Condividi:

Riceviamo dal Prof. Carmelo Aliberti e pubblichiamo integralmente la recensione del libro “Mussolini Figlio del Secolo” di Antonio Scurati, che ha vinto il prestigioso ‘Premio Strega 2019’. 

Antonio Scurati (Napoli, 25 giugno 1969) è uno scrittore e accademico italiano. Si laurea in Filosofia all’Università di Milano per proseguire i suoi studi all’ Ecole des ùhautes etudes en sciences sociales di Parigi e completare la sua formazione conseguendo un dottorato analisi del testo all’Università di Bergamo.

Nello stesso Ateneo coordina il Centro studi sui linguaggi della guerra e della violenza e insegna Teorie e tecniche del linguaggio televisivo. Nel 2005 diviene Ricercatore in Cinema, Fotografia, Televisione e nel 2008 si trasferisce alla Libera Università di Lingue e Comunicazione IULM di Milano, dove svolge l’attività di ricercatore e docente titolare nell’ambito del Laboratorio di Scrittura Creativa e del Laboratorio di Oralità e Retorica. Ha pubblicato nel 2003 ilbsaggio Guerra. Narrazioni e culture nella tradizione occidentale, finalista al Premio Viareggio.Il suo romanzo Il sopravvissuto (Bompiani, 2005) ha vinto la XLIII edizione del Premio Campitello. Nel2006, presso Bompiani, è uscito il saggio “La letteratura dell’inesperienza. Scrivere romanzi al tempo della televisione”: una riflessione su media, dadaismo, letteratura e umanesimo. Collabora col settimanale Internazionale e il quotidiano La Stampa. Nel 2007 viene pubblicato Un storia romantica. Nello stesso anno realizza per Fandango il documentario La stagione dell’amore, un film che indaga sul tema dell’amore nell’Italia contemporanea, riprendendo l’inchiesta realizzata nel 1965 da Pier Paolo Pasolini in Comizi d’amore Nel 2009 pubblica Il bambino che sognava la fine del mondo, romanzo che mescola realtà e finzione, prendendo spunto dalla cronaca per descrivere impietosamente la fame di tragedie da parte dei mass-media e del mondo dell’informazione in generale. Nel 2010 pubblica Gli anni che non stiamo vivendo. Il tempo della cronaca, una raccolta di articoli sui principali fatti contemporanei di cronaca, politica e attualità. Nel 2015 è uscito, ancora per Bompiani, Il tempo migliore della nostra vita, opera fra il romanzesco e il biografico Nel settembre 2018 pubblica M. Il figlio del secolo, primo volume di una trilogia su Benito Mussolini destinata a raccontare la storia italiana dal 23 marzo 1919 – giorno della fondazione dei Fasci di combattimento – al1945. Mussolini. si chiude col discorso pronunciato il 3 gennaio 1925 alla Camera dei deputati, instaurazione ufficiale della dittatura dopo la crisi politica determinata dall’omicidio di Giacomo Matteotti, ucciso in un agguato, mentre si recava in Parlamento,con le prove dei brogli elettorali, degli atti di violenza e delle intimidazioni agli elettori, costretti a votare con la porta della cabina elettorale aperta, per consentire alle vigilanti camicie nere di vigilare e segnalare eventuali tradimenti..Di tale delitto, il Duce si assunse in Parlamento la responsabilità.

Il fatto è che l’antifascismo Novecentesco non regge più ai tempi

nuovi e, dunque, io credo, l’antifascismo va ripensato su nuove basi.

