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Carissimo Angelo, stamane dalla finestra di un casermone triestino la nebbia occlude il mio orizzonte, ma i colombi e le prime rondinelle, allegri per amore, mi spingono a riaffondare nei ricordi di una lunga vita, vissuta minuto per minuto al  servizio della cultura. Ho camminato sugli ardui e tristi sentieri della poesia e della letteratura, in tua compagnia, sempre stimolante e solidale, che mi ha sostenuto anche nei più bui momenti della mia vita. Grazie al tuo incoraggiamento concreto e sincero e alla incondizionata fiducia da te riposta nelle mie possibilità, mi hai onorato come collaboratore nei tuoi progetti editoriali. Coraggiosamente, hai accettato di pubblicare  il mio saggio sullo scrittore “scomodo” Lucio Mastronardi nel 1981, cioè subito dopo la scomparsa dello scrittore di Vigevano, il primo saggio sull’autore de “Il Maestro di Vigevano”, oggi arricchito di approfondimenti ed edito—fuori commerco—dalle Edizioni Terzo Millennio. Poi seguirono altri 18 volumi di poesia e critica letteraria, ma anche 4 antologie critiche di poesia siciliana contemporanea, che ancora è richiesta dai lettori. Hai fondato una collana di narrativa per la scuola e me ne hai affidato la direzione, pubblicando come volume n° 1, “Arcipelago Gulag 307” del questore del Senato Carmelo Santalco ed io l’ho curato per i giovani studenti, con ottimo successo. In tale circostanza,Tu hai pubblicato un fascicolo speciale dedicato al mio lavoro. Mi hai affidato anche l’incarico di stendere prefazioni di numerosi volumi, giovani e meno giovani. Hai avuto il coraggio e manifestato il tuo rispetto per i giovani studenti, che, sulle mie indicazioni, hanno lavorato molto, riuscendo a realizzare un volume di storia della letteratura siciliana, che ha vinto il Premio Internazionale IL CONVIVIO riservato  agli studenti delle Superiori. L’allora Presidente del Tribunale di Messina si è complimentato con l’Istituto, che era riuscito a realizzare un’opera titanica. Ricordo con allegria e rimpianto i due giorni di Convegno a Castroreale, nella bellissima cornice della Chiesa del S.S. e poi nel giardino del Museo Cittadino, dove, assieme ai poeti del Rhegium Julii e ai migliori poeti e critici siciliani, stilammo il manifesto della “Carta Poetica ‘94”, che fu tradotta e pubblicata anche all’estero e riportata sulle migliori riviste letterarie italiane e straniere ed inserita in Storie della Letteratura Italiana. C’eri anche tu, carissimo Angelo, sempre al braccio della tua dolce consorte, di cui non dimenticherò mai la gentilezza e il sorriso. Oggi, ti penso, e provo una incontenibile amarezza, vedendo lo sfruttamento selvaggio dell’attività creativa di tanti autori, pur molto validi, costretti ad umiliarsi e vendersi qualcosa di caro, per poter vedere pubblicato il gioiello del loro ingegno creativo. Ora, Angelo, tu che dal cielo vedi con distacco il commercio e le umiliazioni subite dai poveri scrittori, dimmi a che cosa serve la letteratura? Sognavamo di contribuire a creare un mondo migliore. Ma siamo bombardati dal veleno del denaro e dal mortale respiro delle atomiche, oltre che dalla crudeltà, dall’egoismo e dalla barbarie e ci sconvolge fino al delirio il corpicino dei bambini smembrato e sanguinante di bambini innocenti, di madri con in braccio i propri pargoli che si avviano piangenti oltre i confini della guerra con strazio e un soffio di speranza di salvezza, ma tra fiumi di lacrime si voltano indietro, dove la loro casa, già sventrata dalle bombe, rade al suolo ogni svampo di ritorno. Come potremo riempire il vuoto che la tua partenza ci ha lasciato soli in mezzo a tante stragi? Siamo soli, come diceva Quasimodo, e il poeta è solo un salice piangente che nessun miracolo potrà guarire. Avevamo l’arma della poesia e della cultura, che, come mi disse una sera Ignazio Buttitta durante un recital delle sue poesie al Teatro Comunale di Patti, donandomi un suo libro: “Giovanotto, ricordati sempre che questo libro vale più di una schupetta”. Tu, carissimo amico, lo credi ancora?

