifiche decidono di utilizzare una soluzione alternativa, devono chiedere l’autorizzazione a parenti non competenti e certamente carichi di una notevole componente emotiva. E’ stato il ‘’si’’ di mia moglie ad avermi salvato? Certamente il suo consenso, li ha salvati dalle pastoie burocratiche e giudiziarie, ma quanto deve essere grande la mia gratitudine verso quelli che non si sono arresi, quelli che alla fine, con una umiltà che lascerebbe senza parole chiunque, dicono ‘’Grazie’’ a mia moglie per avergli concesso l’autorizzazione a procedere. In un mondo con queste regole, chi mai potrà dargli gli onori che si meritano? Quanto può valere un mio grazie? Come faccio ad abbracciarli tutti dal portantino, all’infermiere, ai medici? Quanto vale la sanità pubblica? Ma cosa deve ancora succedere prima di capire che ci sono servizi che non possono essere privatizzati perché la ‘’gente’’ morirebbe nelle proprie case, come è successo nei comuni del Nord, ‘’sorpresi’’ dal virus? Cosa abbiamo capito? Cosa è cambiato non solo nella percezione ma nelle future scelte politiche? Non hanno bisogno di medaglie o monumenti, hanno bisogno di personale, di strutture, di corsi di aggiornamento costanti e continui, di risorse, hanno bisogno della nostra stima della nostra ammirazione. Accanto ai malati non troviamo i Primari o Manager ma troviamo figure pronte ad un sorriso, pronte ad una frase, magari di circostanza, ma di conforto; persone pazienti che accettano le escandescenze dei degenti come nel mio caso, persone che sanno leggere la paura e la fragilità degli esseri umani; di fronte al dolore, di fronte ai rantoli la superbia non serve.

Concludo, tornando al punto principale di questa mia lettera. Quando passate accanto ad una struttura sanitaria pubblica ricordatevi che non è lì per caso, è stata una scelta politica e rappresenta l’esempio più nobile dell’altruismo di una Nazione.. verso chi soffre e contro la ‘’cultura del dolore e del bisogno ’’ … Ancora grazie a chi non è né si sente un eroe.

Tra i tanti messaggi che ho ricevuto in quei giorni ne ricordo uno in particolare: ‘’ E’ una guerra, è veramente una guerra e come in tutte le guerre solo una cosa è importante: Poterla, dopo, raccontare, ti abbraccio ’’.

Forte della mia esperienza finisco con la condivisione delle parole del Presidente della Repubblica: “Vaccinarsi è un dovere civico e morale”.

Pamela Arena