Raccontare il fascismo, per la prima volta in un romanzo, attraverso i

fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è il mio contributo alla

rifondazione dell’antifascismo”. Il Libraio. it ha intervistato lo

scrittore Antonio Scurati, in libreria M. Il figlio del secolo,

romanzo di oltre ottocento pagine: “Mi sono assegnato un criterio

rigidissimo: nessun personaggio, accadimento, discorso o frase narrati

nel libro sono liberamente inventati”. Secondo l’autore, “se vogliamo

che il fantasma del fascismo smetta di tornare a infestare le nostre

case, dobbiamo che farci i conti. Narrare è per me la massima forma di

esorcismo. Dobbiamo attraversare il fantasma”. Quanto alle

preoccupazioni per il presente: “Ci sono indubbiamente molte

differenze rispetto a cento anni fa, ma il clima sociale e politico di

allora manifesta sorprendenti ed agghiaccianti analogie con quello

odierno…”

 

Nel monumentale M. Il figlio del secolo, in libreria per Bompiani,

Antonio Scurati si propone di ricostruire narrativamente la figura di

Mussolini seguendo la sua parabola di uomo in parallelo alla crescita

e alla disfatta del partito fascista. Nel primo volume, che si dipana

dal 1919 al 1924 e si conclude con l’omicidio di Matteotti, seguiamo

per oltre ottocento pagine gli esordi e la progressiva affermazione

del partito fascista e di Mussolini-leader, tra poderosi zoom sulla

vita privata, incursioni nella biografia di tante figure pro e contro

il partito e straordinaria attenzione alla mentalità della folla.

Scurati si è sempre occupato di guardare alla storia e alla cronaca,

sia da saggista (si pensi ad esempio alla raccolta Gli anni che non

stiamo vivendo, Bompiani 2010) sia da narratore, rivolgendosi ora al

presente in forme di accurata e allarmante distopia (Il bambino che

sognava la fine del mondo, ivi 2009) o di estrema verosimiglianza (Il

sopravvissuto, ivi 2005), ora ricostruendo il passato e la biografia

di un uomo ben rappresentativo del suo tempo (Il tempo migliore della

nostra vita, 2015, dedicato a Leone Ginzburg). Non sorprende, dunque,

l’approdo a una scrittura minuziosa e, al tempo stesso, avventurosa in

M. Il figlio del secolo.Per approfondire la scelta di un romanzo dalla

tematica così delicata e scoprire di più sulle scelte stilistiche, il

Libraio. it ha intervistato lo scrittore. Scurati, nel suo romanzo

cogliamo una visione pluriprospettica che non condanna e non

giustifica la figura di Mussolini. È stata posizione antifascista?

 

“È stato estremamente difficile ma non per questo motivo. Questo mio

romanzo su Mussolini è il mio massimo contributo all’antifascismo. Ne

sono assolutamente convinto, altrimenti non lo avrei scritto. E sono

altrettanto convinto che, a lettura ultimata, l’antifascismo verrà

rafforzato nei lettori. Il fatto è che l’antifascismo Novecentesco non

regge più ai tempi nuovi e, dunque, io credo, l’antifascismo va

ripensato su nuove basi. Raccontare il fascismo, per la prima volta in

un romanzo, attraverso i fascisti e senza pregiudiziali ideologiche, è

il mio contributo alla rifondazione dell’antifascismo. Detto ciò, per

uno scrittore democratico, libertario e progressista, quale io sono,

immergermi in una narrazione dall’interno della mentalità e

dell’esperienza fascista è stato sicuramente uno sforzo immaginativo

enorme. Anche e soprattutto perché nessuno scrittore della mia

generazione lo aveva mai fatto”.

 

La scelta del romanzo storico ha comportato una grandissima

documentazione da parte sua. I brevi capitoli sono intervallati da

stralci di discorsi dell’epoca, articoli, dichiarazioni, graffiti

cittadini, diari,… Questa scelta risponde solo a un’esigenza di

realismo? Quali criteri ha adottato per scegliere cosa offrire ai

lettori?