Con affetto, CARMELO  ALIBERTI.

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ANGELO MANUALI

Esplorazione in Versi de

“Il Superfluo della Vita“

Con prefazione di Vittoriano Esposito, Angelo Manuali (editore-poeta) ha pubblicato il volume Il superfluo della vita (Bastogi Editrice Italiana), una raccolta antologica che ospita i testi più significativi del suo quarantennale itinerario lirico. Già, fin dalle prime prove (che risalgono al 1952), quando Manuali era diciassettenne, i nuclei tematici della sua esplorazione poetica condensata nella dimensione psicologica del rapporto uomo-natura, risultano colti in rappresentazioni descrittive o meditative, mediante un’oscillazione osmotica di presenza-assenza dell’io, ora calamitato dalla griglia dello stupore dinanzi ai vibranti scenari di quiete oggettiva, ora ripiegato nei labirinti interiori assediato dalla consapevolezza della solitudine, da incertezza e da sgomento dinanzi al persistente spettacolo di rovine che connotano la tempestosa avventura umana, percorsa da venature nostalgiche o folgorata da un attimo fuggente di incanto esistenziale. Una nitida tastiera di sentimenti possibili sprigiona un gomitolo di risonanze emotive in im caleidoscopio figurale e materico ascrivibile alla temperie estetica del “realismo lirico”, già trasparente nella prova di esordio intitolata Volo di rondini (1961), ma in realtà esito di una ricognizione originale e autonoma, incentrata sui drammatici itinerari del destino, alla cui decrittazione razionale Manuali rimarrà sempre fedele, lungo l’intero arco della sua parabola creativa, imprimendo gradualmente un’accelerazione critico-filosofica all’assorto percepire del suo poetare. Il poeta scandisce l’approccio con il contingente, che ora riecheggia di accentuazioni sofferte per l’irreversibile trascorrere del tempo, ora è pervaso da sensazioni di vacillamento per gli imbrigliamenti di una frequentazione parodica con il reale, ora è perforato da aculei di angoscia, emersi dalle implicazioni di una visione splenetica, occhieggiante oltre la curva della fisicità. Talvolta il poeta sembra essere risucchiato da un cono di luce, dentro cui si riflette analogicamente l’ombra della più vasta armonia dell’infinito, sia nell’operazione di ritaglio del “topos” realistico, che nelle ricatture di spazi ultrafanici della memoria e nell’urgenza di scongiurare la morte attraverso i sensi incantati tuffati negli occhi dell’amata: “Vive un disegno di orizzonti la dolce alba e ritornano le ville e le logge aperte alla campagna I… I Più ampio spazio già ridesta desideri di chiarità: Ritrovare il segno dei passi e gli animali spauriti, salutare il volo della quaglia; averti vicina ancora e non sapere nel tuo sguardo la morte” Il poeta si ostina nella declinazione di uno squarcio che gli consenta di evadere dalle anguste fessure della tangibilità, ma l’indistinta tensione di un attimo si dissolve nell’assurdità di perforare l’immenso, placandosi in un’equilibrata sottomissione alle folate indeclinabili dell’automatismo psichico. La condizione di esiguità di illuminazione del vero, genera in Manuali un insanabile bipolarismo interiore, oscillante tra travolgenti guizzi verso l’assoluto e il naufragio nello strazio del negativismo esistenziale, aggravata dalla delusione storica post-resistenziale e post-sessantottesca. Ma lo sgomento di vivere in una foresta di enigmi, recluso nella sola certezza dell’impenetrabilità dell’esistente, non riesce a smantellare, nella poesia di Manuali, la costanza della ragione, proiettata a riscoprire ne Le vie dell’uomo, il sentiero dei sentimenti e la gamma dei possibili valori connessi alla vita individuale e collettiva in contrasto con la consumistica massificazione esistenziale. Allora le arcigne ragioni del cuore, scivolando all’interno del binario poeta-carità, ricaricano di vigorosa evidenza i diversi segmenti tematici, dissolvendo le ambiguità connotative di un metamondo limbale e riconverte in inno di difesa della vita il male di vivere, nella visione di una laica mitologia dell’uomo, idonea a riaccendere la tensione al gesto, sospingendo il poeta verso l’impegno nel contesto della storia, per un’autentica liberazione dell’uomo da ogni forma di sopruso e di annientamento. Come si evince dalla raccolta La pietà privata, composta tra il 1973 e il 1977 (negli anni, cioè dell’escalation del terrorismo), il poeta al ventaglio delle disarmonie interiori, determinate dalla resa personale dinanzi alla stoltezza umana e scandite sul pentagramma del dolore, della tentazione del vuoto, dell’assedio del male e del nulla, contrappone l’anelito all’armonia globale; nella pendolarità tra realtà e verità si configura il bisogno di fissare ipotetiche motivazioni etiche e sociali, all’interno di un paradigma filosofico, listato da una sorta di religiosità epicurea, tra lucreziana e oraziana: “Profondo immaginare di un’audace materia che continua in ogni forma e vita la sua lunga storia assidua” in cui predomina la stagnazione della pena all’interno dell’assiduo navigare del cuore tra dolore e noia.

