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Una data importante quella dell’8 marzo per il Cedav con il progetto #Questo non è amore. Nell’occasione è stato predisposto un camper con a bordo operatori specializzati al fine di sensibilizzare l’opinione pubblica sul tema della violenza di genere ed accogliere ed aiutare le vittime Le poliziotte impegnate nell’iniziativa hanno fornito informazioni concernenti il percorso predisposto per tutelare chi decide di denunciare la violenza subita. Il messaggio non è diretto solo alle vittime, ma anche a tutti coloro che potrebbero segnalare comportamenti sospetti.

 Nel corso della mattinata distribuiti opuscoli informativi con i numeri telefonici di riferimento Secondo la definizione del sociologo Neil J. Smelser: “Un ruolo consiste nelle aspettative che si creano riguardo al comportamento di una persona quando questa si trova in una certa posizione all’interno di un gruppo.” Spesso siamo noi stessi ad affibbiarci un ruolo secondo le nostre aspettative, desideri consci o inconsci. Il gruppo a volte determina il nostro ruolo oppure è la stessa società a farlo. Dunque, un ruolo può nascere dalla necessità e dai bisogni del singolo, del gruppo o della società.
Due grandi sistemi si intersecano: l’universo maschile e quello femminile. Il primo popolato da mariti, padri, figli, amici, fratelli, lavoratori. Il secondo affollato da mogli, madri, figlie, amiche, lavoratrici. Nella prima metà del secolo, gli uomini assumevano valore in base alla loro produttività nel lavoro, mentre la donna veniva considerata attiva all’interno del focolare domestico: la famiglia, i figli, e quindi, la capacità procreativa, rappresentava l’elemento cardine per esprimere la propria femminilità. In epoca moderna, il processo di adeguamento dei ruoli, nell’assetto sociale, culturale e lavorativo, ha portato ad una “unisessualizzazione”.
Il ruolo femminile non corrisponde più agli stereotipi dei nostri nonni. A partire dagli anni ’60, in conseguenza dell’emancipazione femminile, della liberalizzazione sessuale e dell’affermazione del welfare state, il rapporto uomo-donna, donna-famiglia, donna-contesto lavorativo, si sono evoluti. Per secoli appunto le donne hanno assunto il ruolo di moglie, dedita alla casa, al marito e ai figli.
Ciò ha sempre comportato una condizione di dipendenza del ruolo femminile da quello maschile, delineando anche una sorta di creazione di un’identità surrogata.
Tale situazione ricorda un po’ il mito di Pigmalione che scolpisce nell’avorio una donna che corrisponde ai suoi desideri. Ma è una donna stessa che alla fine lo “sconfigge”: il mito narra infatti, dell’avidità di questa figura divina che sottrae le ricchezze al cognato, uccidendolo. Didone, sua sorella e moglie di Sichèo, la vittima, scopre il delitto e, con l’aiuto dei suoi sudditi riesce a riappropriarsi non solo degli averi del defunto marito ma, riesce a sottrarre a Pigmalione i suoi, ereditati dal padre.
I maggiori cambiamenti, oggi, riguardano il passaggio ad un’immagine nuova: la formazione di un’identità di genere moderna ha portato ad una “femminilizzazione di massa” (Francescato, 2000). Negli ultimi decenni, la situazione maschile e femminile, è diventata più simile: un maggior numero di donne è entrato nel mercato del lavoro retribuito e si sono guadagnate diritti sociali più al passo con i tempi. A volte sembra che le donne incontrino ancora problemi nell’inserimento lavorativo, soprattutto se paragonato a quello maschile.
Anche se ciò è evidente solo in pochi ambiti e si spera che tale disparità negli anni diventi praticamente nulla. La donna sobbarcata di responsabilità familiari e lavorative, spesso incontra difficoltà di varia natura che dovranno essere alleviate grazie alla gratificazione ottenuta a livello lavorativo, ma soprattutto grazie al calore familiare.
Possono costituirsi problemi all’interno della coppia (distanza dettata dal tempo) o nelle relazioni figli-madri spesso trascurate a causa dei vari impegni. Fondamentale è, dunque, riflettere sul ruolo della donna, essere cioè consapevoli delle pressioni, degli stereotipi sociali cui sono sottoposte a vario titolo e individuare per ognuna il modo di liberarsi da aspettative esterne, familiari e sociali, non corrispondenti a progetti personali. è necessario individuarne i segnali per non farle diventare aspettative autoindotte.
 La donna diventa soggetto del suo desiderio, come ben descrivono Lieta Harrison e M. G. Cancrini in Potere in amore, “non per cancellare le differenze rispetto al maschile, ma per rifiutarne ogni discriminazione”. La donna deve “poter” fare i conti con i propri desideri, rimasti nell’ombra per secoli, e portarli alla luce.
E questo che ogni donna dovrebbe proporre quotidianamente a se stessa! Basta tornare indietro di qualche secolo, al Medioevo, quando una donna non poteva litigare con il marito che subito veniva condannata all’immersione in acqua con lo sgabello. E pensiamo alle donne che venivano accusate di stregoneria solo perché osavano dire ciò che pensavano o non seguivano le regole imposte dall’alto. Non dimentichiamo poi la sottomissione e la violenza subita da migliaia di mogli e figlie, condannate al silenzio per mantenere il buon nome della famiglia. Si tratta di un bagaglio pesante, che solo ora viene aperto e reso pubblico risvegliando la sensibilità di molti che erano all’oscuro o che semplicemente non volevano né vedere e né sentire. Perché tutto ciò? Potremmo dare diverse spiegazioni: la prima è il fatto che per millenni l’uomo è stato sempre considerato superiore alla donna, e di fatto è stato in qualche modo giustificato riguardo a certi comportamenti, spesso anche dal mondo cattolico.
 In secondo luogo una donna fisicamente è più debole rispetto al compagno, dunque è molto facile incutere timore, alzare le mani e sottomettere. Tornando però ai giorni nostri, ad emancipazione femminile realizzata quasi in pieno, sembra ancora assurdo che nel mondo ci siano donne sottommesse ai propri compagni, le quali ogni giorno subiscono violenze non solo fisiche, ma soprattutto verbali… spesso peggiori di uno schiaffo.
Eppure ci sono, e sono loro stesse donne a non denunciare, a sperare che un giorno la situazione possa cambiare in meglio e che l’uomo di cui sono innamorate si penta e la smetta di rendere la loro vita un inferno.
Ma nella maggior parte dei casi questo non succede, e l’attesa di un miglioramento si trasforma nell’attesa della morte. Nessuna di queste donne pensa che il proprio fidanzato o marito possa arrivare a tanto: purtroppo però accade, e da un insulto, da uno schiaffo, da una percossa il passo verso l’omicidio è breve. Cosa bisogna fare per evitare tutto ciò?
La prima cosa è rendersi conto che chi alza le mani, chi insulta, chi offende non ama, anche se successivamente si mostra pentito, pronuncia parole dolci, si presenta con un mazzo di fiori o un regalo. Poi bisogna avere il coraggio di parlare, di farsi aiutare e denunciare: la vita è troppo preziosa per trascorrerla accanto a qualcuno che non apprezza, che lede la dignità umana e schiaccia la personalità altrui.

 

Emanuele Morabito