“Mi sono assegnato un criterio rigidissimo: nessun personaggio,

accadimento, discorso o frase narrati nel romanzo sono liberamente

inventati. Tutto ciò che viene narrato in M, fino all’ultimo

dettaglio, è storicamente accertato o autorevolmente testimoniato. I

materiali documentari esibiti alla fine dei capitoli, sempre e solo

coevi agli accadimenti, certificano l’autenticità del racconto

precedente ma sviluppano anche una narrazione a se stante. Sono

rivelatori e commoventi perché spesso dimostrano quanto gli uomini

siano ciechi agli accadimenti della loro stessa vita mentre li

vivono”.

“L’opera d’arte deve avere il vero per soggetto, l’utile per iscopo e

l’interessante per mezzo”: questi erano gli ingredienti fondamentali

del romanzo storico secondo Manzoni. Come la pensa? E quanto

romanzesco può concedersi lo scrittore?

“La parabola letteraria e umana di Manzoni, il suo approdo al rifiuto

del romanzo d’invenzione, è sempre stata per me esemplare. Il suo

tormento esistenziale e il suo genio letterario erano in anticipo sui

tempi di quasi due secoli. Io credo che oggi, nel XXI secolo, buona

parte della più interessante letteratura europea riprenda quel

rifiuto. Penso a tutti quei romanzieri che ri-narrano la storia del

Novecento su una fortissima base documentale (Littell, Cercas, Binet,

Carrère, Petrowskaja, Janeczek, solo per citarne alcuni). È una scelta

etica ma anche di poetica. A favore del romanzo non contro di esso.

Una evoluzione della forma romanzo. Io mi sono concesso molto del

romanzesco: il tono, la prospettiva, la messa in scena, la sintesi

onnisciente e avvincente. Molto ma non tutto”.

 

Oltre a Mussolini, nel romanzo facciamo conoscenza di un intero

universo, soprattutto maschile, presentato attraverso figure

dell’epoca (tra gli altri, D’Annunzio, Marinetti, Matteotti, Balbo…).

Come ha lavorato per ricostruire anche le tante personalità di questi

o difficile, per chi come lei ha sempre avuto una personaggi, che non

sono mai solo mere comparse, ma hanno una loro identità narrativa?

“Ho lavorato. Moltissimo. Un lunghissimo e faticosissimo lavoro

preparatorio attraverso una bibliografia variegata. La storiografia

antifascista, innanzitutto, ma anche quella fascista. La

memorialistica degli antifascisti ma anche quella dei fascisti,

simpatizzanti o fiancheggiatori, troppo a lungo rimossa col risultato

che l’incredibile vicenda del fascismo è stata anch’essa rimossa dalla

coscienza nazionale. Un inconscio della storia d’Italia, e d’Europa,

che continua a riaffiorare in maniera tragica, nevrotica, dannosa e

con il quale, per questo motivo, era giunto, a parer mio, il momento

di fare i conti. Le vite di molti fascisti sono state vite

avventurose, formidabili, affascinanti e romanzesche all’ennesima

potenza. Vite sciagurate, anche, certo. Ma, se vogliamo che il

fantasma del fascismo smetta di tornare a infestare le nostre case,

dobbiamo farci i conti. Narrare è per me la massima forma di

esorcismo. Dobbiamo attraversare il fantasma”.

 

Le donne di Mussolini: da Margherita Sarfatti all’amante più giovane,

Bianca Ceccato, nel romanzo troviamo quadri che descrivono minutamente

le amanti storiche attraverso dettagli e abitudini, ma senza mai

indugiare eccessivamente. Meno approfondita è invece la figura della

moglie. Quanto spazio ha scelto di riservare al privato di Mussolini

in questo e nei prossimi volumi?

 

“stanza e uscire in strada – è perché lui stesso lo ha dichiarato in

una nota Tutto lo spazio che le testimonianze dirette mi hanno

consentito. Mussolini incarnava fieramente e al massimo grado una

forma di maschilismo misogino che repelle alla nostra sensibilità ma

che ha dominato la cultura italiana e occidentale per secoli. Per

quella sessualità predatoria le mogli non contavano. Contavano le

amanti ‘predate’. Se però io racconto, come faccio, che subito dopo

l’amplesso Benito Mussolini è irresistibilmente attratto dal proprio

cappello – cioè spinto dall’impulso ad abbandonare la autobiografica,

vantandosene”.

