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In questo fine settimana (18 – 19 – 20 settembre) si svolge in tutta Italia, dalla Valle d’Aosta alla Sicilia, la XVIII edizione del Tocatì, il Festival Internazionale dei Giochi in Strada. Il Borgo di Novara di Sicilia sarà protagonista delle giornate di sabato 19 e domenica 20 con il caratteristico “Lancio del Maiorchino”. 

Tutte le giornate saranno seguite dai canali ufficiali social del Tocatì in diretta streaming e così potremmo scoprire fra gli altri Giochi il “Bijè” di Farigliano in provincia di Cuneo, il “Cacio al Fuso” di Pienza in provincia di Siena, i “Trampoli” di Urbino in provincia di Pesaro-Urbino, e, come detto il “Lancio del Maiorchino” di Novara di Sicilia in provincia di Messina, pittoresco centro che rappresenterà la Sicilia dei borghi.

Il Tocatì si svolgerà nel rispetto delle ordinanze e linee guida vigenti in materia di tutela della salute pubblica, per la sicurezza di organizzatori, volontari e ospiti del festival. Tutte le attività saranno quindi a ingresso contingentato e alcune fruibili solo su prenotazione. Ai partecipanti è imposto l’uso della mascherina ed il  rispetto delle norme di distanziamento.

Quella che si svolgerà sabato 19 settembre a partire dalle ore 15.00 lungo il tradizionale percorso che va da Piazza Bertolami al Piano di don Michele non sarà una mera esibizione ma proprio la Finalissima del Torneo Provinciale del Maiorchino che era saltata lo scorso 1 marzo, domenica di Carnevale, per via delle note vicende legate al Coronavirus. Nella giornata di domenica 20 si terranno invece le gare femminili e quelle dei bambini.

Sabato 19 a Novara di Sicilia ci saremo anche noi di “OraWebTv” con la nostra Valentina Serranò che effettuerà alcune dirette per la regia di Antonio Sindoni a documentare questa giornata specialissima dedicata a Sua Maestà “A Maiurchèa”.

Un po’ di storia sul gioco del Maiorchino

Il Gioco del Maiorchino è molto antico! Nacque infatti nel 1600: i pastori si sfidavano per dimostrare che il proprio maiorchino era talmente stagionato e ben fatto che correva più degli altri ed arrivava perfettamente integro in fondo alla discesa. “A maiurchèa” è una forma di formaggio pecorino locale (dai 10 ai 12 kg) che si lancia con una corda, la “lazzàda”,             di 3 – 3,50 m avvinta lungo la circonferenza. Il gioco consiste nel lanciare la “maiorchìna”, facendo leva sul pedi fermu, ovvero il piede di appoggio fermo sul punto segnato, senza alcuna rincorsa, lungo il percorso che va dall’inizio della via Duomo al traguardo fissato al piano don Michele. In caso di una parità, si prosegue come da tradizione, per la stradina che porta ai mulini di Corte Sottana. Indicati dai capitani i due primi giocatori, si fa u toccu, la conta per stabilire chi deve iniziare. I giocatori, rispettivamente intervallati, lanciano a maiurchèa lungo il percorso della gara. Poi, si alternano i secondi giocatori delle rispettive squadre, riprendendo dal punto dove la forma è andata a fermarsi. Quando sta per iniziare la gara, a tutela degli spettatori si grida: “guardèmmu” – “i ghemmi”. C’è il rischio, infatti, che le forme di formaggio vadano a infilarsi in altri vicoli non previsti dal gioco e, non avendo più la forza di rotolare, si incastrino nei cattafùcchi, profonde cavità esistenti tra le case e la strada elevata.

Inoltre la festa del maiorchino è iscritta nel Registro delle Eredità Immateriali della Sicilia e al Tocatì.

Ma come si produce il Maiorchino di Novara di Sicilia? Alcune fasi della sua produzione lo rendono peculiare. Munto il latte intero ovino e caprino, esso viene filtrato con felci ed immesso nella codara, un recipiente stagnato di forma cilindrico-conica; riscaldato a 39 °C, dopo un lieve raffreddamento, viene immesso il caglio naturale di agnello e/o capretto. Secondo la tradizione, si copre la caldaia con pelle di pecora. La cagliata viene rotta fuori fuoco con la cosiddetta brocca e riscaldata gradualmente su fuoco vivo. Il composto viene agitato, in modo gradatamente più energico, mentre si cuoce a circa 60 °C. Viene fatto riposare per un certo periodo di permanenza nel fondo del recipiente contenente la lacciada, il siero caldo, che consente di acquisire consistenza e coesione. Poi, con idonei movimenti delle mani e delle braccia, la cagliata viene estratta in un blocco unico, usando a volte un telo di seta. La massa estratta viene immessa in una fascera di legno (detta gàrbua) posta su un gocciolatoio di legno di abete o di noce, il mastrello. Il diametro della fascera è regolabile grazie a una cordicella. Si tratta di una fase delicata: la formazione di pieghe e di irregolarità in superficie potrebbe compromettere la qualità del prodotto finale che a fine stagionatura dovrà risultare a crosta perfettamente liscia. Per raggiungere tale risultato i casari livellano le superfici della forma attraverso la foratura in più punti della massa di cagliata, posta all’interno della garba, con un’asta di legno o di ferro (minacino) per far fuoriuscire il siero residuo; la forma viene poi estratta della fascera a circa 24 ore dalla produzione e viene fatta riposare su assi di legno; trascorse 48 ore dall’inizio della lavorazione si inizia la salatura con strofinatura, pulitura e rivoltamenti della forma; infine a partire dal 3° mese di stagionatura, si procede con l’oliatura della forma con olio d’oliva. L’operazione contribuisce a rendere il prodotto a fine stagionatura perfettamente levigato conferendogli un colore delicatamente ambrato.