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A Novara di Sicilia entra nel vivo il consueto appuntamento con il celebre Maiorchino, prodotto caseario d’eccellenza, nonché fiore all’occhiello della gastronomia locale. Iniziato sabato 13 Gennaio, con le gare eliminatorie che si tengono durante tutti i fine settimana di gennaio e di inizio febbraio, il Torneo del Maiorchino giungerà poi alla fase più attesa che tradizionalmente coincide con il Carnevale. 

Domenica 11 febbraio 2024 sarà il grande giorno della Festa del Maiorchino e della Finalissima Maschile del Torneo. Sin dalle 11.00 del mattino la centralissima Piazza Michele Bertolami sarà teatro di un evento specialissimo nel quale sul palcoscenico il grande protagonista sarà proprio il Maiorchino. I tanti turisti che sicuramente giungeranno a Novara potranno godersi maccheroni con ragù di salsiccia imbiancati da una cascata di maiorchino, ricotta calda con il siero, pane e maiorchino il tutto innaffiato da un buon vino locale. Nel pomeriggio, a partire dalle ore 15.00, in programma l’attesissima Finale Maschile che ogni anno richiama lungo il percorso tantissima gente proveniente da ogni parte della Sicilia. Martedì grasso (13 febbraio) sempre alle ore 15.00 si svolgerà invece la Finale Femminile, anche questa molto seguita.

Il “Circolo Sportivo Olimpia Il Maiorchino”, presieduto da Angelo Di Pietro, organizza e coordina l’antico evento con il supporto di tutti i soci, tra cui Antongiulio Bertolami, Elisa Catalfamo, Sonia Furnari, Angela Puglisi e Maurizio Catanese. Va ricordato come il XVII Comitato Unesco, tenutosi a Rabat in Marocco, ha riconosciuto la rete dei giochi tradizionali del “Tocatì – Festival Internazionale dei Giochi in Strada” patrimonio dell’Umanità, iscrivendo nel registro delle buone pratiche di salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale tutti i giochi delle comunità ludiche tradizionali italiane che da oltre trent’anni fanno parte delle pratiche proposte all’interno del Festival, fra i quali il lancio del Maiorchino di Novara di Sicilia.

L’associazione “Circolo Sportivo Olimpia – Il Maiorchino” da oltre 35 anni organizza il torneo del Maiorchino, aderendo all’Aga Verona, l’Associazione che ha lanciato nel 2003 il “Tocatì”. Con la rete internazionale Tocatì, il gioco del maiorchino è stato anche iscritto all’Associazione europea dei giochi e degli sport tradizionali (Aejest) e all’Associazione internazionale dei giochi e degli sport tradizionali (Itsga).

Il Gioco del Maiorchino è molto antico! Nacque infatti nel 1600: i pastori si sfidavano per dimostrare che il proprio maiorchino era talmente stagionato e ben fatto che correva più degli altri ed arrivava perfettamente integro in fondo alla discesa. “A maiurchèa” è una forma di formaggio pecorino locale (dai 10 ai 12 kg) che si lancia con una corda, la “lazzàda”,             di 3 – 3,50 m avvinta lungo la circonferenza.

Il gioco consiste nel lanciare la “maiorchìna”, facendo leva sul pedi fermu, ovvero il piede di appoggio fermo sul punto segnato, senza alcuna rincorsa, lungo il percorso che va dall’inizio della via Duomo al traguardo fissato al piano don Michele. In caso di una parità, si prosegue come da tradizione, per la stradina che porta ai mulini di Corte Sottana. Indicati dai capitani i due primi giocatori, si fa u toccu, la conta per stabilire chi deve iniziare. I giocatori, rispettivamente intervallati, lanciano a maiurchèa lungo il percorso della gara. Poi, si alternano i secondi giocatori delle rispettive squadre, riprendendo dal punto dove la forma è andata a fermarsi. Quando sta per iniziare la gara, a tutela degli spettatori si grida: “guardèmmu” – “i ghemmi”. C’è il rischio, infatti, che le forme di formaggio vadano a infilarsi in altri vicoli non previsti dal gioco e, non avendo più la forza di rotolare, si incastrino nei cattafùcchi, profonde cavità esistenti tra le case e la strada elevata.

Ma come si produce il Maiorchino di Novara di Sicilia? Alcune fasi della sua produzione lo rendono peculiare. Munto il latte intero ovino e caprino, esso viene filtrato con felci ed immesso nella codara, un recipiente stagnato di forma cilindrico-conica; riscaldato a 39 °C, dopo un lieve raffreddamento, viene immesso il caglio naturale di agnello e/o capretto. Secondo la tradizione, si copre la caldaia con pelle di pecora. La cagliata viene rotta fuori fuoco con la cosiddetta brocca e riscaldata gradualmente su fuoco vivo. Il composto viene agitato, in modo gradatamente più energico, mentre si cuoce a circa 60 °C. Viene fatto riposare per un certo periodo di permanenza nel fondo del recipiente contenente la lacciada, il siero caldo, che consente di acquisire consistenza e coesione. Poi, con idonei movimenti delle mani e delle braccia, la cagliata viene estratta in un blocco unico, usando a volte un telo di seta. La massa estratta viene immessa in una fascera di legno (detta gàrbua) posta su un gocciolatoio di legno di abete o di noce, il mastrello. Il diametro della fascera è regolabile grazie a una cordicella. Si tratta di una fase delicata: la formazione di pieghe e di irregolarità in superficie potrebbe compromettere la qualità del prodotto finale che a fine stagionatura dovrà risultare a crosta perfettamente liscia. Per raggiungere tale risultato i casari livellano le superfici della forma attraverso la foratura in più punti della massa di cagliata, posta all’interno della garba, con un’asta di legno o di ferro (minacino) per far fuoriuscire il siero residuo; la forma viene poi estratta della fascera a circa 24 ore dalla produzione e viene fatta riposare su assi di legno; trascorse 48 ore dall’inizio della lavorazione si inizia la salatura con strofinatura, pulitura e rivoltamenti della forma; infine a partire dal 3° mese di stagionatura, si procede con l’oliatura della forma con olio d’oliva. L’operazione contribuisce a rendere il prodotto a fine stagionatura perfettamente levigato conferendogli un colore delicatamente ambrato.