Ne deriva lo straripamento della disperazione soggettiva nella cosmicità dell’angoscia sotto l’imperversare dell’orrore della morte: “Nel buio l’ho incontrata la morte…” (Nel buio)… “Ogni traccia di noi/, cancella il tempo, / e un’ombra di silenzi/ ci dilegua…”. (Anche la luna). Intesa sia come strumento di disintegrazione dell’essere che come parola-segnale dell’esistenza. Inedite variazioni simboliche attribuite al coefficiente della luce, riaffiorano in maniera ossimorica nella raccolta Fino in fondo (1987), sia nella pressura metaforica di istanza ontologica che correlata a sussurrate cadenze affettive, sia come deperibilità del quotidiano, che come messaggio subliminare di idealità, sia come spettacolo di gaiezza paesaggistica, che come abbaglio del poeta-fanciullino, inchiodato ad una sorta di malinconia crepuscolare, al supplizio della rifluenza delle ombre, in cui il grido elegiaco dell’evasione e della salvezza dalla rinata indifferenza e dai rancori degli uomini si discioglie nelle assonanze emotive della compassione, vertice di rifrazione della religione della fraternità e della solidarietà che si tramuta in codice di ideale agglutinamento civile. Allora la poesia è convocata ad assolvere il ruolo anodino delle tensioni afflittive e di predicazione profetica dei nuovi doveri, esplicitati nella profusione dell’amore cosmico, al fine di poter debellare offese, odi, sopraffazioni e oppressioni, iniquità e patimenti nell’inferno sociale, il cui poeta avverte il “superfluo della vita” o la vita come superflua oasi della quota metafisica e può ricreare soltanto il microcosmo delle consonanze assolute nella preziosa stanza della poesia. L’operazione tecnica, pur rimanendo ancorata a tramature lessicali e cromatiche e a tessiture strutturali di stampo classico prosciuga i consueti parametri metricologici, disperdendo in contrazioni e dissonanze le isometrie versificatone e tonali, rilanciando nelle desuete profondità di echi lirici, gli emblemi fisiologici ed elegiaci della parola, in sintonia con le riflessioni e i guizzi emotivi e razionali, attraverso cui sembra attualizzarsi la concezione estetica schilleriana di gusto neoromantico, ridotta a sintonica circolarità paratattica e ad immediata semplificazione segnica idonea a produrre originali timbri di musicalità, mediante riorchestrazioni ritmiche e tonali, in cui la lezione montaliana si attorciglia attorno ai grumi ossificati delle proiezioni descrittivo-discorsive, tese a fondere, in un unitario processo di omogeneizzazione creativa, le interferenze del diario e le dissolvenze della metafora. (1992)

