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Un tripudio d’applausi  ha salutato, domenica scorsa,  al Teatro Trifiletti  Ivan Bertolami, protagonista del quarto appuntamento  della Stagione Quinteatro, diretta dal regista  Giuseppe Pollicina  e organizzata da Le Alte Terre di Mezzo di Mezzo di Tania Alioto, in collaborazione con il Comune di Milazzo.

In scena un omaggio al grande Giorgio Gaber nel quindicesimo anniversario dalla sua scomparsa, dal titolo Me & Mister G – Non è il classico Gaber – in cui,  quasi fosse un viaggio  spazio temporale,   Bertolami ha riproposto il Teatro Canzone, ideato da Gaber e Luporini, alternato a monologhi leggeri,  ma solo  in apparenza.

Ad impreziosire questa pièce dal sapore nostalgico al fianco di Ivan Bertolami anche i Maestri Antonio Vasta, Carmelo Imbesi e Carmen Zangarà,  che con la loro musica hanno donato leggerezza e al contempo  profondità  a dei momenti di estrema serietà.

Ancora una volta  sul palcoscenico erano presenti tutte le sfumature della vita, seppure mimetizzate nella sagace ironia di un Giorgio Gaber  brillantemente reinterpretato da Bertolami. A questo riguardo  vi proponiamo una breve intervista  rilasciata dall’attore poco dopo lo spettacolo.

Molto spesso durante la sua carriera lei ha reso  omaggio al grande  Giorgio Gaber, cosa l’attrae di questo personaggio per certi versi così controverso?

Non sono d’accordo sulla definizione di controverso, se c’è qualcosa che ha sempre contraddistinto Giorgio Gaber, e che mi ha affascinato, è la sua incredibile coerenza e la voglia di gridare a tutti che se il mondo sta andando alla deriva la colpa è di chi si lamenta e con indifferenza si volta dall’altra parte. Il tutto sempre condito con una grandissima autoironia. La particolarità dei messaggi che il Signor G ci lanciava sta nel non cercare un colpevole a cui addossare tutte le  colpe. Invitava tutti a fare autocritica attiva e ad essere padroni delle proprie scelte perché “la libertà non è star sopra un albero, il volo di un moscone, avere un opinione, un gesto, un’invenzione, ma partecipazione”, quindi mettersi in gioco, sempre.

Lo spettacolo Me & Mister G -non è il classico Gaber –  si presenta come un viaggio spazio temporale, ma se quest’artista si  materializzasse dinanzi a lei quale sarebbe la sua prima domanda?

Innanzitutto gli chiederei scusa, se ci si vuole misurare con “Mostri sacri” come lui bisogna sempre farlo con il massimo rispetto. Lo stesso Enzo Iacchetti, amico di Giorgio Gaber e presentatore storico del Festival Gaber, ha intitolato il suo personalissimo omaggio così: “Chiedo scusa al signor Gaber”. Poi gli chiederei “Come posso migliorarmi?”

Cinema o teatro,  a quale panorama sente di appartenere maggiormente e perché.

È una domanda difficile alla quale tutt’oggi non so trovare una risposta. Sono come Yin e Yang, protoni e neutroni, il caldo e il freddo. È vero, sono due mondi assolutamente diversi ma allo stesso tempo complementari e non è quindi possibile per me sentire di appartenere soltanto ad uno di essi.

Quale artista, a parte Giorgio Gaber, ha inciso maggiormente sulla sua carriera?

Citarne solo uno sarebbe riduttivo. Posso dire che prendo spesso ispirazione da Gino Bramieri, Alberto Sordi, Nino Manfredi, Paolo Panelli, Gigi Proietti.

 

Sul palcoscenico si vivono tante vite, s’indossano tante maschere, ma quanto emerge di lei nei personaggi che interpreta? Si racconti….

Credo che la bellezza di questo mestiere sia racchiusa anche nel poter vivere ogni volta vite diverse. Spesso si parla di quanto un personaggio possa essere calzante o meno su un attore, il problema è che qui  non si parla di vestiti e modelli. Ogni volta che un attore e un personaggio s’incontrano nasce una nuova vita. Potete mettere a confronto tutti gli interpreti del mondo sullo stesso ruolo, ognuno sarà completamente diverso dall’altro, come impronte digitali. Nei miei quindici anni di carriera mi è capitato più volte di misurarmi con personaggi che apparentemente non sposavano le mie caratteristiche, sono state le sfide più belle, intense ed emozionanti e in buona parte sono quelle che mi hanno dato le maggiori soddisfazioni. Ovviamente il merito è anche e soprattutto dei registi che mi hanno diretto. Quando il sipario si chiude o la telecamera si spegne comincia la sfida più grande, lasciare il personaggio da solo e tornare alla vita di tutti i giorni. Forse la grande fatica che abbiamo noi attori è quella di non riuscire ad essere comunque noi stessi senza il personaggio. Proprio Giorgio Gaber nella sua “Cerco un gesto un gesto naturale” dice:

Chissà nella mia vita quante maschere ho costruito
Queste maschere ormai sono una cosa mia
Che dolore, che fatica buttarle via.