 

“La politica richiede il coraggio gretto, cattivo delle risse di

strada, non quello arioso delle cariche di cavalleria. La politica è

l’arena dei vizi, non delle virtù. L’unico vizio che richiede è la

pazienza”. Alcuni passi lasciano il lettore intento a riflettere sul

nostro presente… Ritiene che la politica sia questo anche oggigiorno?

“Soprattutto oggigiorno. L’Italia e l’Europa, dopo la fine della

Seconda guerra mondiale e dopo la vittoria sul nazifascismo, hanno

vissuto una stagione di grandi idealità e speranze politiche, anche se

quasi sempre tradite o sopraffatte. Oggi, esauritasi quella spinta,

tornati prepotentemente sulla scena pubblica paura e risentimento, la

politica è indubbiamente di nuovo scaduta ad arena di vizi. Ci sono

indubbiamente molte differenze rispetto a cento anni fa, ma il clima

sociale e politico di allora manifesta sorprendenti ed agghiaccianti

analogie con quello odierno. Leggere per credere”.

 

Nel romanzo si trova grande attenzione alla psicologia della massa: a

suo parere ancora oggi potremmo farci incantare da un Mussolini sul

palco?

“Lo facciamo. Senza condizionale. Benito Mussolini è stato, senza

ombra di dubbio, un formidabile innovatore del linguaggio e dell’agire

politico. Il fondatore di qualsiasi populismo successivo. Un uomo del

popolo – figlio di un fabbro di provincia – asceso al potere grazie a

una formidabile intelligenza degli umori del popolo. E del modo di

cavalcarli più che di influenzarli. La rivoluzione che apporta al

linguaggio giornalistico, suo strumento di conquista del potere

insieme alla violenza quadristica, è avveniristica. Niente più

discorsi paludati e articolati della erudita oratoria ottocentesca.

Frasi martellanti, soggetto-verbo-predicato, e tutte precedute da un

‘Io’ perentorio. Ogni frase uno slogan. Senza nessuna preoccupazione

per la verità, la realtà, la fattibilità. Pura emozionalità, o

mitopoiesi politica (come preferivano dire i fascisti). Gli articoli

del Mussolini giornalista sono gli antenati dei tweet odierni”.

A pagina 139 leggiamo: “Il futuro esiste per riscattare i torti”. La

pensa così anche Antonio Scurati o solo il narratore?

 

“Nelle sue giornate migliori – sempre più rare – la pensa così anche

Antonio Scurati. In fondo, il fatto che possa oggi scrivere un romanzo

che svisceri l’aberrazione fascista, e i lettori leggerlo e

discuterlo, sta a dimostrare che il futuro ha riscattato i torti. Il

futuro in cui gli antifascisti di allora speravano ardentemente,

disperatamente, pur non vedendone nessun segno all’orizzonte, quel

futuro siamo noi. Non dobbiamo mai dimenticarlo”.

 

 

 

Il figlio del secolo

pp. 848, € 24

Bompiani, Milano 2018

 

Proprio quando – grazie alla triade W. G. Sebald, Emmanuel Carrère,

Javier Cercas – tra le virtù del romanzo contemporaneo sembrava

potersi annoverare soprattutto quella di essere strumento di

misurazione della distanza tra noi e la storia, intesa come trauma,

esperienza irrecuperabile eppure in continua tensione con l’attualità,

fantasma della memoria e pietra d’inciampo cui dedicare pazienti

appostamenti e pellegrinaggi per alcuni libri di Eraldo Affinati,

cimiteri e contrade più o meno sepolte (si pensi, ad esempio, da noi

ad Helena Janeczek, Massimo Zamboni, Antonella Tarpino), una

letteratura caratterizzata spesso dall’impiego di tecniche ibride, tra

reportage e memoir, ecco che Antonio Scurati questa distanza invece la

annulla, trascinando il lettore nella polvere accecante del presente

storico, come se davvero non si conoscesse l’esito dell’avventura del

fascismo, ma la si vivesse pagina dopo pagina nei suoi snodi decisivi,

nei possibili destini squadernati, nelle continue correzioni di rotta.