De Re

Nel nuovo volume di versi, intitolato De Re, il poeta Angelo Manuali pone alla base della sua elaborazione poetica il tema del viaggio dentro “la cosa”, inteso come ricerca ed avventura intellettuale, protesa a scavare nei risvolti più inapparenti della storia, della realtà e dell’Io, nella prospettiva di una riscoperta di una concertazione armonica interiore, attraverso cui possa maturare una coscienza della presenza attiva del poeta nel flusso perenne del contingente materico, finalizzata al rinverginamento del bene individuale e collettivo e sospinta da una necessità d’approdo a forme certe di conoscenza. Manuali, pertanto, si inabissa rischiosamente con la Parola perduta, nei labirinti misteriosi della vita, radiografata nello scorrimento della sua quotidianità, analizzando, con gli strumenti della poesia, le sfumature, i palpiti segreti, le prefigurazioni simboliche, l’anelito ideale e spirituale della creatura umana, imprigionata nelle coordinate della “cosa”, dolorosamente sognando di poter addomesticare le fameliche belve che da sempre hanno abitato e stritolato ogni proiezione del cuore verso un’uscita dì sicurezza, o verso la conquista di un frammento di realtà metafisica, con cui poter realizzare il dissolvimento della catastrofe, intesa come la visione della fuga dell’Essere verso l’Avere, simbolicamente decifrabile come identità della morte dello Spirito, e ricondurre l’Io-vagante nell’alveo di una rinata consapevolezza storica, votata al debellamento, o meglio, all’esorcizzazione di tutte le paure, i dubbi, le sconfitte, le disillusioni, la fragilità conoscitiva, e obiettivata ad ossigenare la “selva oscura” dell’esistenza contemporanea, mediante la ragione ed il battito del cuore. Ma il tormento del poeta si evidenzia soprattutto nella poesia “De Re”, in cui Manuali, concentrando la sua attenzione sulle multiformi manifestazioni del reale, sembra quasi avvolgere di umorismo, sottilmente pirandelliano, le sembianze, le astrattezze, le immagini, i concetti, le ombre e le luci, gli elementi concreti della vita vegetale (e della natura in genere), colti nei variegati mutamenti dentro la “camera oscura della vita”, dove brancola con pena il poeta come un nuovo Omero che, nonostante la cecità, (proiezione simbolica in Manuali dell’impotenza gnoseologica dell’Uomo) vorrebbe imbalsamare, con le potenzialità olfattive, i simulacri degli eroi deceduti, in imperiture forme creaturali corrispondenti, nella poesia del Nostro, ai vani sforzi di estrarre dal profilo delle cose, l’invisibile plasma del Mistero, che incatena il poeta stesso all’eterna oscurità gnoseologica delle origini del mondo e della vita stessa:

“In noi forma e misura si fa la misteriosa cosa

 da fibra in fibra incanalata ai talami

 e alle radiazioni, fin dentro

 la corteccia dei lobi occipitali lungo e d’attorno alla scissura  calcahna.

 Così raggiunge l’aria visiva

 all’uopo posta lì da un Padreterno

 (uno qualunque conteso tra i torti)

 dove una camera oscura

 s’accende in flash d’istanti.

Proprio la cosa, quella, sì quella lì

 ideata e nominata, fatta concetto

 e sembianza, sì proprio quella

tradotta in pensiero, in uno astratto,

quella dunque e non altra

individuata, scrutata, sì una,

quella che nella mente si confronta,

collima: immagine di cose…” (De Re).

Manuali riesce, così, a conseguire l’inveramento degli obiettivi emotivamente delineati, sempre oscillanti e mescolati al timore di perderli definitivamente sulla tastiera dell’anima e a sostituire l’angoscia del buio e della morte, con il luccichio di un lacerto di sogno e con il recupero di una “sinopia” della verità dell’eterno mistero della vita. Ma ciò che più sorprende nel poeta Angelo Manuali, è il modo nuovo di utilizzare i codici linguistici, per cui la sua poesia, espressa nei precedenti volumi dentro il tessuto di una parola trasparente, ora convoca inediti significanti, più complessi ed originalmente articolati, per poter, con una più ricca nomenclatura di suoni, esplorazioni, emozioni, colori, fonemi e lessemi, correggere la deformazione della forma e riuscire a depositare, non solo i significati prima inespressi, ma anche instaurare una diversa relazione tra le relative conquiste della ragione e del sentimento. Una poesia che, così, si pone all’avanguardia della produzione lirica attuale, mediante il possesso, tra l’altro, del pregio e della capacità di cooptare il lettore nei processi di meditazione della mente dell’autore, sulla voce del vissuto ancora risonante nelle pareti della memoria, e a guidarlo, dopo la lunga parentesi di assenza o di affondamento nel regno delle ombre dell’anima, sul sentiero di un altro tentativo di cattura forzata “d’apparenti balugini solari”, (”ligia vissuto”), con l’illusione di sfidare la storia ad un’altra prova, per costruire un nuovo destino, più nobile, da riconsegnare al colloquio con i “simulacri delle tenebre”, a cui poter strappare, nel regno del silenzio della necrosi del tutto, nuovi svampi di risveglio, nuovi “gong” di certezze all’anima fluttuante nel frastuono delle dissonanze quotidiane, “il respiro di Dio” {“Un nulla di sé”) che dissipi la notte del cuore e lo illumini con nuove perle di luce nel sottosuolo del buio e pronunci nuove parole di tolleranza e d’amore, in modo da potere riappropriarsi del vuoto per riuscire a riscrivere un nuovo capitolo di storia, in cui le nuove generazioni potranno attingere, sulla scia del “viaggio intorno alla cosa” di Manuali, nuove accensioni di ricerca e di volontà esistenziali, idonee a fare emergere la creatura umana dalle ceneri di ogni forma di dissoluzione conoscitiva, con il segreto proposito di riconquistare la giusta direzione della storia. Con la raccolta De Re, Manuali restituisce alla poesia un ruolo insostituibile di esplorazione della realtà e al poeta, con chiarezza, complessità di linguaggio e una salvata sondabilità dei significati, il primato in ogni operazione di salvezza dell’Uomo dalla tentazione di scivolamento nel regno del male e del nulla.

