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Una nuova rivelazione da parte del pentito Carmelo D’Amico sulla mafia barcellonese e il delitto del giornalista Beppe Alfano, ucciso l’8 gennaio del 1993 in via Marconi.  Secondo il racconto dell’ex boss della cosca del Longano, ad uccidere Alfano non fu Antonino Merlino, il quale sta scontando la pena anche per tale terribile reato, bensì Stefanino Genovese anche lui in carcere per l’omicidio di Carmelo Martino Rizzo, fatto fuori a Lauria nel maggio del 99′. Nella rivelazione si spiega anche il movente della mafia barcellonese, riguardo alla decisione di assassinare Beppe Alfano, si doveva fare fuori, secondo D’Amico, perché per i vertici di cosa nostra del Longano il giornalista: ‘parlava assai’.

Il collaboratore di giustizia Carmelo D’Amico che sta facendo non poche rivelazioni, indicando killer e dinamiche di potere politico-mafioso-massonico, da mesi collabora con la DDA di Messina raccontando tutti i fatti e misfatti essendo stato un protagonista principale della mafia del longano.

A riportare, oggi, il verbale in cui il collaboratore racconta i retroscena del delitto Alfano è la Gazzetta del Sud che ricostruisce la deposizione su quanto accadde, secondo D’Amico la sera dell’8 gennaio 1993.

L’ex boss D’Amico avrebbe iniziato a raccontare i fatti dell’omicidio Alfano prima nel carcere di Bicocca a Catania nel luglio di un anno fa, continuando a settembre, ottobre e novembre 2014, riempiendo pagine di verbali adesso al vaglio dei magistrati di Messina, Vito Di Giorgio ed Angelo Cavallo.
Secondo il suo racconto, la sera del delitto, tra le 22.30 e le 23.00, D’Amico avrebbe incontrato il Genovese da solo sul ponte di Barcellona, mentre lui in auto andava a prendere un caffè in un bar del centro cittadino. Durante l’incontro con colui che sarebbe stato il killer di Alfano dopo poche ore, quest’ultimo lo informò in linguaggio criptico: “Mi disse che stava travagghiannu” e lo invitò ad andarsene. Da qui D’Amico, avrebbe subito pensato che si trattasse di un omicidio in quanto, “conosceva la sua abitudine di compiere omicidi in solitaria”.

L’ex boss ebbe la conferma subito dopo, quando al ritorno, compiendo lo stesso tragitto, vide l’auto di Alfano circondata da Carabinieri e Polizia. Inoltre D’Amico rivela un altro dettaglio importante: Genovese possedeva all’epoca anche una pistola calibro 22, lo stesso calibro ritrovato nell’omicidio Alfano.
Infine a detta di D’Amico, il killer Genovese non agì da solo ci sarebbe stato un complice, ma non ha voluto rivelato il nome. Adesso dopo questa nuova rivelazione sembra aprirsi un nuovo scenario giudiziario su quell’omicidio su cui i familiari hanno espresso sempre tante perplessità.