Ed è pur vero che questa storia non la si conosce mai abbastanza, in

particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra,

rinfrescata recentemente per obblighi di centenario, ma mutilata si

direbbe delle dirette conseguenze (e quindi delle prossime ricorrenze)

che in questo primo volume della trilogia vediamo svolgersi

cronologicamente, dal giorno di fondazione dei Fasci di combattimento

a Milano, il 23 marzo 1919, all’inspiegabile rovesciamento per cui chi

ha vinto verrà indotto a sentirsi sconfitto, quindi legittimato a una

ulteriore lotta per la vittoria, all’impresa di Fiume, al basculare

del paese verso la all’inesorabile meccanismo del fascismo che si

sottrae alle categorie di giudizio con la dottrina dell’azione, fino

allo spavaldo discorso di M in Parlamento, il 3 gennaio del 1925,

quando assumerà soltanto su di sé la responsabilità politica, morale,

storica “di tutto quanto è avvenuto”.rivoluzione socialista, alla

reazione e al dilagare dello squadrismo,

 

Con questo suo romanzo Scurati fa opera di divulgazione coraggiosa,

che va anche al di là delle intenzioni edificanti espresse; così come

la lettura di Marco Paolini, da ascoltare sul sito di Repubblica,

assume la qualità di una meditazione senza inganni. Diremmo che è una

divulgazione che sa affrontare il pericolo di mettere in circolazione

conoscenza viva a proposito di un personaggio dalle inflessioni

eroicamente opportuniste, anche quando ce lo rappresenta bohémien

irriducibile e persino rinvigorito dall’insuccesso, come davanti alla

disfatta elettorale del 1919, intento a spedire bombe sorseggiando un

bicchiere di latte. E ci riesce tra l’altro tornando al metodo del

romanzo storico più classico, se vogliamo sulla linea di Littell nelle

Benevole (anche se lì Maximilien Aue che narrava in prima persona era

“solo” un ufficiale delle SS impegnato sul fronte russo) o dell’ottimo

La scomparsa di Josef Mengele di Olivier Guez. L’autore, forte del suo

distacco generazionale, resta invisibile, senza portare mai

direttamente in campo il proprio coinvolgimento emotivo.

 

Quando W. G. Sebald nel suo Gli anelli di Saturno vuole raccontare la

ferocia del colonialismo lo fa proiettando la propria ombra dall’alto

di un monumento commemorativo della battaglia di Waterloo, riflettendo

personalmente se la “tanto agognata panoramica storica” non significhi

forse stare in cima a una montagna di morti. La trilogia di Antonio

Scurati si apre in piazza San Sepolcro, Mussolini non ha molto da

dire: “La scena è vuota, alluvionata da undici milioni di cadaveri… Li

amiamo fino all’ultimo, senza distinzioni. Sediamo sul mucchio sacro

dei morti”.