I GRADI DELLA LUCE

Angelo Manuali ha pubblicato un romanzo ed otto raccolte di poesie, che la critica più qualificata ha indicato come una delle testimonianze più significative del secondo Novecento Maria Grazia Lenisa, nota poetessa e studiosa, nel volume La poesia di Angelo Manuali {1993) ha operato un’analisi completa del microcosmo lirico manualiano, di cui occorre ulteriormente sottolineare la peculiarità dei temi, la nitidezza strutturale e la strumentazione espressiva, affilata e coinvolgente. La spontaneità del dettato sembra travasarsi, con naturale limpidezza in stesure metriche e figurali di solido spessore, tipiche della più eletta classicità e sapientemente coniugate con un itinerario poetico, contraddistinto da una tastiera affettiva, capace di emergere dagli inabbissamenti nei labirinti del dolore e della morte, con le risorse di un illuministico armamentario esplorativo. Coerente con questa personale ricerca di autoilluminazione interiore Angelo Manuali si rivela anche nella più recente raccolta (la prima di una annunciata trilogia) intitolata I gradi della luce (Bastogi Editrice, 1997).Ora il poeta, di fronte al diluvio delle aberrazioni e contraddizioni del nostro tempo, riappropriandosi del ruolo didascalico della poesia, ci propone un’opera preziosa che, al di là di ogni sempre più emergente onanistica fiumana di parole e di evasivi allettamenti neo-baroccheggianti, affida al vate la funzione di guida nel contesto dei processi di chiarificazione interiore sulla strada maestra della conoscenza e della Verità, grazie all’ausilio di un elevato codice etico-ontologico, che nell’Arte Muratoria possiede le certezze più nobili. Viene così proposto al lettore l’ansia spirituale dell’anima, in cammino verso la percezione e la comprensione della “Simbologia della Luce”, mediante l’attraversamento e le soste riflessive sui progressivi gradi dell’ontologia misterica, configurate da Manuali, mediante l’iconografia della ritualità esoterica, nelle tradizioni iniziatiche dell’Occidente Manuali, così, sulle note cadenzate di una parola poetica intensa, nella forma dell’endecasillabo vibrante di accenti, e modulata sapientemente nel ritmo sottile della captazione lirica, con un incalzante procedimento analitico-esplicativo, enuncia l’approfondimento razionale ed etico delle sequenze iniziatiche dei “Gradi della Luce”: particolarmente nel “Gabinetto della riflessione”. Manuali ci descrive la condizione del neofita, che, dopo una perforante meditazione sui mali del mondo e il conseguente sprofondamento nella morte simbolica della propria profanità, perviene al più alto vertice dell’innalzamento psico-intellettivo folgorato dall’irradiazione della luce, con cui la mente umana sembra fondersi all’allegorico viaggio della perfezione interiore, con i simbolici gradi di Apprendista Compagno e Maestro, e proiettarsi dall’intimo regno delle tenebre al trono della Luce cosmica, dalla dissennatezza dell’incoscienza alla consapevolezza di una etica dimensione dell’essere. Così, nella “work in progress”, delineata poeticamente da Manuali, la creatura umana, trasfigurata in simulacro di speranza, proseguirà, non più verso mete di insensatezza e di farneticazione, ma, in un contesto complessivo di progresso generato da un insuperabile codice etico, si volgerà verso una più vasta realtà di rapporti interpersonali ed universali di affetto di storia e di cultura. La poesia di Manuali si tramuta così in mediana avventura nel mistero dell’Io e della Natura, come racconto di una cronica conversione, contrassegnata dal binomio vita-storia ed amore-spirito che sovrasta la linea di demarcazione fra finito ed infinito, tra le connessioni dell’armonia del creato e la personale anabasi verso l’estrinsecazione della sublimazione poetica con la correlata immersione nella nuova ritualità ed oscillante sull’abisso dello stupore cosmico della ipotizzata e dissolta apocalisse tra musicalità e parola, tra mistero e poesia, dove può avverarsi la scoperta dei valori, di idealità, di colori e di immagini di Luce ultrafanica, in cui la voce dell’anima può espandersi e smemorarsi in ideogrammi e corrispondenze di nuovi cieli e della sublimità di terre inusitate. L’anima potrà ritagliare così le microseguenze di una “fabula” ideologica universale” sulle corde di una ritessitura delle trame di una azione purificatrice che sprigiona le tensioni di un cromosomico codice interiore in una calibrata padronanza della parola poetica, attraverso cui Angelo Manuali riesce a ridisegnare un universale sogno di purificazione, d’Amore, di Fratellanza, di Solidarietà, di Arte e di Cultura che si tramuta in Fede nell’Uomo, razionalmente plasmato in una profilatura integrale dell’Essere, riscattato da ogni sfacelo creaturale e proiettato verso un itinerario attraverso cui l’anima, superate molteplici prove, diventi degna di ricevere la rivelazione dei “segreti simbolici del Grado” (p. 68) il cui imperativo categorico esige l’assimilazione delle affascinanti e concrete modulazioni della leggenda di Hiram per la rinconquista della

