Condividi:

Michele Prisco è  considerato uno dei grandi maestri del romanzo italiano del Secondo Novecento. Nato il 18-1-1920 a Torre Annunziata, si trasferì successivamente a Napoli, dove si spense il 19-11-2003, nella sua abitazione di Via Stazio 8. La critica e il pubblico dei lettori  lo apprezzarono anche per la sua coerenza di uomo e di scrittore, costantemente fedele alla trasparenza dei suoi alti valori della vita e alle “ragioni narrative” delle scelte tematiche, attinte nei labirinti della coscienza, alla ricerca delle radici del Male che aveva condannato ad una emarginazione storica e individuale, prima la borghesia vesuviana nelle opere anteriori al ’68 e nella fase creativa successiva, attento a ricostruire il processo interiore dell’anima dei personaggi della nascente borghesia cittadina, mediante una spiralizzante catabasi investigativa con strumenti linguistici e strutturali adeguati alla perforazione psicologica del lento processo di disgregazione interiore causata dalle prevaricazioni, operate su un popolo inerme e schiavizzato dal potere assoluto della nobiltà agraria e successivamente dalla nascente borghesia cittadina lanciata all’adorazione della mitologia dell’Apparire, del piacere e del possesso, a cui era pronta a sacrificare ogni frammento del tradizionale codice etico.

Prisco volle capire il malessere e le ragioni sommerse dell’infelicità umana e, con un attento inabissarsi nei labirinti dell’anima della categoria sociale prevalente, riuscì ad individuare nel sottofondo della coscienza l’intrecciarsi di sentimenti “sovranisti” che inducono i mariti ad abbandonare le mogli, che si vendicano dei mariti, scaricando il loro disprezzo sui figli,che lacerati dagli orrori della guerra e dal terrore della vita,sperano di salvarsi sotto la protezione  dalla madre,come avviene in Figli Difficili (1954). Storie  di degradazione, di vittimismo,di follia, di laceranti sensi di colpa e di sciacallaggio economico della“roba”, vengono  ricostruite dallo scrittore con una diagnosi psicanalitica  ne “Gli eredi del vento”, (1951) dove il maresciallo Mazzù, che ha trascorso un’infanzia di miseria, insegue il sogno di arricchimento e di benessere, sposando, una dopo la morte dell’altra, le cinque sorelle della famiglia Damiano di estrazione borghese, usando tecniche di inganni e tradimenti che seminano morte, dolori e sensi di colpa, tanto che Lisa, ultima delle sorelle, si offre in sposa all’arrampicatore sociale, pur odiandolo, martire volontaria per spezzare una catena di disperazione. Fin dalla prima stagione narrativa, iniziata con “La Provincia addormentata  (1949) il giovane Prisco aveva avvertito il bisogno di capire il malessere  della borghesia vesuviana, con cui aveva trascorso un’infanzia serena e di cui aveva preavvertito, nel giro di boa della storia, gli ambigui  rapporti con gli altri, nel mutamento, mascherato di un ostentato conformismo, di fronte alle genuine manifestazioni di miseria della plebe, che inducono lo scrittore ad indagare negli anfratti invisibili dell’animo delle sue creature, per poter spiegare a se stesso e agli interessati, il vero significato della sconfitta e le vere scansioni della colpa che li ha ingoiati nella bolgia infernale della vita.

Nella seconda fase del suo itinerario narrativo successivo al ’68, dopo aver constatato le delusioni della guerra partigiana, alcuni scrittori del Neorealismo, si  allontanano  dalla mitizzazione della Resistenza, per tornare a recuperare le indispensabili ragioni del cuore. La provincia addormenta, nata da un biologico bisogno di le ragioni  della decadenza della borghesia vesuviana, e nelle successive raccolte di racconti, (“Fuochi a mare”, Punto franco, Figli difficili, Terre Basse) si avvertono  le rifrazioni  del Verismo e del naturalismo, con l’endoscopia razionale del labirintico “male oscuro”e l’utilizzazione dello scavo psicologico, lo  scrittore evidenziagli influssi nella sua narrativa, delle opere dei grandi scrittori russi, dei francesi dell’Ottocento e della narrativa inglese di Meredith, Mansfield ed altri, da cui aveva assimilato la vocazione a cogliere nel microcosmo interiore dell’uomo, il dolore  dell’incontro con la povertà della vita e la resistenza delle voci del cuore alle percussioni del dolore. Prisco utilizza la letteratura come strumento di ricerca e di conoscenza del perimetro ideale della vita dell’essere. Egli si mantiene lontano dagli esibizionismi delle neoavanguardie, per concentrarsi sulla conoscenza  della realtà esistenziale del genere umano, perchè ha coltivato un’idea  di letteratura come visione  di analisi ontologica, ritenendola arte maieutica di conoscenza dell’inferno che brucia ogni alito di serenità e di amore,dopo l’anamnesi dei sommovimenti dell’anima. “Il pellicano di pietra” può configurarsi come un manifesto emblematico della lotta di Prisco contro il Male del mondo e contro l’orribile crudeltà di un’altra madre popolana, Margherita” Savastano, che riesce a diventare titolare a Napoli di un negozio di tessuti e che alla fine della guerra, si arricchisce  guidata dalla satanica febbre del denaro e del piacere, tanto da rubare anche i fidanzati alle figlie, condannandole ad un dolore infinito, e sposando un povero uomo, senza amarlo, ma tradendolo  apertamente, tanto da indurlo al suicidio. In tal caso, sulla scena del teatro dell’assurdo si dipanano vicende di realistica crudeltà, ma l’obiettivo dello scrittore è la proposta di lettura del male, attraverso la metodologia eliotiana. Ne Il pellicano  di pietra, Prisco recupera il  messaggio simbolico dell’amore materno, attraverso il mito del volatile che si squarciò il petto, offrendo anche il proprio cuore come cibo ai suoi piccoli affamati, per salvarli dalla morte, con il rischio mortale della propria vita. In virtù di tali elevatissime vette valoriali, caratteristiche della funzione formativa della migliore letteratura,lo scrittore si tenne lontano dallo squallore della vita politica, ma  continuò, con progressiva passione, a coltivare il suo  progetto di ricostruzione etica dell’uomo, con le armi della letteratura, perché Prisco, come Dostojevskji, interpreta il ruolo dello scrittore come guida ideale  nella società e in Giustina,protagonista de“Le parole del silenzio”, (una povera. creatura), incarna il simbolo del risorgimento dell’essere che ha lottato per la realizzazione di sé, nel contesto di una società in marcia verso la conquista dei valori democratici, in cui l’uomo possa realizzare liberamente il proprio destino.