Il romanzo mostra l’animo mobile del fascismo con plasticità, in un

travaso continuo tra suscitato e suscitatore: M è colto più di una

volta nell’atto di interrogarsi su chi sia la gente che ha di fronte,

quasi non si capaciti di essere stato davvero lui a far sorgere

“queste folle di pantofolai che all’improvviso impugnano il bastone”,

quasi il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma

l’ospitato”. Protagonisti di M sono il fondatore del fascismo almeno

quanto i suoi comprimari, a cominciare dalle ali poetiche del

movimento (Marinetti e D’Annunzio), gli smobilitati della Grande

guerra e una nuvola di individui venuti come il figlio del fabbro di

Dovia dal basso (cenni biografici dei personaggi principali in fondo

al volume). Ma ne è protagonista l’intera comunità nazionale, “il

paese opaco” come l’autore intitola un capitolo dell’estate 1924, nel

pieno della crisi che segue l’omicidio Matteotti. Sguarnito il campo

degli oppositori, nel quale spiccano le indecisioni rivoluzionarie di

Bombacci, la statura di oratore fuori del tempo di Turati e il

coraggio smisurato e ottuso di Matteotti, l’unico capace di portare

con il suo sacrificio Mussolini e le sorti del fascismo all’impasse. E

qui Scurati chiude, magistralmente sotto il punto di vista

drammaturgico, la prima parte della sua impresa.

Una narrazione lungo il sentiero tracciato dai documenti

 

Oltre alla qualità della scrittura – esaltata si direbbe dalla materia

buia e orgiastica, di quotidiana sfrenata violenza, nella quale

l’autore si muove con calma e nervi saldi, tagliente e icastico –

particolarmente efficace è la struttura del libro che bissa ogni breve

capitolo con i documenti, facendoli brillare della luce riflessa nelle

scene e viceversa, appoggiando le parole dei giornali, delle lettere e

dei discorsi pubblici a quelle della trama, con una maestria che

rasenta la somiglianza per contatto, il calco più della variazione

musicale. I documenti sono la spina dorsale della narrazione. Fin dal

Rapporto dell’ispettore generale di pubblica sicurezza Giovanni Gasti

(giugno 1919) formidabile nel ritrarre “Mussolini Prof. Benito fu

Alessandro, nato a Predappio il 29.7.1883”, l’autore sembra dire con

fiducia al suo lettore-cittadino, guarda che è tutto disponibile, ci

vuole tempo e passione, ma la storia è nelle fonti, intanto eccone il

fluire in progressione. Scurati stila una cronaca, composta da un

continuum di episodi, con formule finali lapidarie, spesso memorabili

(tipo: “Le folle, D’Annunzio lo sa, bisogna farle ondeggiare”; oppure,

alle soglie dei quarant’anni quando “L’onorevole Mussolini si concede

senza più freni alla propria gioia insolente. È diventato l’uomo che

odiava da ragazzo”), che si piantano con il valore instabile della

letteratura nel futuro anteriore del populismo italiano. Ogni capitolo

reca in testa data luogo e personaggio, in fondo uno stralcio dai

documenti, come in un diario dove si conservino anche i ritagli dei

giornali; con l’occhio attento a fornire la base per una sceneggiatura

(dalla trilogia verrà tratta una serie).

La prima e l’ultima scena sono raccontate in prima persona. Scurati

riesce in questo azzardo, fuori dalla caricatura che tanto si addice

al suo tragico protagonista, il che non è da poco. Ci fa sentire a

tratti la voce interiore di un attore di cui abbiamo inteso, tutti per

forza almeno una volta, l’altra voce, quella dal balcone, sostenuta

dall’onda sonora dalle acclamazioni, la folla che vediamo nella foto

all’interno della sovraccoperta del volume, volti felici di italiani

con il cappello in testa o in mano, al cospetto si direbbe di uno

spazio retorico e muto, come quello della copertina, dove campeggia

l’iniziale di proporzioni dittatoriali. Scurati stacca il racconto dal

brusio di fondo, lo chiarifica a colpi di vuoto/pieno,

combattenti/parassiti, presbiti/ipermetropi, individuo/massa,

adesione/tradimento: opposti su cui sa lavorare con talento sintetico

da saggista oltre che da narratore, navigando con abilità tra le

secche di quelle banalizzazioni che rischiano di ridurre il bisogno di

movimento della storia a una infinita rosicata, come si direbbe a

Roma, cioè una sorda dinamica di reazioni, vendette, ricatti, rancori,

voltafaccia, insomma di basso che preme per salire, di periferia che

occupa il centro, di pochi che arrivano a sopraffare molti.