Parola Sacra“,

la “riconsacrazione del Tempio,

e il trionfo della Verità

un significato in te dovrai

come esperienza di vita vissuta

 interiormente a fondo assimilare

perché solo in se stessi può rivivere

l’esoterismo di ogni iniziazione” (p. 68). (1997)

Il TRIBUTO DEI GIORNI (2012)

In questa raccolta, Manuali, che è costantemente teso verso l’approdo all’infinito, pone come metafora speculare dell’esistenza, scandita nel volo d’aquila in.“La Primavera“, ma è costretta a rientrare nella scansione del tempo a declinare con contenuto dolore l’oscillazione degli antagonismi tra la limpida tensione del sentimento e le lacerazioni del cuore nell’impatto con l’amara realtà, a cui deve „ offrire il tributo dei giorni“, spesi nella lotta contro i nuovi mostri della società odierna, dementemente disumanizzata. Protagonista delle contrapposizioni è la distanza tra l’essere e il dipanarsi della pluralità episodica del divenire attraverso il recupero di ricordi e i sogni di un poeta che crede nel valore dell’esistenza, di cui vuole penetrare e dare razionalmente un senso al dilaniamento quotidiano dell’uomo, prigioniero nei labirinti della cecità ontologica con trepidante „palpito vitale. Nel „naufragio della ragione“, solida antagonista dei folli miti della modernità, quale l’appagamento di ogni piacere, l’ossessivo inseguimento solida antagonista dei folli miti della modernità, quale l’appagamento di ogni piacere, l’ossessivo inseguimento dell’Avere e del benessere sopravvive lo scatto di chi ancora nella funzione epifanica della poesia come efficace strumento verbale di percezione e possibile decrittazione del mistero che alimenta ancora il desiderio di inseguire il segreto misterioso che si annida nella vita di ogni uomo. In tal modo, il poeta riesce a captare il senso della fluenza temporale e della sopravvivenza, unico testimone e coreuta dell‘inedito viaggio verso la conoscenza: l’intenso e tenero amore per la sua donna, manifestato in versi razionalmente ed efficacemente scanditi, in cui vibra il sentimento nel „fiume di pietra“ della parola che cattura anche il cuore dell’amata, trasparente nella accurata collocazione, nella pregnante e mielifica selezione verbale e nella lineare e potente strutturazione metrica, classica e moderna, ma fortemente lirica; il ritorno nella serenità della dimora domestica, grondante di amore, dopo il logorio delle vicissitudini e delle inquietudini del giorno; l’abbraccio della gioiosa nipotina che, come l’anello di una catena sospesa nel tempo“, prosegue la vita nel futuro, rappresentano la difesa dal diluvio del male e del dolore che assediano il destino dell’uomo. Il desiderio di vivere serenamente nell’incanto della natura, contrapposto al buio gnoseologico, che invade i giorni di allegria e del male di vivere“.Il poeta rimane sospeso tra l’incalzare della vita e la tensione gnomica del discorso continuo, in cui si dipana un bilancio, ma alla fine trionfa la vita che dissolve le nebbie del tempo e impone i suoi diritti naturali. La poesia immortala le consecutive fasi della perenne lotta, che si ripete nello scorrimento del tempo, come nella voce dei grandi poeti di ogni epoca, tra cui si erge la poetica di Ugo Foscolo, di Giacomo Leopardi e di Eugenio Montale, in sintonia con il razionalismo europeo dei filosofi. La poesia di Manuali vola umilmente, ma vigorosamente tra il contingentismo e l’eternità e la vita è costituita dall’operosità quotidiana nel modo in cui ogni uomo ha cercato di darle un significato, che il poeta canta nella aspirazione alla pace, in cui la creatura umana possa dissolvere ogni incertezza. Ne „L’autunno“ incombe il freddo dell’inverno, che invade il cuore dell’uomo di malinconica inquietudine e dell’inappagamento di fatue certezze, della precarietà esistenziale e della incerta sopravvivenza, la memoria si aggrappa alla bellezza del passato, per poter resistere all’operosità insensata del presente. La riesumazione dei Lari domestici, la nonna, la madre, il padre, gli affetti e l’eticità comportamentale, nella lucidità delle care figure fluttuanti nella memoria, rianimano esemplari vicende esistenziali, che tornano a vivere nella comune consanguineità. Il nomadismo terreno dell’anima finisce nella fede dell’irrompere improvviso di un „misterioso artiere“ che lo conduca „ad un’altra dimensione“ che dissolva le ombre del destino umano e che il ricordo della „Primavera“ restituisca „vigoria indomata“ al corpo e alla ragione.

