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L’arcivescovo Giovanni Accolla ha voluto porgere gli auguri di una Santa Pasqua a tutti i cittadini e i fedeli della Diocesi, parlando dei suoi primi tre mesi a Messina. “Nel visitare queste persone” – ha precisato – “mi son sentito visitato da loro, provocato da loro. Dinnanzi ad un contesto di malattia, vedere giovani col sorriso, espressione di gioia interiore, nonostante siano consapevoli del loro futuro incerto e della loro condizione di fragilità fisica, o nel carcere vedere persone che vivono nella reclusione ma con la capacità del sorriso, ho sentito, attraverso la stretta di una mano, pulsare la speranza che c’era nel loro cuore. Noi che abbiamo tutte le sicurezze di questo mondo, dovremmo lasciarci interrogare da queste situazioni e chiederci che diritto abbiamo di essere insoddisfatti”.

Ecco il testo del messaggio dell’arcivescovo Giovanni Accolla a tutta la diocesi

“Saluto tutti voi, soprattutto i cittadini e i fedeli, per questa Pasqua del 2017.

È da tre mesi circa che mi trovo a Messina; una città che conoscevo solo per la via Boccetta, che dovevo attraversare per giungere ai traghetti; ora mi tocca viverci dentro, ma non sono dispiaciuto! Sono veramente contento di stare in mezzo a tutti voi, perché ho trovato una realtà molto vivace, molto bella.

Siamo giunti al termine della Quaresima, tempo particolare che ci introduce e ci consegna il mistero della Passione, Morte e Risurrezione del Signore, che è un po’ il cuore della nostra professione di fede, del dono di fede che abbiamo ricevuto nel battesimo. La Pasqua – sappiamo tutti – è la ricorrenza più importante della vita cristiana. Gesù, che ha sofferto, è morto in croce ed è risorto, ci consente di percorrere la nostra vita; vita dove non mancano le sofferenze e i travagli, ma che è caratterizzata dalla speranza che il Signore risorto faccia risorgere anche noi da tutte le espressioni di morte che molte volte attanagliano la storia del mondo e anche la storia della nostra vita cittadina, della nostra comunità, a volte delle nostre famiglie, altre volte la morte che non tanto fisicamente quanto spiritualmente caratterizza o comunque segna la nostra vita. Il Signore risorto ci indica il passaggio da ogni forma di schiavitù, da ogni esperienza di morte, dall’esperienza del peccato, e diventa il segno della vita nuova per tutti noi.

È chiaro che per poter cogliere il dono della vita nuova che viene dal Cristo nostro Redentore è opportuno che ognuno si apra e apra il cuore ad accogliere il dono del Signore. Da soli non andiamo da nessuna parte; da soli creiamo solamente steccati, non comunichiamo, non ci relazioniamo, non generiamo vita, non diventiamo testimoni del Signore che, risorto, ha bisogno, oggi, delle nostre mani e della nostra presenza per riportare e ridare fiducia ai tanti sfiduciati della nostra storia.

Questa Pasqua purtroppo è segnata da tante violenze, da tante conflittualità anche a livello internazionale. È da poco che abbiamo appreso la notizia di ciò che accaduto in Siria. È veramente sconvolgente e, direi, allarmante perché si destabilizzano o si devono rivedere tutte le relazioni dei vari popoli, delle varie nazioni. Spesso le finanze non fanno altro che condizionare le relazioni tra i popoli, dove le sacche di povertà restano sempre maggiori e si creano sempre maggiori steccati tra ricchezza e povertà.

La cultura occidentale, che ha esaltato il capitale, ha umiliato profondamente le persone e la dignità delle persone; e allora assistiamo a tutte quelle esperienze di migrazioni: c’è un popolo che emigra, continuamente, ci sono tanti popoli che emigrano continuamente, tanti fratelli che tendono la mano. Noi siamo presi dalle nostre attività di culto, dalla nostra religiosità ormai standardizzata fatta di tanti riti, fatta di preghiere, di polifonie, di incensi; il mondo della politica sta dentro i palazzi; diventa quasi difficile poter scendere e poter prendere per mano le persone. A volte non è indifferenza; a volte capita che non riusciamo ad attenzionarci perché continuamente veniamo distratti dalle preoccupazioni.

Non penso, però, che possiamo vivere la nostra Pasqua senza sottolineare in maniera forte quello che è il significato profondo della solidarietà, osservando le tante sacche di povertà; e le sacche di povertà si verificano laddove l’emarginazione domina sulla solidarietà, dove si creano steccati, dove si interrompono i ponti, dove la comunione è spezzata, dove l’uomo soffre dentro, e addirittura è spezzato e diviso dentro.

Il Signore Gesù che è risorto, è il Signore che ha vinto la morte. È lui la luce che illumina tutte le tenebre del mondo. Come possiamo vivere la nostra fede pensando di standardizzare e di celebrare osservando solo un calendario e non smuovendoci dentro, senza sentire quella inquietudine che ci apre e apre il cuore ad avere premura verso l’altro. I segni della solidarietà spesso vengono vissuti dopo che ci siamo fatti il conto.

Penso che Nostro Signore ci pone sempre quella domanda: “dov’è tuo fratello?” Noi non possiamo dire “sono io responsabile di mio fratello?”; noi siamo sempre responsabili del nostro fratello! Quando la carità viene manifestata e testimoniata come segno della carità che Dio ho avuto per noi, allora subito sappiamo che dinanzi al Signore non ci siamo voluti appropriare del dono della sua vita, ma del dono della sua vita ne abbiamo fatto un’opportunità per lasciarlo fruttificare nel cuore degli altri. Abbiamo bisogno di ragionare sempre più non in termini di istituzioni o di massa, ma in termini di “persone”; è allora lì che il nostro stare insieme ci da l’identità di essere un popolo e non un grande condominio dove tutti ci stanno dentro, ma senza testa e cuore; l’identità di popolo ci da la possibilità vera del camminare insieme, dell’uscire insieme da tutte le esperienze di morte, da tutte le esperienze di tenebre, di vivere la gioia dell’essere purificati dall’acqua che sgorga dal costato di Cristo.

Quale augurio potrei fare a questa comunità, a questo popolo messinese, credente e non credente? Il bisogno di far rinascere nel cuore di ognuno la gioia di un riscatto, il riscatto di vedere che tutte le preziosità e tutti i doni che ci sono in ognuno sono doni da condividere, non doni di cui appropriarsi per non condividere. Madre Teresa diceva che, in Oriente, quando qualcuno offre un sacco di riso ad una famiglia povera, quella famiglia povera lo condivide con gli altri. Oggi se dai un centesimo in un semaforo, chi prende quel centesimo se ne appropria e non vuol condividerlo con nessuno. La cultura delle cose ha soppiantato spesso la cultura del rispetto della persona. Abbiamo bisogno di riscoprire che il nostro rapporto con Dio è un rapporto personale; Dio non si è fatto “cosa”, Dio si è fatto uomo e ha arricchito la nostra umanità.

La gioia della risurrezione riempia il cuore di ognuno, riempia l’ambito delle famiglie dove abitiamo, riempia il cuore di questa città che da Maria è stata benedetta.

Grazie e auguri di una santa Pasqua a tutti!

 

Emanuele Morabito