IO E LEI

Io e Lei è un titolo un po’ singolare che corrisponde però all’interna coerenza dei testi poetici i quali riguardano essenzialmente il rapporto tra il poeta e la sua compagna, in una intensa giovanile freschezza di sentimenti che dura da più di cinquant’anni. È raccolta infatti nel libro una selezione di poesie tratte dalle precedenti pubblicazioni, con l’aggiunta di una sezione di testi inediti, anch’essi quasi tutti direttamente o indirettamente ispirati ai rapporti familiari, scritti in questi ultimi anni. Caratterizza tutto il libro lo svolgersi di un intenso vissuto che fonda sui sentimenti il valore della vita. Tutto ciò non estranea il poeta, richiudendolo in un privato sentimentale, ma anzi lo immerge nella problematicità esistenziale che è forte e profondamente sentita, di fronte alle difficoltà del vivere, al mistero dell’universo, alle ragioni e al valore della nostra presenza e del nostro destino, in una partecipazione e in una religiosità laica che coinvolge lo spirito stesso dell’uomo e la realtà tutta. Nel trasporto per la donna amata, dall’innamoramento intenso e ardito dei primi slanci giovanili alla pensosa maturità, fino alla tenera ma virile dedizione di questi ultimi anni, il poeta ha sempre uno sguardo, un accento, un sentimento positivo, costruttivo di solidarietà e di comprensione, che sostanzia di sé tutta la sua personalità ed è parte irrinunciabile del sentire di un uomo immerso nella dinamica della vita e dei rapporti umani. Io e Lei deve essere considerata come una alta testimonianza del poeta Manuali, che raccoglie liriche dal 1952 al 2006, una costante e coerente fedeltà all’”ars poetica”, apparentemente di agevole fruizione da parte del lettore, ma, in realtà, è l’esito di un percorso interiore ed esistenziale, sempre coltivato sul terreno dei sentimenti limpidi, e particolarmente per gli affetti familiari e soprattutto per LEI, la donna perennemente amata, fin da quando, trasferitosi in altra città, lo attrasse improvvisamente all’uscita della scuola, in mezzo alle sorridenti compagne di classe, con la nobiltà di un contenuto comportamento che la sopraelevava sul gruppo con lo sguardo affilato in cui concentrava la sua apprezzabile serietà e splendore della ragazza da amare. Da quel momento, l’immagine della sua Beatrice non lo abbandonò neppure per un attimo. La lontananza di quella ragazza senza nome suscitò nel cuore dell’innamorato i suoi primi versi d’amore, che cresceva quotidianamente, dopo averla rivista. Il legame affettivo proliferava gioia intensa e l’istinto sensuale resse anche nei momenti in cui si ritrovavano soli a passeggiare nei sentieri tra i campi. La raccolta fotografa in quadretti verniciati d’amore la storia di un nitido sentimento, che nelle varie stagioni dell’accidentato cammino esistenziale, fece ritrovare i due innamorati sulla soglia di casa, in un caloroso abbraccio, dopo le intricate giornate gravide di impegni gravosi. L’esperienza degli sperimentalismi del Gruppo ’63 e dei successivi neoavanguardisti del ’77, dell’84 e del gruppo ’93 e del ’99, che si erano illusi di fare poesia con le astruserie dei funambolismi linguistici e che, invece,
destituirono di pregnanza valoriale la parola, ghettizzandola in oasi insignificanti di neoermetismo, quasi per coprirsi con le chele del ragno dall’ostilità dei potenti e dalla società demente, lanciata a sfidare scientificamente il Creatore e a consolidare il regno di Sodoma e Gomorra, miracolosamente il poeta Manuali rimane estraneo ad ogni mistificazione barocca della realtà, inverando un giudizio, amaro e convinto, di Giuseppe Petronio sulla paraletteratura, che occorre liberare dal “para”, perché “Tra cinquant’anni tutti si ricorderanno delle poesie di Fabrizio De Andrè e nessuno saprà chi è Zanzotto”, in quanto si va affermando l’idea che il poeta sia tanto grande, quanto è più oscuro e illeggibile. Del tutto immune da ogni forma di idolatria egocentrica, il rapporto osmotico IO/LEI prevale sull’ossessiva iterazione dell’”io”.

La teoria estetica di Manuali, sviluppata nelle microsequenze contingenti, si dispiega nella macrosequenza di un lungo ed ineccepibile viaggio d’amore, punto d’approdo e di salvezza dalle ingorde voragini del cammino terrestre, razionalizzando poeticamente la ricerca della luce nelle confuse nebbie della terrestrità. L’Amore e la Poesia, come strumento di percezione del fruscio del mistero cosmico, vengono sacralizzati nel breviario del Bene Assoluto e riescono ad imprimere all’esistenza umana un senso vero al nostro doloroso transumare.

POESIE

Primo incontro (da Volo di Rondini, 1952-1960)

Da soli due giorni

Avevo cambiato città

Ti vidi di sera, per strada,

insieme a tua madre.

Mi parve mancarmi il respiro.

Così t’avevo cercata

Ed ora mi eri di fronte

Dolcissima e vaga.

Visone di sogno

Tu fosti per me

Due lunghissimi giorni.

Ti rividi davanti alla scuola.

Passando tu fresca e ridente

In un gruppo ciarliero di amiche

Non ti accorgesti neppure di me.

Ma il tempo mi era alleato.

Il seme piantato d’inverno

(Dal grembo la terra col sole

Messi più ricche dischiude)

Al nuovo fiorir di stagioni

Nel tuoi giovane cuore spuntò

E t’accese d’amore per me.

QUST’AMORE DI GIOVANI FOGLIE

Ho seguito una traccia

Di foglie risecche, di rami spezzati,

poi anche quest’ultimo segno è finito.

Dove altri si è arreso ho seguito

Fino a sbagliare, a cadere.

Ma sempre mi sei stata vicina,

sempre ho sentito la mano

più stretta alla mia.

È questa certezza ch’ esalta l’impresa.

È il segno di un varco

Che mena ad un verde rigoglio,

ad un melo fiorito:

questo varco io tento con te,

questo amore di giovani foglie.

LA PENA DI VIVERE

(ultima poesia della raccolta)

Più non mi sentirei,

senza di te, me stesso

giacchè forza mi dà la tua presenza

e mi consola.

La dolcezza

un po’ triste dei ricordi

è come questa lunga cena

al lume di candela

mentre i camerieri

già rassettano i tavoli

e noi siamo ancora qui

con la nostra pigra intimità.

Ma è tempo ormai di andare.

Nella strada,

il fresco della sera

ci accarezza il viso. Un’altra notte

che tutta ci appartiene

facendoci sentir che la vita

vale la pena di viverla